Da sabato 9 marzo a domenica 17, il Bergamo Film Meeting apre un'ampia finestra sulla produzione del sud-est europeo. Nel fitto programma di proiezioni e incontri sarà inoltre presentata una retrospettiva delle opere di Metod Pevec, uno dei più rappresentativi registi del cinema della Slovenia indipendente
Un film romeno e uno albanese-kosovaro tra i sette della Mostra concorso del 42° Bergamo Film Meeting . La storica rassegna lombarda, in programma da sabato 9 marzo a domenica 17, si conferma molto attenta all’Europa del sud-est: la sezione “Europe, Now!”, dedicata come di consueto a tre registi del Vecchio continente, comprenderà una retrospettiva dello sloveno Metod Pevec insieme alla danese Frederikke Aspöck (“Labrador” e “Rosita”) e allo svedese Lukas Moodysson (“Fucking Åmål - Il coraggio di amare”, “Together”, “Lilja 4-ever” e “Mammoth”).
Come sempre il Bergamo Film Meeting (Bfm) presenta un fitto programma di proiezioni e di incontri, con la presenza di numerosi ospiti, compreso Pevec che interverrà giovedì alle 19. I lungometraggi del concorso avranno un premio assegnato dal pubblico e uno dalla giuria comprendente il regista milanese Michelangelo Frammartino de “Le quattro volte” e “Il buco”. Il pezzo forte del Bfm è come ogni anno la retrospettiva, dedicata stavolta al francese Eric Rohmer, uno dei protagonisti della Nouvelle vague, con 23 film che vanno dall’esordio nel 1951 al 1998, con “Racconto d’autunno”, conclusione del celebre ciclo delle quattro stagioni. Altri omaggi a Sacha Guitry, attore, sceneggiatore e regista francese, attivo soprattutto tra le due guerre mondiali e finito poi in disgrazia con l’accusa di collaborazionismo, e Walter Matthau, con quattro film nella sezione Cult Movie, da “Hello, Dolly!” a “La strana coppia”.
Dalla Romania, protagonista della scena cinematografica degli anni 2000, arriva “Băieții buni ajung în Rai - Good Guys Go To Heaven ” di Radu Potcoavă, noto per i cortometraggi “Daddy Rulz - Tatal meu e cel mai tare” del 2012 e “Miss Sueňo” del 2017. Protagonista è Dan, che a 41 anni muore in un incidente automobilistico e si ritrova in Purgatorio, su una spiaggia deserta e bibite sempre fresche. Si accorge però di non essere solo e che dovrà affrontare gli errori commessi in vita, prima di essere convocato per il giorno del Giudizio.
È una coproduzione tra Albania, Kosovo e Germania “Okarina - Ocarina ” di Alban Zogjani, anch’egli al debutto nel lungometraggio dopo il corto “E dashura Nita” del 2014. È la storia di Shaqa e Selvia, una coppia di mezza età, che ha lasciato il Kosovo per raggiungere le due figlie nel Regno Unito e condurre una vita dignitosa. Quando arriva la lettera dell’Ufficio immigrazione che nega loro il rinnovo del permesso di soggiorno, i progetti di un futuro luminoso vanno in frantumi e i due devono compiere scelte che metteranno in discussione i loro valori morali e comporteranno conseguenze impreviste per l’intera famiglia.
Il concorso dei documentari "Visti da vicino" include 14 titoli. Tra questi “And They Will Talk About Us ” di Sieva Diamantakos (produzione Ucraina, Italia, Finlandia) su due persone che si raccontano sullo sfondo della crisi del Donbas. Da una parte c’è Sergey, imprenditore che offre tour militari agli stranieri e ha costruito un piccolo impero proponendo turismo estremo. Dall’altra Anna, una volontaria che è dovuta fuggire da Donetsk al momento dell’attacco e insegna ai bambini arte e giochi, recandosi spesso nel Donbas per fornire vestiti e giocattoli. Ancora il danese “Murky Waters” di Martin B. Gulnov, sulla vicenda di Mo Abassi arrivato sull'isola di Lesbo per aiutare i migranti e arrestato con l’accusa di traffico di esseri umani.
Tra i quattro cortometraggi in gara per il premio Ermanno Olmi c’è anche “Serpêhatiyên Neqewimî - Things Unheard of” del turco Ramazan Kılıç.
Di Metod Pevec , uno dei più rappresentativi registi del cinema della Slovenia indipendente, saranno mostrati tutti i lavori da regista. In più sarà proiettato "Na svidenje v naslednji vojni - Farewell until the next war" (1980) del grande Živojin Pavlović, che lo vide come protagonista agli inizi della carriera, un’opera quasi profetica sul ripetersi delle guerre nei Balcani. Pevec interpretò poi “Remington” (1988) di Damjan Kozole, con i quale scrisse il cortometraggio “Vse je pod kontrolo - Everything Is Under Control”, suo esordio alla regia nel 1992.
