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Giustizia deteriorata (Quinn Dombrowski - Flickr)

Il 30 giugno 2017 si è tenuto a Trento un seminario dedicato alla violazione dei diritti civili in Turchia. Il magistrato Luca Perilli ha presentato la situazione dello stato di diritto nel paese. Il riassunto della sua analisi

08/08/2017 -  Luca Perilli*

(Originariamente pubblicato sulla rivista La Magistratura - organo dell'Associazione Nazionale Magistrati )

Cos’è accaduto alla democrazia turca? Perché, dopo il tentativo del colpo di stato del luglio 2016 lo stato di diritto ha ceduto? Perché questo accanimento senza precedenti contro magistrati, poliziotti, avvocati, giornalisti e accademici?

Con questo scritto non intendo proporre delle risposte a queste domande ma offrire una testimonianza, avendo avuto l’occasione di assistere da vicino alla trasformazione dell’ordinamento giudiziario turco, al rafforzamento e poi al repentino declino dello stato di diritto, alla speranza, poi tradita, dell’affermazione dei diritti fondamentali.

Consegno una cronologia di fatti che riguardano per lo più il sistema giudiziario turco, nella convinzione che questa cronologia possa offrire una chiave di lettura degli accadimenti, diversa da quella strettamente legata al tentativo del colpo di Stato e alla reazione del governo.

La sequenza degli eventi dell’ultimo decennio consente di distinguere due periodi: un primo che ha inizio con l’apertura dei negoziati per l’accesso della Turchia all’Unione Europea e un secondo periodo, quello della deriva dello stato di diritto, che ha inizio ben tre anni prima della sua degenerazione più visibile e clamorosa, nel 2013, l’anno delle proteste di Gezi Park e delle indagini sulla corruzione dei membri del Governo turco.

Dal 2005 al 2013 il sistema giudiziario turco ha conosciuto una trasformazione profonda. La sfida era quella di creare uno spirito di indipendenza e un’attenzione al “servizio” in una magistratura fortemente condizionata dalle gerarchie esterne e interne, attenta agli interessi dello Stato e poco incline alla tutela dei diritti individuali, soprattutto a quelli delle minoranze e della minoranza curda in particolare.

Il periodo che va dal 2008 alla metà del 2013, quello che secondo il Presidente turco corrisponderebbe in gran parte (quantomeno dal 2010) alla fase della costruzione di uno Stato nello Stato (lo Stato parallelo degli affiliati al movimento “gulenista”), fu interessato da riforme feconde. Gli aspetti più visibili del rafforzamento dello stato di diritto e dell’attenzione alla tutela dei diritti fondamentali furono le riforme costituzionali del 2010 e la relativa attuazione.

Alla fine del 2010 si svolse l’elezione libera e a voto segreto di un Consiglio superiore della magistratura indipendente, composto per la maggior parte da magistrati, in gran parte rappresentativi delle giurisdizioni di merito ed eletti da magistrati.

Nello stesso anno fu introdotto il ricorso individuale alla Corte costituzionale per la tutela dei diritti fondamentali, che la Corte, a partire del 2012, amministrava con efficienza ed effettività.

Al contempo, la giustizia penale, che era stata sovente feroce nell’applicazione delle misure restrittive della libertà personale, si dimostrava più attenta, nella legge e nella pratica, ai diritti dei minori e alle garanzie della difesa nel corso delle indagini e nel processo, in una progressiva ricerca di aderenza alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Si trattava di una trasformazione progressiva, anche se lenta, con la persistenza di problemi di indipendenza interna della magistratura, di violazioni – anche gravi – dei diritti degli indagati nei procedimenti penali.

Inoltre restava immutata e minacciosa la legge anti terrore, amministrata da Procure e Tribunali anti terrore, con gli arresti e i processi “di massa”, specialmente nei confronti dei curdi, e con le repressioni della libertà di stampa.

