Giornate di proiezioni molto affollate alla 35esima edizione del Trieste Film Festival, principale appuntamento italiano dedicato al cinema dell’Europa centro-orientale. Tra le opere premiate, il lungometraggio ucraino "Stepne" dell'esordiente Maryna Voda e il documentario armeno “1489” di Shoghakat Vardanyan
Lo scorso 27 gennaio si è concluso con le vittorie dei favoriti, il 35° Trieste Film Festival . Nove giorni di proiezioni affollate, segno di un rinnovato rapporto di fiducia con il pubblico cittadino e non solo, con la presenza di molti giovani grazie anche ai progetti internazionali con gli studenti delle accademie.
Il Premio Trieste per i lungometraggi è andato all’ottimo ucraino “Stepne ”, opera prima di Maryna Vroda, già premiata al Festival di Locarno. Menzioni speciali agli attori Jovan Ginić per il bel serbo “Lost Country ”di Vladimir Perišić e all’ungherese Ágnes Krasznahorkai per “Without Air – Elfogy a levego” di Katalin Moldoval. Quest’ultimo ha ricevuto pure il premio del pubblico, il premio Cineuropa e il premio Cei – Central European Initiative.
“Without Air” è la storia di Ana, insegnante di letteratura nel prestigioso liceo Balossi che sta per celebrare i suoi 150 anni. Una docente dai metodi forse poco convenzionali, messi in chiaro fin dalla sequenza iniziale, ma benvoluta dagli studenti ed efficace nel far raggiungere loro gli obiettivi. Un giorno la protagonista suggerisce alla classe di vedere a casa “Poeti all’inferno” (curiosamente diretto dalla polacca Agnieszka Holland, il cui “Green Border” è stato tra gli eventi del TSFF), scatenando le ire dell’influente e reazionario padre dello studente Viktor. La preside all’inizio regge alle pressioni, ma, con l’avvicinarsi dell’anniversario dell’istituto, comincia a cedere alle ingerenze e a mettere sotto inchiesta Ana, abbandonata anche dalla maggioranza dei colleghi. Così l’insegnante si ritrova “Senz’aria”, un po’ come l’Ungheria democratica soffocata da Orban e dai suoi. Il film è però un debutto un po’ tagliato con l’accetta, interessante nelle questioni che affronta ma un po’ pretenzioso nella fattura (sembra la versione involuta di “Sesso sfortunato o follie porno” del romeno Radu Jude o di “Club Zero” dell’austriaca Jessica Hausner) e approssimativo nelle soluzioni registiche (si fanno notare gli inutili carrelli all’indietro durante le riunioni degli insegnanti). Un caso esemplare di come spesso si guardi più al contenuto che alla forma non del tutto convincente: bisogna tenere conto che si tratta di un esordio nell’accettarne i limiti, ma anche riconoscerli in un film dove prevale la tesi sul resto. Molto brava l’interprete Ágnes Krasznahorkai a dare credibilità al personaggio e a tenere in piedi il tutto.
Tra gli altri titoli in concorso nella sezione lungometraggi, il romeno “Libertate ” di Tudor Giurgiu. Un film corale ambientato a Sibiu nei giorni successivi alla rivoluzione contro Ceaușescu del 1989. Le proteste degenerano in uno scontro tra esercito, milizia, Securitate e civili. L’esercito, che “è sempre dalla parte del popolo”, arresta i membri degli altri corpi, considerati a favore di Ceaușescu, e li tiene prigionieri in una piscina vuota. Tra questi c’è Viorel, che si preoccupa di essere liberato per il battesimo del figlio in programma il 7 gennaio, ma è accusato di aver sparato sulla folla.
Chi ha ragione? Dopo il 22 dicembre sono cambiate le prospettive e i nemici definiti “terroristi” sono cambiati. Tutti sono un po’ colpevoli e collusi, fino alla fine, compreso un “semplice cittadino”. “Libertate”, dalla parola ripetuta spesso e dal canto intonato sulla melodia di “Va’ pensiero”, è un film concitato, nel quale si fatica a capire chi è chi e chi sta con chi e rende l’idea della confusione che regnava. Ricorda un po’ “Paper Will Be Blue” (2006) di Radu Muntean, sullo scontro tra soldati e Militia nella notte del 21 dicembre.
Sempre tra i lungometraggi, il croato “Hotel Pula ” di Andrej Korovljev che si svolge nella città istriana nell’estate 1995.
È finita la scuola, per Una (brava l’esordiente Nika Grbelja), adolescente che vive con la madre e il fratellino, mentre il padre li ha lasciati per trasferirsi in Italia. La ragazza frequenta le amiche e un coetaneo, partecipa alle feste in spiaggia, ha una vita come tante. Il vicino Hotel Pula ospita parecchi profughi bosniaci sfuggiti alla guerra, tra questi il quarantenne Mahir (Ermin Bravo), che sta in quel limbo da tre anni dopo essere scampato alla morte nella valle della Drina. I due si incrociano più volte per caso, finché fanno conoscenza e iniziano a frequentarsi. Intanto dal passato dell’uomo ricompare la misteriosa Vahida.
