Si è chiusa la 22ma edizione del Film Festival di Trieste. Ad aggiudicarsi i riconoscimenti più importanti "Besa" di Srdjan Karanović e il documentario “Cinema Komunisto” di Mila Turajlić
La 22ma edizione del Film Festival dedicato all’Europa centro-orientale (17-24 gennaio) ha visto la vittoria della Serbia nelle due sezioni principali. Tra i lungometraggi il premio è andato a “Besa” di Srdjan Karanović, tra i documentari “Cinema Komunisto” di Mila Turajlić.
In entrambi i casi, come anche per il miglior cortometraggio al tedesco “Der kleine nazi” di Petra Lüschov, è stato il pubblico a scegliere i vincitori. Gli spettatori hanno votato i lavori di maggior impatto compiendo anche delle buone scelte.
Il premio “Zone di cinema” per i lavori realizzati tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia è andato alla storia del prete operaio “Sconfinato. Storia di Emilio” di Ivan Boormann.
Il premio Cei è stato invece attribuito “alla carriera” allo slovacco Dušan Hanák, cui il festival ha dedicato un omaggio in quattro film, uno più bello dell’altro. Il cineasta, quasi sconosciuto in Italia, è stato una delle scoperte del Festival.
Besa
Con “Besa” Karanović, uno dei veterani belgradesi, è tornato alla finzione dopo “Sjaj u očima” (2003) con una storia toccante e sorprendente. Soprattutto sarà un piccolo shock per i suoi compatrioti vedere Miki Manojlović, forse il più grande attore serbo, nei panni di un albanese. Siamo nel 1914. Il preside di una scuola del sud del paese, in partenza per la guerra dopo l’attentato di Sarajevo, affida la bella moglie Lea (Iva Krajnc), slovena, al bidello illirico, Azem. Quest’ultimo stringe una promessa d’onore, “besa” appunto, cui mantiene fede a tutti i costi.
Per paura che gli abitanti del villaggio la aggrediscano (alcuni la chiamano “l’austriaca”), derubino o tentino di violentarla (e succede), la chiude a chiave in casa e giunge a legarla per un piede con una corda per non farla allontanare. Tra i due il muro di diffidenza e di incomunicabilità si rompe a poco a poco, mentre dal fronte del conflitto giungono notizie contraddittorie.
Quando, per difendere la donna e tener fede al patto, il bidello assale un ufficiale che tenta un approccio con Lea finisce picchiato e imprigionato. Tornato libero si trova a dover tacere e nascondere l’amore sbocciato (e ricambiato) verso la moglie dell’amico. Karanović firma un film classico, d’atmosfera e di attori (molto bravi), con un messaggio di comprensione e di rispetto delle differenze, dei ruoli e della parola data, emozionando e facendo ridere senza scorciatoie e senza buonismi.
“Besa” era stato candidato dalla Serbia al premio Oscar ma non è stato incluso nelle nomination.
Tutti i premi
Il resto del concorso (quest’anno solo otto titoli per la riduzione degli spazi al Teatro Miela e, per soli tre giorni, al Cinema Ariston) ha presentato per lo più pellicole già passate (e premiate) in altri festival internazionali, dal bel romeno “Eu cănd vreau să fluier, fluier (Se voglio fischiare, io fischio) di Florin Serban al promettente esordio “Tilva Roš“ del serbo Nikola Ležaić.
Di buon livello la competizione cortometraggi. Da segnalare lo sguardo candido del turco Imdat Serhat Karaaslan che in "Bisquilet – Bicicletta“ racconta le peripezie (e la generosità) di un ragazzino che vive recuperando rifiuti e cerca la ruota mancante della sua bicicletta.
Altro ospite di prestigio il bielorusso di nascita e tedesco d’adozione, dopo aver vissuto in Ucraina e Russia, Sergej Loznica. Un documentarista già molto apprezzato, con una dozzina di lavori all’attivo (tre dei quali in concorso a Trieste negli anni passati) che lo scorso anno ha esordito nel lungometraggio con il durissimo “Sčasťje moje (La mia felicità)”.
Presentato in concorso a Cannes, dove non ha ricevuto nessun riconoscimento, è un viaggio agli inferi per un camionista che deve consegnare un carico di farina. Il film si apre con un cadavere sepolto nel cemento e prosegue con immagini che non si possono dimenticare di un precipitare in una violenza senza fine, se non con una serie di uccisioni senza pietà. La storia segue fino a circa un terzo un andamento lineare per poi dividersi in più rivoli (e livelli temporali) e ricomporsi nel finale.
Un film sull’aggressività, l’avidità, la sopraffazione, la mancanza di scrupoli, la prepotenza e anche il caso che porta sempre a un destino di sofferenza e morte.
Molto interessante la novità del Premio Corso Salani dedicato al regista e attore scomparso tragicamente nel giugno scorso a soli 50 anni. Tra i cinque progetti di film in fase realizzazione pre-selezionati la giuria ha premiato “Palazzo delle aquile” dei palermitani Stefano Savona (già autore di “Primavera in Kurdistan” e “Piombo fuso”), Alessia Porto ed Ester Sparatore.
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