Cooperazione, riconciliazione, libertà dei media. Al summit di Trieste, nella cornice del Processo di Berlino, le società civili dei Balcani occidentali hanno presentato le loro raccomandazioni alla politica
Nel summit di Trieste dell'11 e 12 luglio, le società civili dei Balcani occidentali hanno ribadito la volontà di contribuire agli obiettivi del Processo di Berlino, presentando ai decisori politici una serie di raccomandazioni sui principali temi messi sul tavolo durante un incontro tenuto nel comune della città giuliana la mattina di mercoledì 12 luglio.
Nonostante l'atteggiamento costruttivo, e la consapevolezza che nell'attuale contesto politico del Vecchio continente l'iniziativa lanciata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel nel 2014 resta senza alternative, appare però evidente la difficoltà di dare una chiara cornice a quello che il Processo di Berlino significa per la regione e per le sue prospettive di integrazione nell'Unione europea.
La società civile dei Balcani occidentali ha ribadito che il Processo non può e non deve rappresentare un'alternativa all'allargamento, visto come naturale sbocco di un percorso cominciato con gli impegni europei presi nella dichiarazione di Salonicco del 2003.
Un elemento su cui però ci sono letture diverse e poche certezze: l'invito che arriva da Bruxelles a una cooperazione regionale approfondita, accompagnata dalla firma del trattato sui trasporti e dall'apertura di negoziati su una futuribile area economica comune nei Balcani occidentali, non è stato accompagnato da alcun impegno su un rilancio dell'allargamento.
All'incontro, con la società civile, definito “fortemente voluto” e “carburante del processo di integrazione” dal ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano, che insieme al sindaco di Trieste Roberto Di Piazza ha fatto gli onori di casa, hanno partecipato tra gli altri il commissario UE ai negoziati sull'Allargamento Johannes Hahn, e i ministri degli Esteri di Macedonia (Nikola Dimitrov), Albania (Ditmir Bushati), Kosovo (Enver Hoxhaj) e Montenegro (Srđan Darmatović).
La società civile chiede un ruolo chiave nel Processo di Berlino
Le raccomandazioni della società civile, pensate per dare un “contributo concreto alla discussione sulle priorità del Processo”, sono state presentate dal professor Floran Bieber, direttore del Centre for Southeast European Studies all'Università di Graz. In generale, la richiesta è quella di un'inclusione sistematica e più profonda della società civile all'interno delle dinamiche politiche stimolate dal Processo di Berlino, nei campi che vanno dal rafforzamento dello stato di diritto alla lotta alla corruzione, dalla cooperazione regionale a quella giovanile nell'area.
Particolare accento è stato posto sulle questioni che riguardano la protezione dell'ambiente, le energie rinnovabili e il cambiamento climatico. “La povertà e l'inefficienza energetica, combinate all'inquinamento dell'aria rappresentano la questione più urgente in tutta l'area dei Balcani occidentali”, sottolinea il documento presentato dalla società civile.
“Per tenere vive le speranze che accompagnano questo percorso, abbiamo bisogno di una success story ogni anno, che dia la dimensione concreta di un processo vivo e con ricadute importanti sulla vita quotidiana dei cittadini dei Balcani occidentali”, ha concluso Bieber.
Le organizzazioni dei Balcani occidentali rivendicano anche la capacità e il ruolo di ponte nel comunicare le ambizioni e le strategie concrete del Processo di Berlino alle proprie società, soprattutto in un momento di crescente populismo e intolleranza, e con la prospettiva di un futuro ingresso nell'Ue ancora lontana all'orizzonte.
Per Simonida Kacarska, dell'European Policy Institute, in questa fase è poi assolutamente necessario “tenere aperti i canali di comunicazione tra i cittadini dei Balcani occidentali e quelli dei paesi UE, per poter superare paure e diffidenza”. Rivolgendosi ai politici in aula, la stessa Kacarska ha poi ribadito il ruolo fondamentale della società civile nel criticare costruttivamente le decisioni prese nel quadro del Processo.
