Lo scorso 20 giugno Jessen Petersen, amministratore ONU del Kosovo, ha relazionato per l'ultima volta davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (è infatti dimissionario). Dalle sue parole un Kosovo dinamico, a passo spedito verso l'indipendenza

27/06/2006 -  Davide Sighele

"Mi si lasci dire all'inizio che il Kosovo oggi presenta il quadro di una società in stabile progresso", è questa una delle prime frasi pronunciate da Soeren Jessen Petersen davanti ai membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, lo scorso 20 giugno. Era chiamato alla sua ultima relazione da amministratore internazionale del Kosovo, relazione cruciale dato che a luglio, secondo alcune anticipazioni, si dovrebbe iniziare a fare sul serio ai negoziati di Vienna sullo status.

Una relazione breve ma ricca di spunti, emblematica della politica adottata da Jessen Petersen in questi due anni di governatorato del Kosovo. Una valutazione sull'operato del governo guidato dall'ex UCK Agim Ceku, considerazioni in merito alla sicurezza delle comunità minoritarie e sul rapporto tra la comunità serba del Kosovo e Belgrado e poi auspici e punti di vista sui negoziati in atto.

Petersen ha giudicato molto positivamente i 100 giorni di governo di Agim Ceku, succeduto, lo scorso marzo, a Bajram Kosumi. "La performance delle autorità del Kosovo è divenuta dinamica e progressiva come mai precedentemente". Petersen non ha usato i mezzi toni, come non li aveva usati nel definire "amico" l'ex premier Ramush Haradinaj all'indomani della sua incriminazione presso l'Aja.

Ceku, anch'egli presente a New York, ha raccolto le lodi di Petersen ma non è stato esente da critiche in patria: in una rubrica settimanale di Koha Ditore, tra i principali quotidiani del paese, al fianco del suo nome viene messo un bel -. "Perché dopo 100 giorni di governo e dopo aver ricevuto un rapporto da ogni ministro, non ha punito e nemmeno criticato l'operato di nessuno. In parole povere Ceku si è rimangiato ciò che aveva detto dopo la sua nomina". All'avvio del suo mandato Ceku, anche e sopratutto in risposta ad accuse di corruzione al governo uscente, aveva promesso 100 giorni di lavoro e poi una valutazione dell'operato di ogni singolo ministro.

Petersen al Palazzo di Vetro ha poi riconosciuto che la situazione della minoranza serba rimane difficile: "Molti di loro si sentono confusi, esposti e isolati e non sanno cosa pensare del futuro". Quali i motivi di questa confusione? Petersen va al punto in modo abbastanza esplicito: "Troppo spesso il solo messaggio che raggiunge i serbi del Kosovo è quello di non entrare in contatto con la maggioranza ... tutte le volte che avviene un fatto di criminalità che vede come vittima un serbo del Kosovo si proclama sia avvenuto per motivi etnici. Anche se non vi è alcuna prova in merito ... questo non fa che perpetuare un clima di insicurezza in seno alle comunità serbe del Kosovo". E' chiaro che i destinatari di queste critiche sono le autorità di Belgrado. Poi Petersen rinacara la dose accusando Belgrado di aver fatto una scelta del tutto sbagliata impedendo ai serbi del Kosovo di prendere parte alle istituzioni kosovare: "Non vedo alcun vantaggio portato ai serbi del Kosovo dalla politica isolazionista di Belgrado".

Belgrado risponde secondo canoni tradizionali. "Mentre Petersen dava una sua visione non fedele ai fatti è arrivata da Klina la notizia dell ritrovamento del corpo di Dragan Popovic, e del fatto che sia stato ucciso da colpi di arma da fuoco" ha dichiarato il direttore dell'ufficio pubbliche relazioni del governo serbo "ciò che stupisce è la crudeltà con la quale Jessen Petersen distoglie gli occhi dal fatto che i serbi vengono assassinati ed i luoghi sacri ortodossi oltraggiati".

La politica di Belgrado dal 1999 in poi, ma con radici nel decennio precedente, è stata senza dubbio quella di presentare la comunità serba del Kosovo con toni vittimisti. Quest'atteggiamento ha contribuito a fare in modo che i serbi del Kosovo non potessero impostare con più consapevolezza il proprio futuro.

Ma è obiettivamente difficile negare che non vi sia un problema sicurezza in Kosovo che riguarda le minoranze. La libertà di movimento non è ancora garantita, tutt'altro. E la confusione della comunità serba non è esclusivamente dovuta alle mistificazioni di Belgrado.

Altro passaggio di Jessen Petersen è stato dedicato alla questione dello status. Petersen premette che questa questione è cruciale. Poi fornisce una sua visione del ruolo dell'UNMIK. Non è un soggetto coinvolto nei negoziati dello status: la missione ONU ha infatti come mandato l'amministrazione provvisoria del Kosovo come sancito dalla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite. Ma, afferma Petersen, "detto questo fin dall'inizio è stato importante per me che le attività dell'UNMIK in Kosovo fossero a supporto del processo per la definizione dello status avviato a Vienna".

Poi un ulteriore passaggio che potrebbe dar ragione a chi in questi mesi ha accusato Petersen di voler già indirizzare gli esiti dei negoziati sullo status. Parlando del recente dinamismo delle istituzioni kosovare afferma: "Questo dinamismo è basato su una visione di un futuro diverso (dall'attuale, ndt), un futuro basato sui principi chiave sanciti dal Gruppo di Contatto e cioé che non vi sarà alcun ritorno alla situazione in Kosovo pre-1999, che non vi sarà alcuna divisione del Kosovo, nessuna unione del Kosovo con altri paesi o parte di altri paesi e che il risultato dei negoziati dev'essere accettabile dalla maggioranza dei cittadini del Kosovo ma deve rispettare e garantire i diritti delle minoranze".

Vale a dire un Kosovo indipendente con forti garanzie a favore della comunità serba e delle altre minoranze. Per Belgrado la strada sembra segnata. Occorre smettere di occuparsi di Kosovo esclusivamente reagendo in base alla posizione dell'opinione pubblica in Serbia e piuttosto ottenere nel processo garanzie vere a favore della minoranza serba. Ma ci si può fidare della comunità internazionale? O si rischia che una volta sancito lo status del Kosovo non interessi proprio più a nessuno? Un'eventualità purtroppo non da escludere e che non sarebbe positiva per nessuno dei cittadini del Kosovo.


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