Al Mediterraneo Downtown Festival di Prato, nell'evento "Il Parlamento europeo in città" si è parlato di attivismo e diritti LGBTI in paesi come Tunisia, Turchia e Serbia. Una panoramica degli interventi
Fonte: Mediterraneo Downtown
Dal 5 al 7 maggio Prato è stata la cornice del Mediterraneo Downtown Festival promosso da Cospe , Regione Toscana, Comune di Prato, Libera contro le mafie, Amnesty International e Legambiente, realizzato in collaborazione, tra gli altri, con OBC Transeuropa.
Settanta ospiti internazionali, trentacinque ore di programmazione tra talk show, incontri, presentazioni di libri e spettacoli, per un Festival che si è proposto di accendere un faro sulla complessa area del Mediterraneo.
Il 6 maggio si è tenuto il panel "Movimenti LGBTI nel Mediterraneo", organizzato da OBC Transeuropa nell'ambito degli incontri "Il Parlamento in città" previsti dal progetto europeo "Il Parlamento dei Diritti ", che ha permesso al pubblico di conoscere come e in quale contesto agiscono i movimenti per i diritti delle persone LGBTI nelle varie sponde del Mediterraneo, attraverso la voce dei protagonisti su un fenomeno oscurato e represso e che sempre di più chiede voce e spazio di azione.
All'incontro, introdotto dalla giornalista italo-tunisina Leila Ben Salah, sono intervenuti: Lepa Mladjenović, attivista femminista serba e counselor per donne lesbiche e donne vittime di violenza e co-fondatrice della rete internazionale “Women in Black ”; Silvia Quattrini, che ha parlato a nome di "Chouf ", associazione femminista tunisina che si batte per i diritti corporali e fisici soprattutto delle donne a sessualità non eteronormativa; Fazila Mat, giornalista turca, dello staff di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Infine, è stata proiettata la testimonianza video dell'eurodeputato Daniele Viotti, copresidente dell'Intergruppo LGBTI al Parlamento europeo.
Dopo l'apertura di Leila Ben Salah, ha parlato Lepa Mladjenović, attivista femminista serba e counselor per donne lesbiche e donne vittime di violenza: "Sono una lesbica molto felice e molto orgogliosa di esserlo” dice Lepa, che vive a Belgrado e che ha scoperto la sua omosessualità a 33 anni. "Accanto alla gioia e alla curiosità di questa nuova vita – racconta sono emersi subito vari problemi legati alla sua sessualità”. Lepa oggi organizza workshop per dare voce alle donne lesbiche, per far sì che possano esprimere i loro sentimenti: "dobbiamo imparare ad usare la parola “lesbica” senza vergogna, soprattutto con felicità".
Racconta poi il suo lavoro durante la guerra nei Balcani, durata dieci anni, quando ha dato supporto alle donne vittime di violenze sessuali. "Esisteva una gerarchia dell’etica – dice - in cui le donne vittime della guerra si trovavano al punto più alto, mentre le donne lesbiche a quello più basso".
Dopo la guerra civile ha cominciato a realizzare documentari per riportare le esperienze di guerra di queste donne, formando poi il gruppo di lesbiche "Women in Black", di cui è co-fondatrice. "In un mondo patriarcale – afferma - dove è l’uomo ad avere più potere è necessario creare nel mondo LGBTI una coscienza di solidarietà, per avere potere sociale ed ottenere diritti. Il movimento LGBTI, nato dal movimento diritti umani, ha la sua importanza, mette insieme identità e storie diverse ma si basa sull’idea di inclusione".
E' intervenuta poi Silvia Quattrini, italiana, rappresentante di "Chouf", associazione che nasce in Francia nel 2013 ed è stata registrata in Tunisia nel 2016, in sostegno ai diritti delle donne. Per i movimenti LGBTI in Tunisia la parola chiave è "legalità", sia delle libertà individuali che dei movimenti associativi.
"Dopo la Primavera araba del 2011 – ha detto - la Tunisia ha visto una vera e propria apertura ai movimenti sociali: 18.000 nuove associazioni sono venute alla luce, così come sono emersi i movimenti LGBTI, che prima si nascondevano dietro realtà associative di diverso tipo. Diversa la situazione delle libertà individuali: in Tunisia essere omosessuale è tuttora un reato, punibile con tre anni di reclusione, secondo una legge che risale al 1913, eredità del colonialismo francese. Il movimento LGBTI tunisino – continua Silvia – mira quindi da una parte ad una modifica sostanziale della legge tunisina e, dall’altra, all’abolizione della pratica del test anale, condotto dalle autorità per provare l’omosessualità, benché privo di alcun fondamento medico o scientifico: un vero atto di tortura."
Conclude Silvia Quattrini: "Una ricerca da fonti non certe sembrerebbe dimostrare che in Tunisia più del 64% dei cittadini accetti la criminalizzazione dell’omosessualità, una presunta 'volontà popolare' assunta da governo tunisino come pretesto per mantenere inalterato lo status quo”.
Uno sguardo sulla situazione degli omosessuali in Turchia arriva da Fazila Mat giornalista di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa: "In Turchia – dice - i movimenti LGBTI si trovano in una posizione difficile, ma negli ultimi 15 anni hanno fatto sentire la propria voce con determinazione, grazie al prezioso lavoro degli attivisti. Al primo gay pride di Istanbul, nel 2003, si contavano meno di 50 persone, ora sono in 50.000 a voler marciare per i propri diritti".
Ma la società turca rimane fondamentalmente patriarcale e maschilista: "l’omosessualità tra le donne e gli uomini - dice poi Fazila – viene vista in maniera differente. Le lesbiche appaiono come se fossero grandi amiche affiatate, mentre per gli uomini la reazione è decisamente più forte. Per gli omosessuali ulteriore problema è il servizio di leva obbligatorio: fino a poco tempo fa dovevano ricevere un certificato medico che li dichiarava ‘marci’ ed in questo modo potevano evitare il servizio militare obbligatorio".
L’accettazione delle persone LGBTI, all’interno della società, sembra però seguire un doppio binario: da una parte ci sono le celebrità omosessuali, che vivono tale orientamento sessuale quasi come qualcosa di divertente, dall’altra ci sono le persone comuni che si scontrano continuamente con le difficoltà quotidiane del coming out.
Non potendo essere presente, il parlamentare europeo Daniele Viotti – co-presidente dell’intergruppo per i diritti LGBT – ci lascia il suo contributo attraverso un video, illustrando ciò che l’UE potrebbe e dovrebbe fare. Sottolinea che le unioni civili ed i matrimoni tra omosessuali dovrebbero essere riconosciuti in tutti i paesi membri; così come dovrebbero essere adottate misure per i movimenti LGBTI, creando accesso a forme di tutela giuridica e prevedendo sanzioni per atti di discriminazioni nei loro confronti. Elenca infine alcuni tra gli esempi positivi esistenti, come l’Irlanda, il Portogallo, l’Italia e Malta, paese quest’ultimo con la legislazione più avanzata in Europa per i diritti LGBTI. Non mancano esempi negativi, come i referendum promossi in Slovenia e Slovacchia nel 2015, a dimostrazione che la strada da percorrere per il riconoscimento di pari diritti è ancora lunga.
Evento organizzato nell'ambito del progetto "Il Parlamento dei diritti", co-finanziato dall'Unione europea.
Questa pubblicazione/traduzione è stata prodotta nell'ambito del progetto Il parlamento dei diritti, cofinanziato dall'Unione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.