La Majella vista dal Campo di Giove in autunno © Francesco Ricciardi Exp/Shutterstock

La Majella vista dal Campo di Giove in autunno © Francesco Ricciardi Exp/Shutterstock

Le gocce di sudore, l'acqua benedetta delle fontane, torrenti sacri. È liquida la linea da seguire in questa terza e ultima puntata di un viaggio che dalla Majella ci porta al mare. Immaginando un Appennino meno abbandonato e un Adriatico meno affollato

16/10/2020 -  Fabio Fiori

(Vai alla prima puntata, vai alla seconda puntata)

Sveglia all'alba il giorno successivo; aria fresca, luce vivida. Ripartenza in salita in direzione Passo San Leonardo a 1282 metri. Segue una discesa lunghissima passando per paesi che meriterebbero esplorazioni ben più attente di un'occhiata futurista: rapida, rapita, rapace. Non solo il ciclista ma anche il pedalatore soggiace a vizi e virtù di Nike; in sella la velocità è pregio e difetto. Lascio a sinistra Rocca Caramanico, che è un nido d'aquile. Attraverso Sant'Eufemia a Majella e Caramanico Terme, che sono cenobi urbani: case, palazzi e chiese antiche strette mano nella mano come monaci. Sfreccio, con qualche rammarico, canticchiando versi di Olindo Guerrini: “Sovra il ferreo corsier passo contento / come a novella gioventù rinato, / e sano e buono e libero mi sento”.

A Roccamorice invece faccio tappa, per mangiare un panino prima di affrontare una tribolazione molto temuta: l'ascesa al Blockhaus. Nel silenzio del mezzogiorno lo sgocciolio di una fontana diventa uno scroscio benedetto, un'attrazione voluttuosa. “VENITE AD FONTEM HAURITE IN GAUDIO AQUAM ET BENEDICITE DOMINO A.D. MDCCCXCIV”, trascrivo con gioia sul mio taccuino, dalla lapide che sta in mezzo a due cannelle bronzee. Zampilla acqua freschissima, buona e benedetta. Fontane e panchine sono icone di una civiltà dell'ospitalità da valorizzare e rinnovare. Il grado di civiltà di un paese si può misurare subito, dal numero delle fontane e delle panchine, dalla cura con cui offre gratuitamente al viandante acqua e riposo.

Realizziamo aree di sosta libere per camminatori e pedalatori, scrivevo nel racconto precedente, a cui aggiungere fontane e panchine, lungo ciclabili e cammini vecchi e nuovi, che insieme a rifugi e ostelli, potrebbero facilitare una riconversione del turismo in chiave meno predatoria e più sostenibile, in armonia con le necessità di miglior vivibilità dei residenti. Piccoli interventi diffusi per creare una rete infrastrutturale nuova ed ecologica; un “green new deal … of travel”, declinando una condivisibile dichiarazione d'intenti europea, che chiediamo si trasformi in azioni concrete. Immaginando un Appennino meno abbandonato e un Adriatico meno affollato, immaginando un riequilibrio demografico ed economico improrogabile.

Uscendo dal paese la statua a Eddy Merx, mette ancor più in allarme il pedalatore vagabondo. Celebra la sua vittoriosa ascesa al Blockhaus nel Giro d'Italia del 1967. Altrettanto emblematici della difficoltà ciclistica, sono gli incitamenti a Vincenzo Nibali, scritti sull'asfalto, in occasione del Giro del 2017. Non riuscì a vincere la tappa, arrivò quinto a un minuto da Nairo Quintana, il “condor colombiano”. Io, già al primo tornante, ho la catena sulla ruota dentata più piccola della corona e su quella più grande del pignone. Andrò da 520 metri a 2068 metri in circa 17 chilometri, con una pendenza media di quasi il 10%, in buona parte senz'ombra, più alla portata di ciclisti performanti che di pedalatori ronzinanti. Un calvario ancor più impegnativo del previsto, un'immersione allucinatoria nella fatica, la stessa che per secoli ha caratterizzato la vita di pastori, boscaioli, anacoreti ed eremiti che popolavano questa terra. Anzi che popolano questa terra, visto che pastori e boscaioli si vedono ancora. Molti hanno la pelle nera e sono indispensabili a un’economia montanara, marginale ma duratura, a differenza dell'ultima corsa dell'oro, il turismo sciistico che sembra in grande crisi, almeno a vedere le rovine di impianti di risalita malmessi, se non abbandonati. Per cercare invece anacoreti ed eremiti dovrei scendere dalla sella, per imboccare mulattiere impervie che portano a luoghi sacri: Sant'Onofrio, San Pietro, San Martino, San Giovanni all'Orfento, San Bartolomeo in Legio e Santo Spirito a Maiella. I sentieri che conducono a questi ultimi due, partono proprio dalla strada che mi fa sputare sangue. La forra che si apre sotto di me è un abisso vegetale e spirituale. Tornerò, camminerò fino all'Eremo di Celestino e scenderò a immergermi nel sacro torrente Capo La Vena. Perché le pietre, le acque, le luci e le ombre, i silenzi della Majella sono un viatico dell'anima, anche per un laico.