Ma la strada imboccata era quella giusta e ne fanno fede i progress reports della Commissione europea. Dopo Gezi Park, nel maggio 2013, che mostrò a un pubblico internazionale l’uso sproporzionato della forza dello Stato contro una popolazione laica e pacifica, le indagini del dicembre 2013 sulla corruzione del governo rappresentarono il punto di svolta e l’occasione per una prepotente repressione dell’indipendenza della magistratura e della libertà di stampa.

La decadenza dello stato di diritto non è coincisa con la reazione del Governo al tentativo di colpo di Stato ma ha ben salde le sue radici negli interventi del Governo su polizia e magistratura della fine del 2013 e inizio del 2014 e nella legislazione del febbraio 2014 (la cosiddetta omnibus law).

Le rimozioni e gli arresti di poliziotti e magistrati cominciarono ben prima del luglio 2016. Le liste di proscrizione, rese note il giorno successivo al tentativo del colpo di Stato, erano già state utilizzate per trasferimenti di massa di giudici e pubblici ministeri, talvolta a processo in corso. Inoltre, con il “pacchetto sicurezza” del marzo 2015 la Turchia scivolava verso lo stato di polizia.

Non si può dunque dimenticare che in questo contesto, nel novembre 2015, l’Unione Europea concordava con il Governo turco di rilanciare il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea e di accelerare la tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti, in cambio dell’impegno della Turchia di contribuire alla soluzione della “crisi migratoria”. Seguiva il tentativo del colpo di Stato e la reazione del Governo.

E non è un caso che i primi due arresti abbiano colpito due giudici della Corte costituzionale, Alparslan ALTAN e Erdal TERCAN, perché proprio la Corte costituzionale turca continuò, anche dopo il 2013, a rappresentare un baluardo per la difesa dello stato di diritto, provvedendo, ad esempio, in sede di ricorso individuale per la tutela dei diritti fondamentali, a “riaprire il social network Twitter” che era stato colpito dalla censura del Governo, a liberare dalla custodia cautelare parlamentari appartenenti al partito filo curdo BDP e al partito di opposizione, a liberare dalla custodia cautelare il direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dündar, nonché il direttore dell’ufficio di Ankara, Erdem Gül, che erano stati arrestati con l’accusa di rivelazione di segreti di stato e spionaggio, per avere pubblicato notizie giornalistiche riguardanti la perquisizione e il fermo da parte della Procura di due camion, appartenenti a servizi segreti turchi, che sarebbero stati in procinto di trasportare illegalmente armi in Siria.

Fu la Corte costituzionale ad annullare per contrarietà alla costituzione la legge che svuotò il Consiglio superiore della magistratura della sua indipendenza. È possibile in Turchia ritornare allo stato di diritto? La riposta è superiore alle mie capacità di analisi. Le purghe hanno profondamente inciso la società civile, la stampa, l’accademia.

I giudici sono stati licenziati e sostituiti da altri assunti a tempi di record, secondo una procedura che non ne garantisce l’imparzialità.

Sono invece certi gli insegnamenti della storia turca, insegnamenti noti ma che è bene ripetere a noi stessi: che l’indipendenza della magistratura, di giudici e pubblici ministeri, il libero associazionismo dei giudici e un’avvocatura libera e forte, sono cardini dello stato di diritto, così come lo è la libertà di stampa; che sui diritti fondamentali, ossia le basi della convivenza comune europea, non è ammesso nessun cedimento.

*Giudice, componente del comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura

Il dossier

Il Dott. Luca Perilli è intervenuto al seminario "La democrazia sotto attacco: la compressione dei diritti civili in Turchia" svoltosi a Trento il 30 giugno, organizzato da OBC Transeuropa e Sindacato dei Giornalisti Trentino Alto Adige/Südtirol. I temi sono approfonditi nel Dossier pubblicato sul sito Europeanrights. Scarica il pdf


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