Radoslava Premrl (sul cavalletto) e Janko (nella cassetta)

Radoslava Premrl (sul cavalletto) e Janko (nella cassetta)

Esce in Italia il memoriale di Radoslava Premrl, compagna dello scrittore Boris Pahor, pubblicato tra la fine degli anni '60 e i primi '70 dalla rivista dissidente Zaliv. La vicenda del partigiano Janko, eroe nazionale, la vita di una famiglia tra fascismo e comunismo

28/10/2013 -  Božidar Stanišić

Un eroe in famigliaMio fratello Janko-Vojko, di Radoslava Premrl (a cura di Martina Clerici, Nuova dimensione, Portogruaro 2013, pag. 299), è una testimonianza su due totalitarismi del Secolo Breve, fascismo e comunismo. Si tratta del memoriale di Radoslava Premrl (1921-2009), compagna di vita dello scrittore Boris Pahor, pubblicato a puntate sulla rivista Zaliv (Golfo) tra il 1966 (n.23) e il 1972 (n.36/37), incentrato in gran parte sulla figura del fratello Janko Premrl (1920-1943), partigiano sloveno ed eroe nazionale.

La storia di Janko Premrl e della sua famiglia, originaria di Šenbid (oggi Podnanos, località della regione Primorska, in italiano: “Litorale sloveno”), poteva trovare spazio solo su una rivista come Zaliv, pubblicata a Trieste dalla dissidenza culturale slovena al regime comunista jugoslavo.

La pubblicazione di questa storia suscitò le attenzioni dell’UDBA (la polizia politica jugoslava), prologo di quanto si scatenò nel 1975 a seguito della pubblicazione, sempre sulla Zaliv e a cura di Boris Pahor e Alojz Rebula, del pamphlet-intervista al poeta Edvard Kocbek, che denunciava le esecuzioni sommarie compiute dai comunisti ai danni dei domobranci, le milizie collaborazioniste e anticomuniste slovene.

Nel 1992 il memoriale di Radoslava, l’unico libro di questa autrice, traduttrice della Rai del Friuli Venezia Giulia e collaboratrice di diverse riviste culturali triestine, intitolato Moj brat Janko-Vojko (Mio fratello Janko-Vojko) è stato pubblicato dalla casa editrice di Lubiana Slovenska matica.

Janko-Vojko Premrl

Janko Premrl

Janko Premrl

Questo nome, soprattutto nella Primorska, è portato da numerose associazioni, enti culturali, ambulatori, cori e strade (a Lubiana, Capodistria, Nova Gorica, Vipava, Anhovo, Portorose, Solkan, Plava…) Anche a Belgrado, nel quartiere Savski venac, fino al 2004 c’era questa via (rinominata poi in via Belga). A Capodistria, fino al 2006, c’era la scuola elementare “Janko Premrl-Vojko”, riunita a quella intitolata a Pinko Tomažič, eroe della resistenza slovena, condannato a morte dal tribunale speciale fascista e fucilato il 14 Dicembre 1941 presso il poligono di Opicina. Ai visitatori di Črni Vrh, sul Monte Nanos, non sfugge il monumento mezzobusto di Janko-Vojko, né la sua capanna. Il Brinov Grič, nei pressi di Črni Vrh, dove è caduto, è il luogo della sua prima sepoltura. Ai resti di Vojko (il suo nome di battaglia), come a tutti gli eroi della guerra partigiana, non era però destinata la pace. Dissotterrato, ebbe sepoltura nel cimitero di Ajdovščina (Aidussina), poi nel suo nativo Šenbid e, infine, venne trasferito a Lubiana, nel mausoleo degli eroi nazionali.

“In quest’occasione mio padre fu invitato ad assistere alla riesumazione”, scrive Radoslava Premrl. “A Lubiana si tenne una grande cerimonia di lutto alla presenza delle autorità. Gli altri eroi trasferiti a Lubiana erano entrati nel Partito molto prima di morire, erano comunisti di vecchia data. Nel leggere la biografia di Janko, l’oratore disse invece che lui era l’unico al quale avevano consegnato una tessera mentre stava morendo.”

