Nel 2001 l'indagine Mandelli negò una relazione certa tra linfoma di Hodgkin e uranio. Conclusioni criticate, messe in dubbio persino da ex membri della Commissione. Ora il direttore generale della Sanità militare annuncia un altro studio epidemiologico
Un articolo tratto da "La Nuova Ecologia"
Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che è anche capo delle forze armate, intervenga sul caso dei militari italiani esposti all'uranio impoverito. Lo chiede il presidente dell'Associazione italiana assistenza vittime arruolati nelle forze armate (Anavafaf), Falco Accame.
Un altro militare, fa sapere Accame, è morto per linfoma di Hodgkin. Si tratta di Fabio Porru di Cagliari e il fatto, prosegue il presidente dell'Anavafaf, «si è saputo al solito casualmente, dal padre nel corso di un convegno, mentre si tratta di dati che il Ministero della Difesa dovrebbe comunicare alle Commissioni parlamentari della Difesa. Finalmente - ha proseguito - dopo le errate valutazioni espresse a seguito della Relazione Mandelli, nella quale si dava per certo che l'uranio impoverito non presentasse pericoli, sta emergendo la verità: la Relazione era affetta da gravissimi errori di calcolo, solo in piccola parte evitati nelle relazioni successive». Ora, ha aggiunto, «vista l'indifferenza delle istituzioni, è necessario che intervenga direttamente il capo dello Stato».
A poche ore dalle dichiarazioni di Accame, il direttore generale della Sanità militare, generale Michele Buonvito, nel corso di un'audizione alla commissione Difesa della Camera ha reso noto che a cominciare dal prossimo agosto partirà uno studio epidemiologico sull'uranio impoverito promosso dalla stessa Sanità militare. I primi risultati ci saranno dopo 18 mesi e cioè all'inizio del 2006. Mille militari italiani impegnati in missioni all'estero saranno monitorati nel tempo per avere, in meno di 10 anni, una risposta «inequivocabile» sui possibili legami tra esposizione all'uranio impoverito e aumento dell'incidenza dei tumori. L'iniziativa, ha detto il generale, «rappresenta la logica conclusione dei tanti sforzi sin qui posti in essere dalla Difesa per cercare di sgomberare il campo dai dubbi sul tema dei rischi per la salute legati ai vari teatri operativi».
Lo studio si propone di valutare la presenza di esposizione a uranio impoverito; evidenziare la presenza di esposizione non previste a sostanze cancerogene; stimare il rischio di tumore in funzione della variazione della frequenza delle sostanze tossiche studiate. La principale innovazione di questo studio, ha proseguito il direttore della Sanità militare, «consiste nella caratteristica prospettica e seriale della ricerca, in base alla quale per ogni militare sottoposto alle indagini è prevista l'analisi di campioni di urine prelevati prima e al termine dell'impiego in area di operazione». Tra le ipotesi da verificare quella sostenuta da Antonietta Morena Gatti dell'Università di Modena, che avendo rinvenuto delle nanoparticelle di elementi metallici in campioni bioptici di militari italiani affetti da patologie tumorali, reduci da aree balcaniche, ha supposto che potessero derivare da inalazione o ingestione di polveri fini. Queste polveri, che possono risultare dall'impatto dei dardi contenenti uranio impoverito contro obiettivi «duri», sarebbero in grado secondo la studiosa di innescare, se inalati o ingeriti, un processo neoplastico.
Lo studio è basato sull'adesione volontaria e ciò comporta la necessità di avviare iniziative di informazione preliminari, in modo da raccogliere il consenso alla partecipazione. Questa, secondo il generale, «rappresenta l'unica via in grado di raggiungere un'ottima sensibilità nei sottogruppi di soldati potenzialmente esposti a vari agenti genotossici ed evidenziare, in un ragionevolmente breve intervallo di anni, l'esistenza di importanti incrementi nel rischio di tumore».
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