Mentre si sono spenti i riflettori sulla scena kosovara, trapelano notizie dalla nebbia dell'informazione. Un aggiornamento sulle vicende di marzo.
In questi giorni benché se ne parli poco il Kosovo rimane al centro dell'attenzione della comunità internazionale. La scorsa settimana una delegazione della NATO, guidata dal segretario generale Jaap De Hoop Scheffer, è stata in visita a Pristina dove ha incontrato gli alti funzionari dell'UNMIK e i rappresentanti dei partiti locali. Sempre la scorsa settimana il Gruppo per il sostegno del Kosovo ha incontrato a Belgrado il neo ministro degli esteri Vuk Drašković. Infine lunedì 26 aprile una sessione straordinaria del ministri degli esteri dell'UE ha discusso, oltre che del referendum di Cipro, anche della situazione in Kosovo.
Da questi incontri, visite ufficiali e discussioni agli alti vertici ne esce il solito quadro. Non è ammissibile che le violenze, ripetutamente condannate, si ripetano in futuro. Verrà dato l'appoggio massimo affinché ciò non si ripeta e forse sarà necessario un impegno maggiore dei militari internazionali presenti sul territorio. I capi delle diplomazie europee invece hanno ribadito la necessità del proseguimento del dialogo tra Pristina e Belgrado, così come hanno ribadito la priorità sul versante della sicurezza e della multietnicità della regione.
Se da un lato le versioni ufficiali, battute dalle agenzie, non fanno che ribadire quanto già sappiamo da tempo, altre notizie nei giorni scorsi sono apparse sulle pagine dei media d'oltre mare. Notizie che insistono piuttosto sulle cause e responsabilità delle violenze del 17 e 18 marzo, cosa che per il momento non sembra preoccupare più di tanto le cancellerie internazionali.
Il 21 aprile scorso la trasmissione radiofonica Kažiprst dell'emittente belgradese B92 ha mandato in onda un servizio, realizzato con diverse interviste, dal titolo: "Chi c'è dietro le violenze di marzo in Kosovo?". Ovviamente nel servizio vengono avanzati sospetti e dubbi, niente di matematicamente dimostrabile. Tuttavia vale la pena di riportare alcune delle posizioni emerse durante la trasmissione, in particolare riguardanti il numero effettivo dei morti durante gli scontri di marzo.
Secondo le informazioni ufficiali dell'UNMIK, di cui abbiamo già dato notizia, inizialmente i morti sarebbero stati 28, tuttavia Miloš Milić, giornalista di B92, fa notare che qualche giorno dopo il primo annuncio la stessa UNMIK ha cambiato versione sostenendo che i morti sarebbero 19: 11 albanesi e 8 serbi. Tra l'indifferenza generale di questa rettifica si inserisce un articolo di "Tema" quotidiano di opposizione di Tirana. Secondo "Tema" ci sarebbero almeno sei corpi non ancora identificati nell'obitorio di Pristina. I senza nome, sempre secondo il quotidiano di Tirana, non sarebbero cittadini kosovari ma albanesi, appartenenti a gruppi di estremisti politici vicini al premier Fatos Nano.
Ora, va tenuto in considerazione che il quotidiano "Tema" è un giornale di opposizione, quindi vicino alla linea politica di Sali Berisha, acerrimo rivale di Fatos Nano, e che sin dall'inizio l'opposizione albanese aveva immediatamente giocato la carta del Kosovo ai fini dello scontro politico interno.
Secondo lo scrittore kosovaro Baton Hadžia si tratterebbe infatti di invenzioni del quotidiano di Tirana, le quali non hanno alcuna connessione con la verità dei fatti. Si tratterebbe di condurre a proprio favore la drammaticità dei fatti verificatisi in Kosovo. Hadžia rigetta anche la possibilità che gruppi paramilitari abbiano attraversato il confine tra Albania e Kosovo per partecipare alle violenze.
Non dello stesso parere è il giornalista Milivoje Mihajlović, il quale si basa sulle testimonianze di abitanti di Gnjlane, Pristina, Kosovo Polje e Obilić. Secondo le informazioni di Mihajlović si tratterebbe di bande giunte dall'Albania, ma è lui stesso ad ammettere che non ci sono prove evidenti, non ci sono tracce, non ci sono documenti, ecc.
Nonostante ciò Mihajlović ritiene che già dal 1999 tra i gruppi che hanno minacciato e derubato i serbi del Kosovo, si presume ci fossero bande provenienti dall'Albania ... "si presume" appunto.
Dalla nebbia dell'informazione spuntano le accuse del capo del Centro di coordinamento per il Kosovo Nebojša Čović nei confronti dell'UNMIK. Secondo Čović l'UNMIK avrebbe posto una sorta di embargo sul rapporto concernente le indagini svolte sulla morte dei tre ragazzini di Zupče, affogati nel fiume Ibar, da alcuni ritenuto il movente dello scoppio delle violenze di marzo. Secondo Čović "Il rapporto stilato è stato nascosto agli occhi dell'opinione pubblica e su di esso è stato posto un embargo. In quel rapporto c'è scritto cosa veramente è accaduto e che non c'è alcuna relazione coi serbi". Secondo il portavoce della polizia dell'UNMIK, Neeraj Singh, i dati riportati da Čović non sono esatti "l'indagine sull'annegamento dei bambini è ancora in corso, e in questo momento non possiamo rilasciare dichiarazioni a tale riguardo. Quando sarà terminata renderemo pubblici i risultati".
Tuttavia Dušan Janjić, direttore del Forum per le relazioni interetniche, il quale ha partecipato agli incontri dedicati alla crisi kosovara tenutisi a Belgrado con i funzionari della NATO e dell'UE, sostiene che anche dalla comunità internazionale iniziano ad essere espressi dubbi su possibili manipolazioni dei rapporti da parte dell'amministratore ONU Harri Holkeri.
Dall'OSCE nel frattempo è arrivata la secca condanna del comportamento dei media kosovari, in particolare della televisione kosovara, per il discutibile approccio informativo sulle vicende di marzo. Il rapporto dell'OSCE critica soprattutto la copertura da parte dei media locali del tragico annegamento del gruppo di bambini albanesi il 16 marzo scorso. L'evento fatale è stato descritto come un atto criminale con motivazioni etniche.
C'è infine un'ultima notizia che trapela dalle nebbie dell'informazione ed è ancora più nebulosa delle altre. Si tratta dell'indagine in corso sulla sparatoria verificatasi il 17 aprile nel carcere di Kosovska Mitrovica, durante la quale il sergente maggiore Ahmed Mustafa Ibrahim Ali, palestinese della Giordania, ha sparato sui suoi commilitoni, uccidendone tre e ferendone 11, prima di essere colpito a morte.
Secondo l'agenzia Associated Press, un anonimo ufficiale della NATO avrebbe posto un collegamento tra il militare giordano-palestinese e Hamas. Le autorità stanno indagando sul viaggio svolto da Ali in Arabia Saudita solo un mese prima di raggiungere, in marzo, la missione in Kosovo.
Anche di questa storia non si sa molto di più, salvo che le indagini sono in corso e che i risultati saranno resi noti in futuro...
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