Il caso "Artemije" continua a dividere la Chiesa ortodossa in Kosovo. Pur avendo accettato la propria destituzione, l'ex vescovo, ora accusato di scisma dal Sinodo di Belgrado, ha tentato senza successo di riprendere il controllo dei monasteri a nord di Mitrovica
La festa di San Michele
Domenica 21 novembre, di mattina presto, centinaia di famiglie serbe si sono ritrovate a Mitrovica Nord per celebrare la Festa di San Michele Arcangelo (Aranđelovdan), uno dei santi patroni più popolari in Serbia. In chiesa, il profumo di dozzine di focacce e pani ornamentali sulle tavole imbandite si mescolava alla fragranza dell'incenso, mentre il coro intonava canti religiosi e i fedeli erano immersi in preghiera: nulla sembrava turbare l'immagine idilliaca di pace e armonia all’interno della Chiesa Ortodossa Serba.
Ma solo a pochi chilometri di distanza, nel vicino monastero di Duboki Potok, si era appena verificato un vero e proprio dramma. Il 19 novembre, in reazione all’elezione del nuovo vescovo diocesano della Chiesa serba del Kosovo, Teodosije, l'ex vescovo Artemije e un gruppo di seguaci sono infatti tornati in Kosovo dalla Serbia centrale per riprendere controllo di alcuni monasteri del Kosovo settentrionale.
Nonostante i tentativi di rimpossessarsi di tutti i monasteri del Kosovo settentrionale, Artemije e i suoi fedeli monaci e suore sono riusciti ad entrare soltanto in due monasteri, situati in una suggestiva area fuori Mitrovica Nord. Nonostante il Sinodo gli avesse in precedenza proibito di officiare il servizio ecclesiastico, Artemije ha celebrato la messa nella mensa di uno dei monasteri, dopo che l’igumeno (abate) Romilo aveva impedito a lui e ai suoi seguaci di entrare in chiesa.
Assieme alle poche dozzine di monaci e suore seguaci di Artemije anche alcuni fedeli. La notizia è stata subito riportata dalla stampa locale e nazionale in Serbia. Per i serbi del Kosovo è stato un vero e proprio shock, nonostante questi ultimi abbiano spesso espresso simpatia per i discorsi e l'operato di Artemije, di stampo fortemente nazionalista.
Persino i leader nazionalisti del Nord si sono palesemente astenuti dal plaudere in pubblico all'ultima iniziativa di Artemije, anche se sostengono fortemente il tentativo dell’ex vescovo di riconquistare il comando della Diocesi serba in Kosovo. Artemije intanto è stato recentemente spogliato dell’abito talare e ridotto al rango di semplice monaco.
Ritorno all'ordine
Dato l'accaduto il nuovo vescovo della Diocesi, Teodosije, è rientrato in fretta e furia in Kosovo dalla regolare assemblea annuale del Sacro Sinodo serbo, che si stava tenendo in quei giorni. Teodosije, che è anche l'igumeno del Monastero di Visoki Dečani, ha dovuto richiedere l’intervento delle forze della polizia kosovara serba (KPS) per costringere l’ex vescovo a ritirarsi.
La polizia ha impiegato una notte intera a persuadere Artemije ad aprire la porta della stanza in cui si era rifugiato e a lasciare il monastero insieme ai suoi seguaci. Alcuni testimoni oculari hanno raccontato che gli ufficiali di polizia hanno letteralmente supplicato l’ex vescovo prima di forzare la porta. Alla fine, all’alba del giorno dopo, Artemije e i suoi seguaci hanno finalmente lasciato il Kosovo settentrionale e Teodosije ha officiato la prima liturgia del mattino.
Nel suo primo discorso al pubblico dopo l'incursione kosovara, in un albergo di una città della Serbia meridionale dove Artemiije e i suoi seguaci si erano fermati "per riposare", l’ex-vescovo, visibilmente provato e stanco, non è riuscito a dire nulla circa le sue intenzioni per il futuro. Sembrava non si aspettasse che gli eventi si sviluppassero in questo modo e che avesse contato su un maggiore sostegno da parte delle comunità serbe locali e dei loro leader, che gli è invece venuto a mancare.
Nonostante Artemije l’abbia in seguito negato, la maggioranza dei serbi kosovari ha interpretato l’ultima iniziativa dell’ex vescovo come un tentativo di dividere la Chiesa e si è astenuta da ogni eventuale scontro. I serbi kosovari sono infatti molto suscettibili riguardo all’unità della Chiesa, una delle ragioni per cui il “caso Artemije” è stato un argomento tabù in pubblico per molti mesi e anni, anche all’interno della Chiesa stessa.
Gli antefatti
Il vescovo Artemije, della Diocesi di Raška e Prizren (che comprende i territori che oggi fanno parte del Kosovo), è stato sospeso dall’incarico dal Sacro Sinodo nel maggio di quest’anno e trasferito in un’altra eparchia. All’epoca fu nominato pro-tempore un altro vescovo per l’eparchia lasciata da Artemije, l’influente metropolita Amfilohije, forse il vescovo più esposto mediaticamente dell’intera Serbia, che ha percorso i monasteri del Kosovo in lungo e in largo tentando di recuperare l'unità della Chiesa.