Arrivo sfinito alla Fonte Tettone. La sua acqua gelida e l'Adriatico ritrovato sono la mia doppia, miracolosa panacea. Da lassù infatti la vista si apre sulla piana pescarese e la strada per il Rifugio Pomilio, che prosegue solo a piedi o a pedali per il Blockhaus, corre su un precipizio vertiginoso. Il mio sguardo, in questo tramonto d'agosto, si tuffa in un mare cangiante. Notte all'addiaccio, su un soffice prato d'alta quota, di fianco alla bici. In alto le stelle non sembrano molto più lontane delle luci della costa. Le Tremiti lampeggiano all'orizzonte con lo stesso bagliore seducente delle Pleiadi. Più tardi sognerò d'accompagnare i marinai di Diomede nella grotta di Anna Onna, la vecchia delle erbe cantata da Gabriele D'Annunzio, per cercare rimedi ai loro e ai miei tormenti. Ci consegnerà una borsa, ripetendo come un mantra solo poche parole: “Con l'erbe di Madre Montagna: / si guarisce ogni male e malanno”.

Al mattino la grotta non l'ho trovata, ma non meno suggestive sono state parole, simboli, date e nomi incisi sulle Tavole dei Briganti. Pagine di un libro di pietra, nascoste e profumate dai pini mughi. Raccontano frammenti di vita e di lotte ottocentesche. “Leggete la mia memoria per i cari lettori nel 1820 nacque Vittorio Emanuele II Re d'Italia, primo il 60 era il regno dei fiori, ora è il regno della miseria”, trascrivo da una di queste tavole. Proprio per sgominare o almeno tenere a freno il brigantaggio, poco lontano da qui, sulla vetta, era stata costruita una caserma, il Blockhaus, in tedesco “casa di roccia”. Oggi è un cumulo di pietre, dove il vento è il solo generale, in ogni stagione. Il tempo di uno spuntino con pane e pecorino, e riparto verso il mare. Lunghissima discesa tra boschi e pascoli, piccoli paesi e case sparse. Poi la pianura affollata. Residenziale, artigianale e commerciale, compongono un unicum urbano da Chieti a Pescara. Alla foce dell'omonimo fiume finisce il mio viaggetto, sognando al tramonto trabaccoli che aprono vele al vento. Ali di farfalla color ocra, su un Adriatico smeraldino; le vette appenniniche a poppa, quelle dinariche a prua. Un vecchio pescatore sta seduto sul basamento del fanale verde. Guarda lontano, fischiettando una canzone: “Ggesù Ggiusepp' e Mmarije, / bbrutte tèmbe me vète menije / veune d'acqu' e 'nn atre de vènde, / 'n atre le porte lu mmale tèmbe. / … Vicce, vicce, Madonne de Palêne: / squajje 'sse nuvle che tte sta arréte.”, “Gesù, Giuseppe e Maria, / brutto tempo mi avete portato, / uno d'acqua e un altro di vento, / un altro lo porta il cattivo tempo. / … Vieni da noi, Madonna di Palena: / dissolvi quella nuvola che sta dietro di te.”.

Mare e montagna: a vela e a remi, a piedi e a pedali; esercizi di viaggio, alla ricerca di una relazione animale con i luoghi, alla ricerca di una relazione spirituale con gli elementi.


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