Seguì il lungometraggio “Carmen”, tratto da un suo romanzo e libera variazione sul tema dell’eroina dell’opera di Bizet: finanziato dal ministero della Cultura ancor prima dell’istituzione del Film Fund, fu l’unico film sloveno distribuito in sala nel 1996. Direttore della fotografia è il croato Tomislav Pinter, altro grande del cinema dell’appena defunta Federazione, che aveva fatto le immagini anche del film di Pavlović.
È un melodramma con momenti di commedia, dai toni sopra le righe, colori caldi e tinte più passionali rispetto ai film successivi, anche se si delineano alcuni temi che verranno. Una donna indipendente, che si trasforma anche esteriormente, uno dei tanti personaggi femminili risoluti di Pevec. A interpretarlo Nataša Barbara Gračner, una delle stelle del panorama nazionale.
Nel 2003 arriva “Pod njenim oknom – Beneath her Window” (2003), una commedia sentimentale con tratti da thriller psicologico, protagonista la trentenne insegnante di danza single e irrisolta Duša (Polona Juh) alle prese con un amante sposato, un astrologo cui chiede lumi, una madre vitale e pragmatica e un personaggio misterioso che perseguita. Una storia d’amore con un finale positivo, che stride con il pessimismo di gran parte della produzione slovena di quegli anni, che è stato un buon successo di pubblico in patria e ha avuto una circolazione internazionale festivaliera partendo da Karlovy Vary.
Nel film successivo, “Estrellita – Pesem za domov” (2006), i collaboratori alla sceneggiatura sono il bosniaco Abdulah Sidran (“Ti ricordi di Dolly Bell?” e “Papà… è in viaggio d’affari”) e il britannico Gareth Jones. Si ondeggia così tra le note più struggenti e laceranti e quelle più dolci e consolatorie del violino che è al centro della trama e dà il titolo alla pellicola, da una parte l’anima balcanica, dall’altra uno sguardo al cinema anglo-americano.
Segue un ravvicinato dittico borghese sentimentale composto da “Lahko noč, gospodična - Good Night, Missy” (2011) e “Vaje v objemu - Tango abrazos” (2012). Entrambi raccontano di coppie borghesi quarantenni insoddisfatte alle prese con tradimenti, effettivi o immaginati, o nuove possibilità.
L’interesse del regista alla società e alle sue trasformazioni, che era stato presente ma in secondo piano con un’attenzione a un’umanità ai margini, sociali o fisici, emerge nei documentari “Aleksandrinke – Le donne di Alessandria” (2011) e “Dom – Home” (2015), entrambi vincitori al Trieste Film Festival.
Il primo ripercorre la storia delle migliaia di donne slovene, prevalentemente della valle del Vipacco poco distante da Gorizia, che migrarono in Egitto come domestiche, balie o donne di compagnia tra la metà dell’800, ai tempi della costruzione del canale di Suez e la Seconda guerra mondiale. Un esodo di massa motivato sia dalla povertà dell’area sia, negli ultimi decenni, dall’occupazione fascista. Pevec ha intervistato le ultime protagoniste ormai centenarie e vari testimoni, come l’ex segretario generale egiziano dell’Onu Butros Butros-Gali cresciuto una tata slovena di nome Milena.
Al centro del secondo c’è un edificio periferico di Lubiana che a lungo ha ospitato operai di origine bosniaca arrivati fin dagli anni ‘80 e pure un alloggio per ragazze senza famiglia. Il regista si fa interprete del loro pessimismo sul futuro del paese.
Il lungometraggio più recente, “Jaz sem Frenk – I am Frenk ” (2019), è incentrato sul confronto tra i fratelli cinquantenni Brane e Frenk: il primo è un imprenditore senza scrupoli, il secondo un nostalgico della Jugoslavia, che assistono al disfacimento delle ultime imprese statali mentre scoprono la verità sul padre, un approfittatore del periodo dell’indipendenza. In qualche modo il film si collega al cortometraggio “Vse je pod kontrolo”, che resta uno dei rarissimi casi in cui le vicende del 1991 che portarono al distacco da Belgrado sono state portate sullo schermo e rielaborate.
Pevec spinge i suoi personaggi verso la ricerca di una soluzione, magari una via di mezzo, un compromesso accettabile, pur in situazioni estreme o forti o di scelte nette. E l’apparente leggerezza dei suoi film non nasconde che spesso si parli di malattia mentale, depressione o dipendenze.
C’è pure un pessimismo di fondo, forse più marcato negli ultimi film, che cerca il più possibile di attenuare. Anche se spesso prendono il sopravvento la nostalgia e i ricordi di un mondo che non c’è più.
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