Sembrava che l’interminabile caso della scorretta gestione politica e finanziaria dell’Eparchia kosovara fosse finalmente in via di risoluzione e le crisi intercorse tra il Sinodo e Artemije sarebbero presto cadute nel dimenticatoio. Artemije accettò la decisione del Sinodo che gli imponeva di lasciare l’Eparchia, ma diverse decine di monaci e suore di tutto il Kosovo rifiutarono di fare altrettanto e, nonostante il richiamo all'obbedienza alla Chiesa, lasciarono il Kosovo per unirsi all'Arcivescovo.
Per mesi hanno viaggiato per tutta la Serbia; il loro quartier generale era una tenuta di proprietà di un loro seguace in Serbia centrale. In questa tenuta sono stati girati diversi filmati poi circolati in Internet e centinaia di simpatizzanti si sono recati a fare visita ad Artemije e ai suoi seguaci.
Il Sinodo a febbraio di quest’anno ha destituito Artemije dalla carica, cercando di dipanare il filo di questa pluriennale vicenda. All’opinione pubblica è stato spiegato che il tutto era riconducibile alla negativa influenza esercitata da Simeon Vilovski, l’ex segretario di Artemije, sulle attività dell’Eparchia e del vescovo stesso, compreso il coinvolgimento di Vilovski in una frode per centinaia di migliaia di euro.
Da quando Simeon Vilovski divenne il più stretto collaboratore di Artemije (quasi sei anni fa), si sono succeduti gravi scontri religiosi e politici all'interno dell'Eparchia del Kosovo. Vilovski iniziò infatti a condannare la partecipazione di alcuni monasteri al piano di ricostruzione di chiese ortodosse e monasteri distrutti e profanati in Kosovo, promosso dal governo di Pristina.
I seguaci di Artemije hanno dimostrato grande animosità nei confronti del monastero di Decani, noto per la sua vicinanza alla comunità internazionale e hanno attaccato i capi spirituali del monastero, l’arcivescovo Teodosije e frate Sava, accusandoli di tradimento ed ecumenismo. In pubblico, la disputa ha addirittura assunto i tratti dell’odio personale, nonostante sia fratello Sava che l’egumeno Teodosije siano stati i più stretti collaboratori di Artemije per decenni.
Artemije Radosavljević aveva conquistato la popolarità internazionale negli anni ’90, quando si oppose fieramente al regime di Milošević. Era benvoluto anche al di fuori della Jugoslavia, e veniva ricevuto ad eventi e incontri di alto livello, fino al momento in cui iniziò a difendere con forza i serbi, nel 1999, inizialmente con l’appoggio del suo Servizio stampa del monastero di Decani.
A partire dalla metà degli anni 2000, Artemije iniziò a prendere sempre più le distanze dai contatti con i rappresentanti della comunità internazionale in Kosovo, dai quali veniva ripagato con la stessa moneta. Contemporaneamente, prese sempre più le distanze dal monastero di Decani, si circondò di nuovi seguaci, guidati dal suo segretario Simeon Vilovski, e iniziò ad investire moltissime risorse nella costruzione di chiese e monasteri nel Kosovo settentrionale.
All'interno della Chiesa serba del Kosovo vennero presto a formarsi due fazioni, interpretate dall'opinione pubblica internazionale come due ali distinte: un'ala radicale guidata da Artemije e i moderati sotto la guida del vescovo Teodosije. Molti pensano che l’elezione dell’igumeno di Decani e del vescovo vicario Teodosije a nuovo vescovo diocesano del Kosovo sia stata la molla che ha provocato l’incursione di Artemije e dei suoi seguaci nei monasteri del nord.
Tra la Chiesa e i seguaci di Artemije erano volate nei mesi passati pesantissime accuse. I due uffici stampa hanno ingaggiato una vera e propria guerra su Internet, sui loro siti ufficiali e sui social network. La Chiesa serba accusa Artemije di scisma, mentre i seguaci di Artemije accusano il Sinodo e il Patriarca di attaccare l'autonomia del vescovo e di avere occupato i monasteri ortodossi del Kosovo.
I semplici fedeli fanno una certa fatica a conciliare l’immagine di una Chiesa fortemente improntata alla spiritualità e al valore della pace con le parole così dure e intransigenti che echeggiano da entrambe le parti. “Fortunatamente, i semplici fedeli che seguono Internet sono pochi, e non sono stati sottoposti al bombardamento di pamphlet e comunicati stampa degli ultimi mesi. Si limitano ad andare in chiesa e nei monasteri, e quello che vi trovano sono preti e monaci che pregano in pace”, ha dichiarato un cittadino di Mitrovica (che non vuole rivelare il suo nome in pubblico) mentre si recava in chiesa il giorno di San Michele.
“E' molto doloroso tutto ciò, non abbiamo molta voglia di parlarne, non in questi momenti così duri, non mentre siamo circondati da tanti nemici. E' la mia slava, e voglio passarla in pace con la mia famiglia”, ha detto l’uomo, con il pane consacrato e la candela tra le mani, mentre si incamminava lento lungo il tortuoso sentiero che conduce ai piedi della collina dive sorge la chiesa.
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