
Bora a Trieste - © zakaz86/Shutterstock
E' il vento più temuto e celebrato dell'Adriatico: la Bora, “vila, figura spiritata dell’aria, fata slava, qualche volta benigna, altre maligna, comunque d’animo uscocco, corsaro, indomabile”. Il nostro Fabio Fiori ci accompagna tra le pagine di alcuni testi che la cantano
L’Adriatico è il mare degli anemofili! Perché i venti sono imprevedibili e umorali, qui più che altrove. Perché se ovunque nel Mediterraneo sono otto quelli principali con nome proprio, solo in Adriatico ce n’è un altro, anzi un’altra. Sì! una figlia d’Eolo, non meno importante: la Bora.
Una principessa fredda e violenta, con addirittura due vesti: chiara e scura. Bora chiara porta luce, Bora scura pioggia. Saranno poi i meteorologi a spiegarvi le diverse situazioni bariche e nuvolose, gli oceanografi a informarvi di onde e correnti, i marinai a dirvi di spaventi e sventure.
Io la Bora la cerco, la respiro e la canto. La Bora è la mia “vila, una figura spiritata dell’aria, una fata slava, qualche volta benigna, altre maligna, comunque d’animo uscocco, corsaro, indomabile”.
La Bora è temuta e celebrata a Trieste, una delle sue tre porte principali, insieme a Fiume e Segna. Il più temuto dei venti adriatici ma anche quello più raccontato in letteratura, arte e cinema.
C’è la Bora in prosa di Giani Stuparich e Scipio Slataper, in poesia di Umberto Saba e Virgilio Giotti, in favola di Gianni Rodari. Per quest’ultimo la Bora è il “gran vento di Trieste più impetuoso e veloce di un treno rapido in piena corsa”. Il vento che in una mattina del 1915 fa volare via Francesco Giuseppe, “lo scolaro più leggero di Trieste”, vestito di verde, bianco e rosso.
Quello della Bora è un racconto scritto a più mani, che s’arricchisce di una Antropologia della bora. Il vento di Trieste tra Natura e Cultura (Calembour, 2023, pp. 94, €12), di Fabio Tufano, pubblicato nella collana “I libri del Museo della Bora”. Collana legata all’omonima associazione, magazzino e museo in fieri (ventorum) che, riprendendo le parole della prefazione del meteorologo Luca Mercalli, con questo libro fa un salto di qualità restituendo a un pubblico più ampio la tesi di laurea di un giovane antropologo, opportunamente rivisitata.
Da anemofilo, e marinaio inveterato, mi permetto una necessaria puntualizzazione: Bora, come tutti i venti, va scritto con la lettera maiuscola! Soprattutto quelli mediterranei che hanno un nome proprio, soprattutto come testimonianza di gratitudine nei confronti dei mediterranei che nei loro diari di bordo li scrivevano con la lettera maiuscola. Marinai che per millenni hanno portato genti, merci e culture affidandosi ai venti.
Ma detto ciò, il libro è interessante e ricco, nel suo disvelare relazioni ecologiche, geografiche, storiche e culturali, tra la Bora e la città. Una relazione che Tufano restituisce intrecciando saperi scientifici e intimi, invitando a seguirlo in un trekking urbano sulle tracce della Bora, per provare a fare esperienza del vento, almeno per un giorno.
Possibilmente per sempre, aggiungo io, a Trieste come in ogni altra città o paese, perché i venti sono invisibili sempiterni protagonisti di quel teatro che è il paesaggio, urbano e non.
Con Tufaro allarghiamo l’orizzonte anemofilo, nel tempo e nello spazio. Perché l’antropologo ci ricorda le magie (e le asprezze) dell’inverno 1929, quando le banchine triestine divennero banchise polari e la Bora imperversò furiosa per giorni e giorni. Perché l’antropologo ci accompagna fuori città, per i sentieri del Carso, altipiano e paesaggio, disegnato dalla Bora e dall’uomo. Un vento che da secoli ha un ruolo “nella produzione dello spazio socio-naturale”.
Un vento e un libro che lo racconta, con la consapevolezza che “l’impossibilità di sapere tutto sulla (B)ora ne aumenta il fascino”, riprendendo le parole del glaciologo Renato C. Colucci. Appoggiamoci al vento, parafrasando il titolo della tesi di Fabio Tufaro, è insieme un invito e una dichiarazione d’amore al vento.
Gli anemofili troveranno altre curiosità meteorologiche e fantasie illustrate in Ventario. Le scale dei venti, di Sarah Zambello e Susy Zanella (Nomos, 2023; pp. 80, € 24,90) un albo di medio formato utile ai bambini di ogni età. Perché con attenzione e sapienza il vento viene spiegato in maniera sintetica ma molto suggestiva.
Rivisitazioni di antiche stampe dei venti e nuove immagini dell’abc del vento, della rosa dei venti, dell’anemometro, della Scala di Beaufort e della meno nota Scala Fujita. Se la scala dell’ammiraglio inglese, che risale al 1806 e va da 0 a 13 descrivendo gli effetti del vento sulla superficie del mare è d’uso comune a bordo delle navi, quella di Mr. Tornado era praticamente sconosciuta in Mediterraneo, che era esente da questi fenomeni meteorologici di devastante violenza.
Da qualche anno invece i Medicane, per usare un neologismo meteorologico che è contrazione dell'inglese “Mediterranean Hurricane”, sono purtroppo frequenti e la classificazione di Fujita che va da F0 (105-135 km/h) a F5 (>322 km/h) diventa un utile strumento descrittivo.
Una scala che le due autrici della anemoi novel, illustrano con i colori minacciosi del cielo e con le parole di chi ha vissuto quelle esperienze. Tra questi David Foster Wallace che fin da bambino aveva fondato una sua personale religione del vento, essendo cresciuto nell’Illinois, terra di tornadi. Senza dimenticare, aggiungo io, che nacque a Ithaca …
Ma non facciamoci spaventare, nella consapevolezza che i venti sono demoni, nell’accezione greca del termine di “esseri divini” (bellissima e struggente la tavola dedicata al mito di Anemone!), capaci d’allietarci e terrorizzarci, comunque indispensabili alla vita. Venti rinfrescanti, energetici… impollinatori! Venti da studiare, per ritrovare un’armonia perduta. Venti da ingraziare, alzando una vela per andare lontano.
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