Sono passati venticinque anni dalla fine della guerra in Kosovo: un'intera generazione, nata durante il conflitto del 1999, si affaccia alla vita adulta con un'eredità pesante, ma anche forti speranze per il futuro. Sarà una generazione di pace?
Pur non conoscendosi di persona, Donjeta Sadiku e Vesa Goci sono unite da un legame speciale: entrambe appartengono ad una generazione nata tra fiamme e macerie della guerra del 1999.
Il loro 25° compleanno coincide con il 25° anniversario della liberazione del Kosovo. Il 12 giugno del 1999 – una data significativa nella storia del paese – le prime forze terrestri della NATO furono dispiegate in Kosovo.
“Mia madre mi ha detto che quando sono nata, in ospedale, non avevano acqua da bere e lei soffriva molto”, racconta a OBCT Donjeta Sadiku, nata nel luglio 1999, poche settimane dopo la fine della guerra.
Anche Vesa – nata nel maggio 1999, durante i bombardamenti NATO contro le forze serbe – era venuta alla luce in un momento difficile, quando il futuro era ancora incerto.
“La mia nascita era stata tutt’altro che ordinaria. Mia madre, che aveva partorito in un ospedale pubblico a Pristina, un luogo pieno di tensione e incertezza, era travolta dall’ansia pensando cosa ci avrebbe riservato il futuro”, spiega Vesa a OBCT.
Secondo Linda Gusia, direttrice del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Pristina, i giovani nati nel 1999 appartengono ad una generazione della pace o – come viene definita nella letteratura scientifica – della post-memoria.
“Parliamo di generazioni che, pur non avendo ricordi personali di quanto accaduto, hanno ereditato un trauma dai loro genitori o parenti e continuano a combattere lo stress post-traumatico che, purtroppo, non è mai stato affrontato in modo adeguato”, sottolinea Linda Guisa interpellata da OBCT.
Considerando che quest’anno ricorre il 25° anniversario della liberazione del Kosovo, la leadership al potere, soprattutto nelle giornate commemorative, rivolge le sue promesse in particolare ai giovani, che rappresentano una fetta importante della popolazione.
Il Kosovo vanta molti giovani talenti – alcuni sono rimasti nel paese, altri emigrati all’estero – anche in quei settori che crescono in modo autonomo, come quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. I cittadini kosovari sembrano entusiasti di talenti come la pugile Donjeta Sadiku, che ha vinto diverse medaglie ai campionati mondiali ed europei, ed elogiano la judoka Majlinda Kelmendi, che otto anni fa aveva regalato al Kosovo il suo primo oro olimpico. Ci sono però anche altri aspetti da considerare.
Mentre i giovani, come Donjeta e Vesa, riflettono su come il contesto storico abbia influenzato il loro percorso verso il successo, Arben Hajrullahu, professore e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pristina, esprime preoccupazione per il fatto che, in assenza di un sistema educativo adeguato, le nuove generazioni possano incontrare difficoltà nel tentativo di sfruttare appieno il proprio potenziale.
“I problemi che affliggono maggiormente questa generazione – spiega Hajrullahu – sono legati al sistema educativo kosovaro che, negli ultimi 25 anni, ha lasciato molto a desiderare. Un’istruzione di qualità è un requisito necessario perché la generazione nata durante la guerra possa recuperare terreno in termini economici, impegnarsi nella vita pubblica e cittadinanza attiva, e diventare consapevole del proprio ruolo nella società”.
Il professore Hajrullahu poi precisa che l’attivismo politico, incentrato su questioni di interesse pubblico, è in declino a causa dell’apatia che deriva dalla convinzione che la situazione non possa essere cambiata.
“È importante – sottolinea il professore – che lo stato istituisca un organismo di regolamentazione con politiche fiscali finalizzate al raggiungimento della giustizia sociale in modo da stimolare i giovani a impegnarsi attivamente nella sfera pubblica”.
Per Vesa, che lavora nel settore imprenditoriale, un’istruzione di qualità è essenziale per attivare il potenziale delle giovani generazioni.
“La mia generazione è molto innovativa e dotata di competenze tecnologiche, siamo pronti a guidare la trasformazione digitale del Kosovo, sviluppando diverse soluzione alle sfide che il nostro paese deve affrontare”.
In un ambiente diverso, incontro Donjeta Sadiku mentre si allena per le Olimpiadi di Parigi 2024 in una palestra privata a Pristina, un luogo non degno di un’atleta come Donjeta. La giovane pugile però non si lamenta, né tanto meno si lascia scoraggiare dagli ostacoli politici.
“Penso di essere nata nel momento giusto per dimostrare al mondo come sono i ragazzi di questo giovane paese”, afferma Donjeta, aggiungendo che per ben quattro volte non le è stato permesso di difendere i colori del Kosovo.
“Desidero rappresentare il mio paese, il Kosovo, nonostante i problemi che potremmo avere riguardo al riconoscimento della nostra indipendenza da parte di altri paesi. Ogni rifiuto mi ha reso più forte. Ora posso partecipare ai Giochi Olimpici di Parigi e, ne sono convinta, tornerò a casa con una medaglia”.
Secondo la sociologa Linda Gusia, al di là delle questioni nazionali, i giovani kosovari devono affrontare anche altre sfide, ancora più impervie e imprevedibili di quelle affrontate dalle generazioni precedenti.
“Non ci importava più di tanto dei giovani, anche se era difficile essere bambini dopo la guerra. Ora quei bambini sono cresciuti e hanno altre battaglie da portare avanti. Hanno vissuto una pandemia globale, il mondo si sta riscaldando, e loro sono consapevoli delle difficoltà che dovranno affrontare”, conclude la sociologa.
Lo scorso 10 giugno, in occasione del 25° anniversario della liberazione del Kosovo, Tony Blair, ex primo ministro britannico, nel suo discorso al parlamento di Pristina si è detto fiducioso delle capacità delle giovani generazioni nel plasmare il futuro del Kosovo.
“Immaginate quei giovani talenti – ha affermato Blair –capaci di contribuire, in Kosovo e come parte d’Europa, a sviluppare l’innovazione tecnologica che trasformerà il mondo”.
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