Lo hanno riconosciuto 54 su 192 dei paesi dell'Onu, 22 su 27 di quelli Ue. Tutti gli altri ancora no. Poco è cambiato ad un anno dall'indipendenza e il Kosovo ancora assomiglia più ad un protettorato internazionale che ad uno stato sovrano

13/02/2009 -  Luka Zanoni

È trascorso un anno dal giorno della proclamazione dell'indipendenza kosovara. Un anno in cui, a dire il vero, la situazione in Kosovo non è cambiata molto. Dal 17 febbraio 2008, la neo repubblica si è dotata di una nuova costituzione, di una serie di nuove leggi e di una forza di sicurezza composta da 2500 uomini addestrati dalla Nato. Forza di sicurezza che Belgrado, per voce del ministro degli Esteri Vuk Jeremić, non ha esitato a bollare come "illegale, paramilitare, una minaccia diretta alla sicurezza nazionale della Serbia".

I rapporti tra Pristina e Belgrado restano tali quali erano in precedenza, nonostante gli appelli della comunità internazionale ad aprire uno spazio di dialogo, sulla base dell'accordo in sei punti accettato dall'Onu lo scorso novembre e riguardante dogane, magistratura, funzionamento della polizia, ecc. Accordo stretto tra Belgrado e l'Onu, ma che non è mai stato accolto da Pristina.

Anche sul fronte europeo non ci sono stati rilevanti passi in avanti. Il Parlamento europeo ha approvato il 5 febbraio scorso una risoluzione con la quale si invitano tutti i membri Ue che ancora non lo hanno fatto a riconoscere il Kosovo indipendente. Risoluzione proposta dal deputato dei verdi olandesi Joost Lagendijk e votata a Strasburgo con 424 voti a favore e 133 contrari. I voti contrari, per la maggiore, sono attribuibili ai deputati dei cinque paesi Ue che non hanno riconosciuto il Kosovo indipendente: Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia.

La risoluzione è stata un debole tentativo di compattare l'Unione sulla questione Kosovo. Debole, anzitutto, perché non vincolante. Tanto che la Grecia e la Slovacchia hanno subito dichiarato che non hanno alcuna intenzione di modificare la propria posizione sul Kosovo. Chiare le parole del ministro degli Esteri slovacco, Jan Škoda: "Nemmeno l'adozione della risoluzione, che non è stata appoggiata dai deputati slovacchi al Parlamento europeo, può cambiare qualcosa riguardo alla posizione della Slovacchia, che è di non riconoscere la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo".

D'altra parte - ricorda Doris Pack, responsabile al Parlamento europeo per le relazioni con il sud est Europa - "l'Ue non è un unico stato, bensì una comunità di stati in cui ogni stato può decidere in modo individuale. Non siamo gli Stati Uniti e per questo motivo non si può fare niente per cambiare le posizioni di quei membri dell'Ue che ancora non hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo". La deputata tedesca, però, non dimentica però di precisare che "una cosa è chiara: 27 paesi membri hanno appoggiato la missione Eulex in Kosovo".

Su scala più ampia sino ad ora solo 54 dei 192 paesi membri delle Nazioni Unite hanno riconosciuto il Kosovo. E se da un lato è vero che questi paesi formano complessivamente oltre il 70% del Pil mondiale, è altrettanto chiaro che il processo di riconoscimento, tanto auspicato un anno fa, ha subito un rallentamento. Decelerazione in parte dovuta anche al fatto che la Serbia ha chiesto alla Corte di giustizia internazionale un parere sulla legalità internazionale dell'atto di dichiarazione di indipendenza. Per la sentenza, anche in questo caso non vincolante, si dovrà aspettare qualche anno.

Sul campo sono intanto spiegati diversi organismi internazionali: Eulex, Ico, Unmik, Kfor. Si va dalla missione europea, al rappresentante speciale europeo, alle forze di sicurezza della Nato, all'amministrazione provvisoria dell'Onu. Un intreccio di poteri e di funzioni che rende difficile capire chi decide cosa in Kosovo.

Oggi il Kosovo rimane più simile ad un protettorato che ad un paese indipendente, e Peter Feith, Rappresentante speciale dell'Ue in Kosovo, ha fatto notare al Parlamento europeo che "non si sa quanto tempo dovrà trascorrere prima che il Kosovo raggiunga una piena indipendenza".

A un anno dall'indipendenza, poi il nord del Kosovo resta ancora una zona separata dal resto del territorio. Sempre Feith ha precisato che l'integrazione del nord del Kosovo in un unico sistema è "un compito pericoloso", e per risolverlo è necessaria una politica di "buone relazioni", solo così - secondo Feith - il Kosovo potrà raggiungere la "piena indipendenza". Per essere più espliciti, il Kosovo non può fare a meno di una normalizzazione dei rapporti con la Serbia.

Belgrado e Pristina, però, sono ancora molto distanti. A partire dalle celebrazioni. Se Pristina celebrerà il 17 febbraio come giorno dell'indipendenza, Belgrado considera tale data un "giorno nevralgico" - parole del responsabile degli Esteri Jeremic - col timore che il nord del Kosovo diventi teatro di scontri, e farà di tutto per ricordare il 17 marzo 2004, giorno delle violenze antiserbe in Kosovo. Per un'indipendenza accompagnata da sovranità effettiva si dovrà ancora attendere.


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