Fare giornalismo d'inchiesta in Kosovo è difficile ma necessario. Un'intervista a Vehbi Kajtazi, autore di numerosi articoli che hanno messo in luce i rapporti tra la politica kosovara e il crimine organizzato
(Articolo pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 10 settembre 2014)
Quale la situazione dei media in Kosovo?
E' una situazione difficile. Attualmente non abbiamo che un quotidiano ed un canale televisivo che provano ad essere professionali ed imparziali, resistendo a pressioni di varia natura. Sono Koha Ditore e la televisione KTV. Il gruppo editoriale di Koha, per cui lavoro, deve resistere a pressioni molto forti che vengono esercitate sui giornalisti. E' la cattiva situazione finanziaria rende la posizione dei media ancora più difficile.
Che rapporti intrattengono con il governo e i poteri economici i media pubblici e privati del Kosovo?
RTK, la televisione pubblica, è totalmente sotto il controllo del potere e di vari gruppi di interesse, tra i quali anche quelli legati alla criminalità. RTK è finanziata direttamente dal governo, è controllata quindi dal potere politico e finanziario di Hashim Thaçi, il primo ministro uscente. Il budget annuale di RTK è di dieci milioni di euro, assicurati dallo stato. Da parte loro i media privati hanno pochi mezzi finanziari. Ciononostante spesso dimostrano una migliore qualità professionale e deontologica. Koha Ditore deve far fronte a continue pressioni, anche finanziarie, ma anche a minacce dirette.
In cosa si concretizzano queste pressioni e minacce?
Un caso recente ed eclatante di pressione sui media indipendenti è quello dell'operatore IPKO, che offre pacchetti satellitari. E' un'azienda slovena la cui proprietà è in parte in mano ad alcuni kosovari, molto legati al potere in Kosovo. Nel pacchetto offerto da IPKO hanno spostato il canale KTV dal terzo al quarantatreesimo posto, a seguito di alcuni miei articoli e altre inchieste condotte da alcuni miei colleghi.
Lo spostamento nel pacchetto è avvenuto lo stesso giorno della pubblicazione su Koha Ditore di una mia inchiesta sulle relazioni tra i proprietari ed azionari di IPKO ed il potere kosovaro: era un forma di pressione e minaccia sul gruppo Koha.
Nell'inchiesta avevo rivelato che il Primo ministro Thaçi viveva in un appartamento di proprietà di Bujar Musa, azionario di IPKO, e che l'azienda ha offerto, senza alcuna base legale, una borsa di studio al figlio di Fatmir Limaj, al tempo ministro delle Telecomunicazioni. Un altro azionario di IPKO, Akan Ismaili, è stato nominato ambasciatore del Kosovo negli Stai uniti. Tutto questo mette a nudo la realtà di un governo legato agli uomini d'affari, pronti a soffocare il diritto di parola e i media indipendenti.
Molto frequenti anche i casi di aggressione nei confronti dei giornalisti. Ho denunciato decine di casi alla polizia. Uno è finito in tribunale qualche mese fa: la procura ha chiesto una condanna per aggressione per una persona che lavorava presso il gabinetto del Primo ministro. Mentre conducevo la mia inchiesta varie persone legate al governo sono andate nel mio villaggio d'origine a trasmettere messaggi alla mia famiglia...
La scorsa primavera hai pubblicato una serie di articoli che si basavano su documenti secretati della Nato. Come hai avuto accesso a quei documenti e quali le reazioni alla pubblicazione dei tuoi pezzi, in Kosovo e all'estero?
Non posso dirvi come mi sono procurato i documenti. Vi sono state molte reazioni in Kosovo, anche perché evidenziavo i legami con la criminalità organizzata di alcune figure eminenti della politica kosovara tra le quali il primo ministro Thaçi e il suo rivale Ramush Haradinaj. La pubblicazione di questi documenti ha rivelato i metodi criminali d'arricchimento dei politici.
Quale la tua opinione su questi documenti della Nato?
Credo che siano veritieri. Non penso che la Nato si basi su pettegolezzi. Sono dati usciti da un lavoro di inchiesta e sul terreno e dai rapporti degli informatori che la Nato ha in seno ai partiti politici del Kosovo o in organizzazioni come lo SHIK (Servizi segreti kosovari, ndr).
Quale la responsabilità dei media nella situazione attuale del Kosovo, caratterizzata da corruzione, crimine organizzato e crimine etnico o politico?
Siamo tutti responsabili. Noi, i giornalisti, abbiamo sempre fatto del nostro meglio. Abbiamo sempre fatto inchieste e pubblicato sui crimini, sulla corruzione... Molti processi giudiziari sono stati avviati da inchieste giornalistiche e molte persone sono state arrestate a seguito di questi procedimenti. Per esempio questo è avvenuto con lo scandalo corruzione a Prizren, rivelato da Koha Ditore ben prima che se ne occupasse la giustizia. Ed alla fine è finito sotto processo lo stesso sindaco della città, Ramadan Muja.
E' quindi possibile fare giornalismo d'inchiesta in Kosovo?
In Kosovo vi è giornalismo d'inchiesta e lo si fa ogni giorno. Non penso che la nostra situazione sia peggio di quella in altri paesi della regione. Può darsi che in passato fosse migliore, ma non bisogna dimenticare che la fragile situazione finanziaria della stampa si riflette anche sul giornalismo d'inchiesta.
Quali sono le sfide future del giornalismo in Kosovo?
Quelle principali sono finanziarie. Inoltre i media sono sotto il controllo di uomini d'affari, in gran parte legati alla criminalità organizzata. Per questa ragione servirà un grande aiuto dell'Unione europea e di altre organizzazioni internazionali per sostenere i media che praticano un giornalismo indipendente, al servizio dell'interesse pubblico.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.
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