Sono una coppia di registe, madre e figlia, con all’attivo diversi documentari, tutti ambientati nella zona di confine tra Italia e Slovenia. L’ultimo lavoro di Nadja Veluscek e Anja Medved si intitola “Trenutek reke – Il tempo del fiume” ed è un viaggio ideale lungo l’Isonzo – Soča, il fiume che attraversa e segna quell’area
Non un film sul fiume, piuttosto un film sul rapporto delle persone che vivono, lavorano o semplicemente trascorrono del tempo lungo il corso d’acqua. Per estensione diventa una riflessione sul rapporto tra l’uomo contemporaneo e la natura, con le sue contraddizioni e i suoi problemi.
Il fiume è anche luogo di visioni, di suoni particolari, di ritmo sospeso e questo esce bene dal lavoro di Veluscek e Medved. In più luogo di memorie, prima teatro delle carneficine della Prima Guerra mondiale, poi diviso dalla cortina di ferro. Un documentario bello e utile che è stato presentato al Trieste Film Festival e poi a Sguardi Altrove Film Festival a Milano fuori concorso e poi a Gorizia per la Giornata mondiale dell’acqua.
Prodotto da Kinoatelje di Gorizia e Zavod Kinoatelje di Nova Gorica, con le musiche di Havir Gergolet e Salamandra, il lavoro sarà proiettato a partire dalle prossime settimane in varie località lungo l’Isonzo (informazioni www.soca-isonzo-film.org). Ne abbiamo parlato con Anja Medved.
Sull’Isonzo avevate già realizzato “Proti toku – Contro corrente”, un documentario sulla tradizione di campioni di kayak a Solcan (Salcano). Come siete partite per fare questo lavoro? E che differenze ci sono rispetto all’altro?
Quel film era su un tema preciso, anche se poi non ne usciva solo il lato sportivo ma anche la storia del paese. “Trenutek reke” non è il classico documentario su un fiume, ma è sulla gente che ci vive vicino o lo conosce per lavoro o per sport. Attraverso i loro occhi volevamo capire di più il fiume. Il fiume collega tra loro vicende e storie diverse e generazioni diverse. Ma oggi quando parli di un fiume parli anche dei problemi e delle contraddizioni che viviamo nel rapporto con la natura. Volevamo che chi vedesse il film si interrogasse su queste questioni. Anche noi ci siamo poste delle domande dopo aver conosciuto le persone lungo l’Isonzo. Da una parte il fiume è trascurato e sfruttato dall’uomo, dall’altra deve rimanere di sé stesso. Non possiamo più pensare alla natura solo come a qualcosa di cui appropriarsi. Per esempio cominciano a esserci conflitti dell’acqua anche nelle nostre zone. L’Isonzo attraversa due stati e anche qui c’è il rischio di scontri su chi ne è il proprietario. Invece sui fiumi bisogna essere uniti, pensare al bene pubblico: l’acqua è di proprietà pubblica e non degli stati o delle aziende. La gente deve raggiungere la piena coscienza di questo, perché se non ha consapevolezza non si oppone alle richieste di privatizzazione.
Come avete scelto i personaggi da intervistare?
Abbiamo cominciato a girare mentre facevano le ricerche. In tutto il lavoro è durato circa due anni. Avevamo già in mente dei personaggi, anche se poi alcuni di quelli che avevamo pensato non li abbiamo intervistati o non li abbiamo montati. Ci sono state anche delle coincidenze fortunate, di quelle che a volte accadono facendo questi lavori. Per esempio il pescatore di Mantova che abbiamo trovato a Tolmino è stato un caso. Quel giorno era saltato un appuntamento all’ultimo e non sapevamo che fare. Abbiamo incontrato lui, gli abbiamo chiesto se potevamo fargli qualche domanda e abbiamo scoperto che conosceva bene l’Isonzo e lottava da tempo in difesa dei corsi d’acqua anche vicino a casa sua. Abbiamo scelto persone diverse tra loro, che coprissero un po’ i vari temi legati al fiume e distribuiti su tutto il territorio attraversato. Gran parte del lavoro e delle scelte li abbiamo fatti in montaggio, per trovare i punti che per noi erano più interessanti e sorprendenti.
Qual è il suo rapporto con il fiume?