“La società civile ha sempre espresso con chiarezza le sue valutazioni, anche negative, sia nei confronti dei propri governi e del Processo di Berlino. Non va però dimenticato che restiamo i veri e più convinti sostenitori dell'integrazione europea dei Balcani occidentali. Le critiche nei confronti del Processo vogliono essere un contributo a migliorarlo, e non per metterlo in discussione.”
Riconciliazione e libertà dei media
Nataša Kandić, fondatrice ed ex direttrice del Centro per il diritto umanitario di Belgrado e ora responsabile dell'iniziativa per la riconciliazione nei Balcani denominata REKOM , ha messo sul tavolo il difficile tema di giustizia e riconciliazione, sottolineando quanto le società civili dell'area abbiano fatto e invitando i governi della regione a portare a compimento un compito difficile, ma indispensabile per superare le differenze e rilanciare un futuro comune. “Nei Balcani occidentali è tempo di condividere le responsabilità per quanto accaduto nel passato, soprattutto riguardo ai recenti conflitti”, ha dichiarato la Kandić. “La società civile si è rivelata uno strumento indispensabile per conoscere, informare e superare quei traumi, ma ora tocca agli stati fare un passo ulteriore: è tempo di fare i nomi dei carnefici e di dare riconoscimento a tutte le vittime.”
Un altro tema scottante, quello della libertà dei media e di informazione, è stato sollevato da Remzi Lani, dell'Albanian Media Institute . “Nonostante gli impegni e le promesse, nei Balcani occidentali si ha l'impressione che tutto sia cambiato perché tutto resti uguale. L'intolleranza e il populismo sono in crescita, mentre la società civile vive quella che definisco una 'crisi di orientamento'. La situazione è particolarmente preoccupante nel campo della libertà dei media, dove non ci sono progressi da registrare”. Lani ha chiesto un impegno concreto affinché la libertà dei media sia maggiormente inclusa nelle priorità del Processo di Berlino. “Bisogna ribadire, ancora una volta, che la libertà di espressione è un principio che non può tollerare compromessi”.
Le risposte della politica
Da parte dei rappresentanti politici c'è stato una sostanziale convergenza di principio e sulle priorità espresse dalla società civile, che però non risolve le numerose zone d'ombra. Il ministro Alfano ha ribadito la posizione politica dell'Italia, che “vuole rilanciare un progetto di stabilità, pace, benessere e prosperità, e crede fermamente nell'idea che i Balcani occidentali debbano avere il loro posto nell'Unione europea”. “Difficile non essere d'accordo con le raccomandazioni ricevute”, gli ha fatto eco il commissario Hahn, per poi puntualizzare che “il problema resta sulla strategia migliore per implementarle”.
Il ministro degli Esteri albanese Bushati ha messo in evidenza le difficoltà che vengono dalla dimensione economica. “La buona volontà non è sufficiente, siamo rallentati dalla scarsità delle risorse finanziarie a disposizione, visto che la regione nel suo complesso, ancora non si è ripresa dalla crisi finanziaria. Il gap tra i Balcani occidentali e l'Ue si è allargato invece di ridursi, se non siamo in grado di recuperare, le possibilità di integrazione si riducono drasticamente”.
Particolare la posizione del neo-ministro macedone Dimitrov, che viene proprio dal mondo della società civile. “La mia storia ribadisce che l'obiettivo comune non è semplicemente entrare nell'Ue, ma portare i valori comuni europei nella nostra regione. La Macedonia in questo senso è un esempio importante del ruolo fondamentale della società civile, che regge anche quando le istituzioni sembrano soccombere.”
“Con la Brexit”, ha concluso Dimitrov, “i Balcani occidentali hanno un'opportunità in più: fare in modo che l'Ue possa nuovamente sentirsi un progetto nuovo, attraente e in grado di fare la differenza. Possiamo contribuire a ridare fiducia al progetto comune europeo, un'occasione che non dobbiamo perdere”.
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