Le voci su un possibile boicottaggio dei poliziotti serbi inquadrati nel Kosovo Police Service si sono trasformate in azione concreta. Alcune centinaia di agenti, dopo aver richiesto di ricevere ordini esclusivamente dall'Unmik, hanno deciso di non recarsi al lavoro e sono stati sospesi
Le voci su un possibile boicottaggio dei poliziotti serbi inquadrati nel Kosovo Police Service (KPS) dopo la proclamazione di indipendenza del Kosovo, formalizzata lo scorso 17 febbraio, si sono trasformate in azione concreta. Ben 260 poliziotti serbi hanno già riconsegnato le proprie armi, in segno di protesta.
Tutto è successo nell'arco di alcune ore, tra venerdì 29 febbraio e sabato 1° marzo. Prima a Gracanica, circa cento poliziotti hanno rifiutato di entrare nella locale stazione di polizia. Dopo due giorni di negoziati, la stessa cosa è poi successa anche nella regione di Gjilan/Gnijlane, nel Kosovo orientale, non lontano dal confine con la Serbia.
La richiesta formulata dai membri serbi del KPS era quella di non sottostare agli ordini del comando albanese, ma solamente a quello dell'Unmik. Con questa azione di protesta, i poliziotti hanno mostrato la propria solidarietà con gran parte della popolazione serba che vive oggi in Kosovo, che richiede il rispetto della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Ogni giorno, a partire dal 17 febbraio, a Mitrovica, città situata nel nord del Kosovo e divisa su linee etniche dal fiume Ibar, i cittadini serbi si riuniscono per manifestare e protestare alle ore 12:44, proprio in riferimento alla risoluzione.
Nebojsa Mirkovic, è uno dei poliziotti che ha restituito la propria arma. Ora dice di non sapere che cosa accadrà nel prossimo futuro: "Per adesso abbiamo rimesso tutto, armi, tesserini di identificazione, radio". Stojan Milosevic, comandante della stazione di polizia di Gracanica, afferma che non è Belgrado a dirigere la loro azione di protesta, ma il popolo serbo in Kosovo. "Siamo qui per esprimere il nostro scontento, e saremo vicino al nostro popolo che vive nelle enclaves del Kosovo centrale".
A Gracanica, però, la situazione sembra essersi evoluta in modo tutt'altro che privo di tensioni. Secondo il portavoce del KPS per il distretto di Pristina, distretto di cui fa parte anche Gracanica, nella notte che ha preceduto la protesta, i poliziotti serbi hanno tentato di prendere il controllo della stazione di polizia. Secondo alcune fonti, i poliziotti serbi avrebbero tentato di prendere la stazione con un atto di forza, ma la polizia e stata informata e i membri albanesi della KPS si sono recati sul posto, impedendo che questo avvenisse.
La mattina seguente i poliziotti serbi sono rimasti in strada, ed hanno boicottato ogni tipo di attività fino all'arrivo della polizia dell'Unmik. Un lungo negoziato si è quindi sviluppato all'esterno della stazione di polizia di Gracanica, mentre i poliziotti serbi continuavano a rifiutarsi di recarsi sul posto di lavoro. Tra le richieste presentate, c'era quella di creare un corpo di polizia dei serbi del Kosovo, che però non è stata accolta dalla polizia dell'Unmik.
Alla fine il comando della KPS, in collaborazione con quello della polizia dell'Unmik, ha preso la decisione di sospendere per 48 ore i poliziotti serbi che hanno preso parte alla protesta. I due giorni sono già trascorsi, ma nessuno dei poliziotti serbi ha ancora rivestito la propria uniforme. Veton Elshani, portavoce del KPS ha affermato che "il periodo di sospensione continuerà fino a quando l'indagine dell'ispettorato di polizia non verrà conclusa."
Attualmente sono circa 700 i poliziotti serbi che servono nelle fila del Kosovo Police Service, più o meno il 10% delle forze impiegate. A Mitrovica nord la stazione di polizia è diretta da un ufficiale serbo, Milija Millosevic e dalle forze dell'Unmik.
A Gracanica dove, come a Mitrovica, i cittadini protestano ogni giorno alle 12:44, è stato creato anche un crisis group locale, che sta tentando di far ritornare i poliziotti serbi nel KPS, però solamente se dovranno rispondere agli ordini dell'Unmik.
Dragutin Sovanovic, leader del crisis group, ha dichiarato ad Osservatorio che "nella stazione di polizia di Gracanica, attualmente, sono rimasti solamente poliziotti albanesi. In questa situazione, anche un piccolo problema potrebbe causare incidenti molto pericolosi".
Il boicottaggio si è allargato anche all'interno dell'amministrazione locale in varie municipalità. A Gjilan/Gnjilane, Kamenica e Viti/Vitina 73 serbi hanno presentato le dimissioni dal proprio posto di lavoro, dichiarando di non riconoscere l'indipendenza del Kosovo.
Srdjan Jovanovic, impiegato nell'assemblea comunale di Gjilan/Gnjilane ha dichiarato che i serbi non vanno al lavoro perché hanno paura per la propria sicurezza personale.
Secondo Qemajl Mustafa, capo dell'amministrazione della stessa municipalità, il boicottaggio del lavoro da parte dei serbi non è però legato al tema della sicurezza, ma ha motivazioni esclusivamente politiche. "Credo che il vero motivo si nasconda nella proclamazione di indipendenza del Kosovo, e non nella mancanza di sicurezza nel venire al lavoro", ha dichiarato Mustafa ad Osservatorio.
Nel frattempo, nella parte nord del Kosovo le autorità serbe stanno tentando di riprendere il controllo di parte dell'infrastruttura ferroviaria, dopo che lunedì 3 marzo una manifestazione di alcune decine di ferrovieri serbi ha bloccato a Zvecan un treno proveniente da Pristina.
"Le tensioni in Kosovo continueranno, perché la dichiarazione di indipendenza ha tranquillizzato solamente gli albanesi, che rappresentano il 90% della popolazione, ma non i serbi che vengono diretti da Belgrado", è l'opinione dell'analista politico Ramush Tahiti.
Secondo Tahiti, non è da escludere una radicalizzazione degli atti contro l'indipendenza del Kosovo da parte della popolazione serba, volti a provocare reazioni da parte albanese. L'intenzione dei serbi del Kosovo, conclude ancora Tahiti, è quella di fare del Kosovo indipendente uno stato non in grado di funzionare.
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