Fino al momento alla morte Janko-Vojko Premrl non era comunista, né condivideva idee del comunismo di stampo leninista-stalinista. Era un antifascista di orientamento cattolico, politicamente vicino alle idee del socialismo di radici europee, una delle molte persone per le quali la lotta antifascista e antinazista era un dovere etico.

La sua morte, rimasta impressa nel cuore dei familiari come mistero doloroso da svelare, è al centro del libro scritto dalla sorella Radoslava.

In modo schietto, diretto, lei pone delle domande sulle condizioni in cui era morto il fratello (incluso il punto interrogativo sul “fuoco amico”), e insiste sul perché non venne curato dopo la battaglia in cui subì quella ferita pesante. Implicitamente, lei si chiede a chi, e perché, serviva un eroe morto. Nel libro è andata ben oltre il racconto di un fatto doloroso, pieno di domande sulla disumanità del fascismo, poi del comunismo.

Quel quarto di secolo del fascismo, e gli anni di impostazione del regime comunista attraverso la pressione ideologica dopo la lotta partigiana, sono raccontati in questa testimonianza intensa e drammatica con i fatti della vita di un microcosmo in cui si intrecciano i vissuti diretti, gli incontri a volte inaspettati, i ritratti minuziosamente descritti sia dei fascisti italiani, che dei domobranci e dei cetnici, in ritirata nella primavera del 1945 e, naturalmente, dei vincitori partigiani.

Il libro, sicuramente non per volontà diretta, rivela anche la figura dell’autrice, la secondogenita di cinque figli della famiglia di Franc Premrl di Šenbid (Podnanos). La sua collaborazione attiva con la Resistenza slovena, la vita al confino a Omegna (Novara), la vita da profuga in patria (i fascisti, dopo la diserzione di Janko dall’esercito italiano, bruceranno la loro casa), il periodo in cui faceva la maestra per i bambini in guerra privi di ogni educazione, rivelano la figura di una donna convinta delle proprie ragioni libertarie, uno sguardo aperto alla realtà e una fede religiosa attraverso cui la Premrl interrogò il proprio rapporto con il bene e il male, con Dio e gli uomini. Un eroe in famiglia non è una delle molte testimonianze sui due totalitarismi, ma un’opera insolita che sta all'apice delle ricerche delle verità della Storia.

La voce di Boris Pahor

Nella prefazione a questo libro, lei cita Maria Žagar, insegnante di lettere slovene e vostra comune amica, che disse: “Rada, è un vero peccato che tu sia vissuta nell’ombra di Boris”.

E’ una lode che Rada certo meritava. Io ho fatto di tutto perché Radoslava scrivesse questo libro che nel suo “piccolo” racconta la storia di una famiglia slovena benestante, sia nei tempi del fascismo che nel periodo del dopoguerra. E che nel suo “grande” racconta in modo implicito come l’Europa ha lasciato la gente slovena della Venezia Giulia nelle mani dei fascisti. Certo, è un piccolo mondo, ma la sua vicenda non è meno significativa per l’Europa degli accordi di Monaco, con i quali ha incominciato ad arrendersi ai nazisti. A questo punto pure dopo la vittoria contro il nazismo e il fascismo sono rimasti molti fatti da spiegare. Come possiamo dimenticare quanto si era affrettato il signor Churchill, dopo la morte di Mussolini, di impossessarsi del contenuto della sua borsa… Che corrispondenza c’era dentro?

È stato il conformismo sociale e politico dei cittadini a permettere loro di sopravvivere tanto al fascismo quanto al comunismo?

Il conformismo era uno degli scopi dei regimi totalitari. Mio padre, che era un povero venditore ambulante al Ponte Rosso di Trieste, a chi poteva vendere la merce se non fosse stato iscritto al partito fascista? Doveva essere iscritto, altrimenti… Poi, in Slovenia e Jugoslavia, quando hanno vinto i comunisti, il conformismo non è sparito…

Come giudica il fatto che anche oggi, nelle nuove repubbliche ex jugoslave, questa questione è rimasta essenzialmente uguale? Non importa quanto qualcuno sia capace, è importante che sia iscritto ad un partito…

Certo, è molte triste sentire che questo avviene di nuovo. In tutti i paesi democratici e in quelli cosiddetti liberali ci sono forti poteri sotterranei. Abbiamo bisogno di discutere molto di questo, si tratta di una questione molto importante per la democrazia.


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