Una scena del fil Dom (Trieste film festival)

Una scena del fil Dom (Trieste film festival)

Si è chiuso il 25 gennaio scorso il 23° Trieste Film Festival. Vincitore a sorpresa il film slovacco “Dom - la Casa” della regista Zuzana Liová. Nei documentari premiato lo sloveno “Aleksandrinke”

27/01/2012 -  Nicola Falcinella

Il film slovacco “Dom – La casa” di Zuzana Liová ha vinto un po’ a sorpresa la 23° edizione del Trieste Film Festival . Il voto del pubblico, che quest’anno ha sostituito la giuria tecnica, ha scelto l’opera seconda della regista slovacca, preferendolo agli altri sette di un concorso di ottimo livello. Molto più pronosticabile il successo, nel concorso documentari, dello sloveno “Aleksandrinke – Le donne di Alessandria” di Metod Pevec, che ha commosso gli spettatori con le vicende delle donne che abbandonarono le famiglie per lavorare in Egitto.

Tra i cortometraggi, il premio Mediterraneo Cinema offerto dalla Fondazione Mediterraneo è andato a “Apele tac – Fiume silenzioso” della romena Anca Miruna Lăzărescu. Il Premio Cei 2012 è stato assegnato al cinema di Milcho Manchevski: il regista di “Prima della pioggia” ha portato “Majki – Madri” nella serata inaugurale del festival e ha tenuto un’interessante masterclass agli studenti delle scuole di cinema del progetto Eastweek che ha coinvolto anche il maestro ungherese Istvan Szabo. Infine il premio “Zone di cinema”, riservato alle produzioni dell’area di confine e offerto dalla Provincia di Trieste, è andato ex equo a “Trieste racconta Basaglia” di Erika Rossi e “Far away is Home. La storia di Clely”  di Diego Cenentiempo.

“Dom – La casa”

La Liova racconta in “Dom” (passato lo scorso anno al Festival di Berlino nella sezione Forum) con grazia e profondità una storia di famiglia particolare, con al centro la studentessa adolescente Eva. La ragazza vive in campagna con i genitori e fa tutti i giorni la pendolare con la cittadina dove studia. Suo padre Imrich sta costruendo le case per le figlie accanto a quella dei genitori. Ma quando la maggiore, la diciottenne Jana, resta incinta, la caccia di casa e si dedica solo all’abitazione per la figlia minore. Eva non vuole tagliare i ponti con la sorella, sogna un amore e si ribella al padre, iniziando anche una relazione con un professore sposato.

Nuovi registi greci

La Grecia, proprio mentre piangeva la morte del grande Theo Angelopoulos (travolto martedì al Pireo da una motocicletta mentre stava girando un nuovo film sulla crisi economica, “Al di là del mare” con Toni Servillo), ha ribadito l’esistenza di una nuova generazione di registi.

In questo caso Filippos Tsitos con il suo terzo lungometraggio, “Adikos kosmos – Mondo ingiusto”, vincitore a settembre al festival spagnolo di San Sebastian. Il regista era già premiato nel 2009 a Locarno (nonché vincitore al Filmfestival del Garda 2010) per il suo precedente “Akadimia Platonos” - L’accademia di Platone”. L’attore protagonista, Andonis Kafetzopoulos, è lo stesso, interprete perfetto di una vicenda alla Kaurismaki: di non molte parole, ironia, atmosfere rarefatte, persone ai margini della società e dilemmi morali.

Il tema non è lontano da quello di “Politist, Adjectiv - Police, Adjective” (2009) del romeno Corneliu Porumboiu. Un maturo poliziotto, Sotiris, è molto comprensivo con gli accusati: vuole essere “giusto” e tende ad archiviare i loro casi dopo un primo, approssimativo interrogatorio, bypassando spesso la legge. Quando con un collega vuole salvare un altro accusato, acquistando da un informatore le prove, si trova a sparare a una guardia giurata colpendola a morte. I due fanno sparire il cadavere ma c’è una testimone, Dora, una donna delle pulizie che ha pure ritrovato la busta con i soldi per pagare le rivelazioni. Tra i due, nel gioco per nascondere o manipolare la verità, scatta anche l’amore. “Adikos kosmos” è un film universale, che interroga sul significato di onestà e di giustizia, con tutti i volti giusti e una regia precisa e raffinata, con alcuni piani sequenza e carrelli che spostano la scena da un punto all’altro sempre in modo giustificato.

Road-movie

Nel concorso, già passati al Festival di Sarajevo, erano pure i due bei road-movie con protagonisti ventenni o poco più, il bulgaro “Avè” di Konstantin Bojanov e lo sloveno “Izlet – Un viaggio” di Nejc Gazvoda, entrambi esordienti. Nel primo un ragazzo e una ragazza si conoscono facendo autostop e tra diffidenza e attrazione condividono solitudini, tormenti esistenziali e sensi di colpa andando da Sofia al Danubio. Un trio di amici si ritrova qualche anno dopo la fine della scuola nel film sloveno.

Omosessualità, guerra e malattia in un viaggio verso il mare, dove i paesaggi aperti e solari fanno da sfondo a uno svelamento progressivo e una triangolazione di gelosie, segreti e affetto. Molto bello pure “The Lonelinest Planest” di Julia Loktev girato sulle montagne caucasiche (e già in gara al Fetival di Locarno): una coppia americana fa trekking d’altura in compagnia di una guida, ma l’incontro inaspettato con dei banditi cambia in modo sorprendente la loro relazione. Anche qui il paesaggio brullo e quasi sempre in ombra non fa solo da sfondo all’azione.


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