Un film sul contrasto tra due vite, due ambienti e due mondi, tra punti di incontro e di frizione. Da una parte una località turistica e una ragazza che prende consapevolezza di sé e comincia a voler fare le proprie scelte autonome. Dall’altra un uomo che vive alla giornata, con il trauma della guerra in Bosnia, il senso di colpa per essere sopravvissuto e quasi la rassegnazione a non poter rifarsi una vita. Nel suo lavoro, Korovljev aggiunge un piccolo tassello al racconto di quegli anni, una variazione sul tema della vita dei profughi, in un piccolo film, lineare, curato, senza troppe pretese e alcuni momenti riusciti (bello il montaggio alternato tra il pestaggio e la discoteca).
Tra i documentari premio principale all’armeno “1489” di Shoghakat Vardanyan e menzione a “Motherland” di Alexander Mihalkovich e Hanna Badziaka. Sempre tra i documentari, il nostro Premio Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa è stato assegnato al romeno “Intre revolutii – Between Revolutions” di Vlad Petri. Un documentario epistolare, basato sulle corrispondenze tra Maria e Zahra, studentesse di medicina e amiche nella Bucarest di metà anni ‘70. Nel 1978 Zahra decise di tornare in Iran perché nel suo Paese sta succedendo qualcosa di storico. Suo padre è militante socialista, la giovane lo aiuta a redigere e distribuire i volantini propagandistici finché cade lo Scià. Il ritorno in patria di Khomeini fa prendere un’altra piega alla rivoluzione e si arriva al referendum per la repubblica islamica. Pure la Romania prende una piega più repressiva e la Securitate controlla e censura la corrispondenza delle donne, mentre Zahra non dà più notizie all’amica. Si arriva alla caduta del regime di Ceausescu e ai primi anni ‘90, per fare un bilancio dell’accaduto. Petri mette in parallelo due rivoluzioni tradite, sebbene molto diverse tra loro, accomunate dalla sensazione di essere “vittorie confiscate”.
Il film è costruito sulla base di lettere conservate negli archivi della Securitate creando due personaggi di fantasia e nei dialoghi sono utilizzati frammenti di poesie di Nina Cassian e Forugh Farrokhzad.
Lo sloveno “Cent’anni ” di Maja Doroteja Prelog ha ricevuto i voti del pubblico come miglior documentario. Un film molto personale, nel quale la regista inizia parlando in prima persona del fondersi e diventare tutt’uno con il partner e della sua continua paura di restare sola, ritrovandosi da sola a 34 anni per la fine di una relazione. Prelog ripercorre velocemente infanzia e adolescenza, ricordando di sentirsi chiusa nel suo mondo, finché, a 19 anni, conosce Blaz e ne resta affascinata per la sua indipendenza. Se una studia cinema, l’altro studia architettura e costruiscono un rapporto nel quale i viaggi e lo sport sono molto importanti, mentre l’idea di avere figli è rimandata a più avanti. All’improvviso nel maggio 2017, mentre sono in Calabria a girare un cortometraggio, il giovane sta male, gli diagnosticano una leucemia e inizia la chemioterapia, finché può ricevere il trapianto grazie alla sorella donatrice. Due anni dopo Blaz, appassionato di ciclismo, sembra tornato in forma e progetta un suo giro d’Italia, mentre ammira il ciclista Roglič in maglia rosa, dalle Dolomiti all’Etna. Così propone a Maja di filmarlo e farne un documentario che racconti il suo recupero, il viaggio così com’è senza renderlo spettacolare, facendo in modo che sia utile per altri malati. Peccato che presto tra loro comincino le incomprensioni e i litigi e il film diventi uno psicodramma: sui bei momenti toccanti (il colloquio a tre con la sorella dopo l’intervento riuscito) prevalgono quelli dolorosi e drammatici. I due si riprendono spesso l’un l’altra. Il viaggio occupa due terzi di un documentario che può apparire esagerato e squilibrato, ma che ha episodi interessanti e una sincerità di fondo.
Fuori concorso è passato, in anteprima italiana, “Scream of My Blood – A Gogol Bordello Story ” di Nate Pommer ed Eric Weinrib, ovvero la storia di Eugene Hutz e del suo gruppo. Dal padre appassionato di rock (e per questo anti-sovietico) alla scoperta del gruppo sovietico V.V., fino al grande impatto del disastro di Chernobyl, che ebbe un effetto interessante sul giovane Eugene. Sfollato da Kiyv per allontanarsi dalla nube radioattiva, ha modo di frequentare lo zio fisarmonicista e scoprire l’anima folk dell’Ucraina. Sarà un’influenza che porterà con sé negli Stati Uniti, quando emigra con la famiglia, incontrando musicisti immigrati da ogni parte del mondo e facendo una musica che ha radici profonde e sa mescolarsi. Un film che si batte per l’Ucraina (Hutz sottolinea che il nome è un omaggio al grande scrittore ucraino) e che non delude chi conosce e ama Hutz e il suo gruppo.
Tra i cortometraggi, premio della giuria a “Land of Mountains” di Olga Kosanović e premio del pubblico a “A Piece Of Liberty”.
Il Premio Corso Salani, rivolto a lungometraggi italiani indipendenti alla memoria dell’indimenticabile regista e attore fiorentino, è stato attribuito a “Lala” di Ludovica Fares, subito uscito nelle sale.
Nei prossimi mesi una selezione del programma, comprendente “Hotel Pula”, “Cherry Juice ” di Mersiha Husagić e “Arthur & Diana ” di Sara Summa, prenderà parte al Trieste Film Festival in Tour con Lo Scrittoio in varie città italiane.
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