Si è chiuso, all'interno del World Social Forum, l'incontro "Disegnare l'Europa: i Balcani tra integrazione e disintegrazione", organizzato da ICS e Osservatorio sui Balcani.
L'incontro si è concentrato sul rapporto tra Europa e Balcani, o si potrebbe dire tra le due Europe, quella ricca e già integrata dell'Unione e quella marginale e disintegrata dell'area sud orientale. Si è trattato di un incontro con intellettuali, uomini di governo e rappresentanti di istituzioni internazionali molto diversi tra loro per ruoli e responsabilità.
Dal forum e dagli esponenti della società civile - italiana e balcanica - che vi hanno partecipato, si è levato un appello per l'avvio di un processo di integrazione del Sud-est Europa nella UE, che sia rapido, socialmente sostenibile e partecipato. L'intera area balcanica è caratterizzata da una instabilità di fondo evidente nei nuovi segnali di crisi: Macedonia, sud Serbia, Erzegovina ed i nodi irrisolti delle Krajine, del Montenegro, del Kossovo, del rientro in Bosnia... e quelli potenziali come il Sangiaccato o l'Albania post-elettorale.
Oltre la dimensione politica, preoccupano le emergenze ambientali, le caratteristiche della ricostruzione economica e sociale dell'area, fortemente condizionata da aiuti che rischiano di creare situazioni di dipendenza strutturale, nonché dalla paralisi fiscale delle istituzioni nazionali e locali, con ciò che questo significa sul piano dell'incapacità di affrontare le situazioni più acute di povertà e di marginalità sociale. Il problema è che da quest'altra parte dell'Europa, quella ricca che ha dato vita all'Unione Europea, si continua a pensare ai paesi balcanici solo come ad un terreno di incursione, senza sviluppare un approccio d'area complessivo. Oppure si interviene con una logica puramente emergenziale.
Ci sono però anche segnali positivi: i mutamenti democratici in Serbia; l'avanzamento dei partiti non nazionalisti in Bosnia e Croazia. Ma soprattutto la parola "integrazione" ha a che fare con il resto dell'Europa, nell'ambito della quale si possono forse fluidificare gli incerti contesti nazionali usciti dalle guerre dell'ultimo decennio e sconfiggere il virus nazionalistico. Nel marzo scorso, parlando a Salonicco, il presidente della Commissione Europea Romano Prodi aveva affermato: "Bisogna muoversi nell'ottica dei paesi balcanici come membri virtuali dell'Unione Europea. Per tutti questi paesi, dalla Croazia ai confini greci, il futuro è nell'UE (...), si tratta di ragionare su questo obiettivo fin da adesso".
L'entrata di tutti popoli balcanici nell'Unione Europea è un obiettivo irrinunciabile per arrestare la disgregazione di cui si è già detto. L'entrata nella Unione Europea non è la panacea per tutti i mali, ma può costituire una fondamentale piattaforma su cui rilanciare la pace, la convivenza civile e lo sviluppo locale nei Balcani.
I tempi sono maturi per fissare delle date, delle scadenze e dei parametri che guidino questo percorso. E queste date non possono essere di dieci o vent'anni, pena il rendere poco credibile e allettante la stessa offerta e frustrare quanto di positivo si sta sviluppando nel Sud-est Europa, a livello sociale e politico. Sono necessarie tappe più vicine e credibili: possono il 2004, il 2006 essere immaginate come date credibili per questo processo?
A fianco e prima dei parametri economici vanno individuati criteri in campo sociale (servizi per i disabili, pensioni, servizi socio-sanitari, tassi di istruzione, ecc.), ambientale (aree protette, difesa e gestione delle foreste e dei corsi d'acqua, gestione rifiuti, servizi idrici, interventi per il disinquinamento, ecc.), di democrazia reale, di presenza e partecipazione della società civile organizzata, ecc... Sta qui, attorno a questo nodo cruciale, la possibilità di superare il vuoto progettuale che caratterizza la diplomazia ufficiale e, a ragion del vero, anche molta parte del mondo non governativo.
Si tratta di riempire il vuoto tracciando un possibile itinerario di ricostruzione incardinato a nostro giudizio su tre concetti di fondo: l'opzione per uno sviluppo locale autocentrato quale criterio di rinascita economica, l'autogoverno delle comunità come strada per ricostruire coesione ed identità sociale, la cooperazione dal basso come strategia per rafforzare un tessuto civile e istituzionale indispensabile per superare l'attuale de-regolazione selvaggia.
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