Si è aperta ieri la 59ma edizione del Trento Film Festival della montagna. Numerosi i lavori provenienti da Balcani e Caucaso. Dalla musica della montagna rutena, allo scorrere dell'Isonzo. Dalle alti valli del Caucaso ad un paesino bosniaco sommerso dalla neve
Come consuetudine non manca un’ampia rappresentanza di film dai Balcani e dal Caucaso nella 59° edizione del Trento Film Festival che si è aperta ieri stasera alle 21. Per l’inaugurazione l’Auditorium S. Chiara ha ospitato la riproposizione di “Der grosse sprung” di Arnold Fanck, film muto tedesco del 1927 musicato dal vivo, sulle partiture originali di Giovanni Bonato, da Mario Brunello al violoncello, Saverio Tasca alle percussioni e il Coro della Sat diretto da Mauro Pedrotti. La storia racconta di Gita, pastorella e scalatrice, la ragazza più corteggiata di una valle delle Dolomiti. Tra i suoi pretendenti c'è anche Michael, un ricco berlinese in frac e cilindro. La ragazza, sensibile alle attenzioni dell’uomo, pretende però che il suo futuro marito sappia sciare e arrampicare.
Tra i fiori all’occhiello del festival, che come sempre presenta una ricca gamma di film di finzione e documentari su montagna, ambiente, natura, esplorazione e alpinismo ci sono “Cave of Forgotten Dreams”, il film di Werner Herzog girato in 3D e “Il popolo che manca” di Andrea Fenoglio e Diego Mometti, uno dei più bei documentari italiani degli ultimi anni, realizzato a partire da interviste effettuate da Nuto Revelli.
Sulle montagne della Bosnia e del Mar Nero
In concorso c’è “Lukomir - Six Months Off” dell’olandese Niels Van Koevorden, ambientato in Bosnia nel villaggio di Lukomir. Ismet, Dervo e Nura sono isolati dal mondo in una terra sommersa di neve, soli con le loro pecore. La coppia cerca di sopravvivere in un luogo che un tempo ospitava una fiorente comunità, ma i giovani membri della loro famiglia si sono trasferiti a Sarajevo. L'unico legame con il resto del mondo è rappresentato da un telefono e dalla televisione.
La sezione “Eurorama”, attenta ai film etnografici, riunisce diverse opere dal sudest. Il turco “Forsaken Paths” di Rüya Arzu Köksal mostra la tribù seminomade dei Çepni (Mar Nero) che ogni anno a giugno porta le mucche nei pascoli a duemila metri di altitudine, chiamati “yayla”, distanti circa 20 chilometri, ossia due giorni di cammino. Oggi solo poche famiglie percorrono i vecchi sentieri che conducono alle montagne dove da sempre i Çepni vivono durante i mesi estivi. La storia descrive questo viaggio denso di colori attraverso il racconto di tre donne di 20, 28 e 77 anni, all’insegna del tempo che scorre, tra una tradizione che si perde e chi va a Istanbul alla ricerca di un lavoro.
Funamboli e musicisti
Abbinato a questo c’è l’armeno “The Last Tightrope Dancer in Armenia” di Arman Yeritsyan e Inna Sahakyan. Protagonisti Zhora, 78 anni, e Knyaz, 77 anni, un tempo i funamboli più famosi dell’Armenia. Oggi sono gli unici maestri che possono salvare quest’arte tradizionale dalla scomparsa. A lungo rivali, si incontrano per addestrare l'unico apprendista funambolo rimasto. Hovsep, un ragazzo orfano di 16 anni, deve decidere se accettare o meno il ruolo.
Dalla Romania arriva “The Third Violin” di Reinhardt Björn (regista tedesco trapiantato a Bucarest, già a Trento un anno fa con “Der Kinderberg”). Ivan, un agricoltore della montagna rutena, nell’attuale Ucraina, è un uomo capace di suonare diversi strumenti musicali, con una passione particolare per i suoi violini. Costruisce anche scacciapensieri praticamente dal nulla, ma il suo più grande talento è il senso dell'umorismo.
Terre alte
La sezione “Terre alte”, dedicata alla vita in montagna presenta film da Georgia, Bosnia, Slovenia (“Trenutek reke / Il tempo del fiume” di Nadja Veluscek, Anja Medved già passato in parecchie manifestazioni) e Romania.
“Ein Letzter Sommer im Kaukasus del tedesco Andreas Voigt racconta di Samucha, un pastore che vive sulle montagne del Tusheti, una regione della Georgia al confine con la Cecenia. Durante l'estate trascorre il tempo con il suo gregge nelle alte valli del Caucaso. Prima che arrivi l'inverno, l'uomo deve attraversare rapidamente i fiumi che scendono dalle montagne e valicare i passi per ritornare a valle. Ma sarà l'ultimo anno che passerà insieme ai suoi animali.
Bizzarra la vicenda raccontata dal bosniaco Nisvet Hrusti nel corto “The West In The East”. Alla ricerca di un nuovo contatto con la natura, un uomo sta cercando di costruirsi da solo una casa nel bosco, ingegnandosi per allacciarla a una fonte d'acqua lontana. Con scarsa disponibilità economica, per la costruzione utilizza scarti di legname, preservando l'ambiente e facendosi deridere dalla comunità locale.
Le foreste romene, che agli inizi del 1900 coprivano il 70% del territorio mentre ora sono ridotte al 16%, sono il tema di “Wheel and Deal” di Monica Lazurean-Gorgan. La percentuale è destinata ad abbassarsi ulteriormente, poiché in Romania, a causa di una legislazione permissiva, le foreste sono sfruttate anche illegalmente. Ion Asaftei è un giovane del villaggio di Grinties, disposto a dire qualcosa di più sul commercio di legname nella sua zona, legale e illegale. Ma fin dove può spingersi la sua testimonianza? La deforestazione e la lavorazione del legno sono gestite da una mafia ben organizzata, e Ion è in una posizione estremamente delicata, se non pericolosa.
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