Sono cresciuta vicino all’Isonzo. Mia nonna aveva la casa a pochi metri e da bambina ero sempre al fiume. Vivendo vicino al fiume ti sembra di conoscerlo bene, invece c’è sempre qualcosa da scoprire. Si trovano persone straordinarie, anche se nessuno le conosce, e incontrarle è una grande opportunità. Abbiamo notato che la gente che vive lungo il fiume si sente a casa in quel preciso tratto ma non negli altri, così l’idea era anche far conoscere tutte queste persone, mostrare i tanti volti e le diverse realtà del fiume. Se penso a un fiume penso all’Isonzo. Giuseppe Ungaretti ha scritto cose bellissime su questo fiume. Forse nel film c’è anche l’emozione della sua poesia, pur senza citarla.
Il film è in parte anche un sogno. Sta in una dimensione non del tutto reale…
Il fiume ha un tempo che è meditativo. Come il viaggio e le cose che scorrono, ti mette in sintonia con il tempo e ti fa uscire dalla routine. È il ritmo del fiume che dà l’idea del sogno. Un intervistato afferma che il fiume tranquillizza. È vero, ti fa pensare al presente che è il tempo che viviamo meno perché siamo sempre rivolti al passato o al futuro. Il fiume ti fa mettere l’attenzione sul presente.
Una parte importante è legata alle memoria di quanto è accaduto nelle vicinanze del fiume nell’ultimo secolo.
Il fiume conserva la memoria dei fatti. E anche l’acqua ha una memoria. Proprio per collegarci alla memoria del fiume abbiamo mostrato il signore che raccoglie le testimonianze della Prima guerra mondiale. Pensa al ricordo dei morti, senza distinzione di nazione o di esercito. Dà importanza alle persone, si chiede chi fosse l’uomo di cui ha trovato gli oggetti personali. Sono oggetti piccoli semplici, di uso comune, sono quelli che toccano di più perché ci fanno sentire che erano persone vere al di fuori delle ideologie, delle appartenenze o della storia. La prima guerra mondiale in queste zone non ha distrutto soltanto i paesi, ha distrutto anche il rapporto uomo – natura. Prima del conflitto c’era un rispetto dell’uomo verso la natura che poi è scomparso. Il fiume era visto quasi come un’entità divina e c’era un rapporto quotidiano con il fiume. Noi abbiamo cercato le memorie concrete di ciascuno, perché nelle memorie non c’è realtà, ciascuno ha la sua. Le memorie sono tante quante sono le persone.
Ci sono delle differenze nel vivere il fiume tra i due lati del confine?
Non mi sembra ci siano differenze nel vivere il fiume tra Italia e Slovenia. Tutti si identificano con il fiume a modo loro. Il fiume nelle due parti è però molto diverso. È breve e nel suo corso attraversa tanti ambienti, collega lingue, culture e paesaggi molto diversi. È la spina dorsale di un territorio di confine e molto complesso. La gente che lo vive lo ama molto, desidera che resti pulito, sano, che l’acqua continui a scorrere abbondante, anche se vediamo che ce n’è meno rispetto al passato. Nel confronto con l’Isonzo noi persone siamo tutte uguali, dovremmo unirci.
Ora porterete il documentario nelle varie località lungo il fiume.
Stiamo partendo con il progetto “Soča – Sooča”, in sloveno un gioco di parole che si traduce “Isonzo – Confronta”. Portiamo il film in diversi luoghi lungo il fiume, alla fine saranno 9 appuntamenti, per fare dibattiti con ambientalisti, artisti, filosofi e abitanti del fiume, parlare del nostro rapporto con la natura e le sue contraddizioni. Cominceremo il 17 aprile, che è la giornata della pulizia dell’ambiente in Slovenia, a Solcan, all’aperto in prossimità del fiume. E andremo avanti fino a ottobre: il calendario, le fotografie e le informazioni saranno nel sito www.soca-isonzo-film.org”.
I prossimi lavori?
Sto lavorando su più cose. Ho appena terminato un documentario sul festival di Topolò e sto terminando un progetto sui filmati di famiglia per l’European Home Movie Network. E poi c’è una cosa a cui teniamo molto. Nei mesi scorsi abbiamo chiesto ai residenti lungo il confine di venire nelle vecchie dogane a portare delle fotografie. Abbiamo raccolto quasi 200 immagini e le interviste con le persone che ce le hanno portate che descrivono chi è ritratto e in che occasione è stata scattata. È un materiale molto interessante che potrebbe diventare un nuovo film.
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