Segnato da conflitti politici, scandali di corruzione e problemi sociali, il Kosovo mantiene malgrado tutto una scena mediatica relativamente vivace. Ma esercitare il mestiere di giornalista e informare l'opinione pubblica comporta gravi pericoli
(Pubblicato originariamente da Bilten , selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)
In Kosovo, dal punto di vista giuridico, le libertà di parola e d'informazione non sono messe in discussione e sono protette dalla legislazione nazionale. Come in altri paesi, queste libertà sono richiamate nella stessa Costituzione. A giusto titolo: si tratta delle basi sulle quali deve essere fondata la possibilità per i cittadini di informarsi sugli eventi che influiscono sul loro quotidiano e di controllare le responsabilità pubbliche. All'origine del processo di informazione, i giornalisti. Sfortunatamente, in Kosovo, il loro lavoro è ancora troppo spesso segnato da violenza, minacce e intimidazioni.
In un rapporto pubblicato l'anno scorso dall'associazione americana Freedom House, che segue la libertà di informazione nel mondo, il Kosovo è definito come un paese 'parzialmente libero'. Nel 2015, l'associazione dei giornalisti del Kosovo ha contato non meno di 27 minacce di morte rivolte a giornalisti. E la giustizia non pare proteggere nè i giornalisti nè la libertà di stampa: infatti una percentuale minima di casi di minacce e d'intimidazione finisce davanti ai tribunali, cosa che incoraggia le pressioni sui lavoratori dei media.
Recentemente a Pristina, Parim Olluri, redattore capo del sito Insajderi che indaga su casi di corruzione, è stato picchiato. Il 17 agosto, tre aggressori, dei quali l'identità è ancora sconosciuta, l'hanno atteso davanti al suo appartamento, mentre rientrava a casa insieme alla sua compagna. Si deve a Parim Olluri, tra gli altri, la scoperta dell'"affaire Pronto", come anche la pubblicazione di una serie di conversazioni telefoniche compromettenti, segretamente registrate tra gli alti gradi del Partito democratico del Kosovo (PDK).
Argomenti tabù
Il 13 maggio 2017, Arbana Xharra, ex-redattrice capo del quotidiano Zëri, è stata anch'essa vittima di un'aggressione fisica. Benché sia stata spesso oggetto di minacce a causa delle sue inchieste sull'estremismo religioso in Kosovo, era la prima volta che le accadeva. Gli attacchi dei quali sono rimasti vittime questi due giornalisti hanno provocato una certa frustrazione dal momento che le autorità competenti non hanno ancora individuato i responsabili. Precisiamo che queste violenze sono state denunciate da alte personalità politiche come il Presidente Hashim Thaçi e dal Primo Ministro Isa Mustafa [ormai ex primo ministro, ndr], anch'essi oggetto di inchieste giornalistiche.
Qual è dunque la causa dell'aggressione? Per ora siamo nell'ordine delle speculazioni. Nel caso di Arbana Xharra, gli eventi sembrano apparentemente legati al suo abbandono della professione giornalistica poco prima dell'aggressione e alla sua adesione al PDK. Degli avvenimenti quanto meno sorprendenti, dato che essa ha sempre criticato il PDK, così come gli altri partiti, particolarmente sul tema della corruzione e dell'estremismo religioso. In passato Arbana è stata particolarmente dura nei confronti del Presidente Thaçi e dell'attuale capo del PDK, Kadri Veseli, del quale ella è tuttavia diventata il braccio destro durante l'ultima campagna elettorale legislativa.
Dopo la sua entrata nel partito, ha manifestato il desiderio di 'servire i cittadini', di essere una voce critica cruciale in seno al PDK, esprimendo la speranza che questo partito prendesse un nuovo orientamento, in collaborazione con i rappresentanti degli Stati Uniti. Non è stata risparmiata da critiche sui social media. Un buon numero di partiti dell'opposizione e di associazioni della società civile hanno usato contro di lei termini aggressivi ed odiosi, fenomeno che non è cessato neppure dopo l'aggressione subita. Quanto alla polizia, non sembra far progressi nella ricerca dei colpevoli.
Insicurezza
Parim Olluri è stato picchiato poco dopo aver pubblicato su Insajderi un articolo intitolato "Se Adem Jashari fosse in vita, oggi sarebbe un miliardario corrotto". Jashari è stato uno dei fondatori dell’Armata di liberazione del Kosovo (UÇK), un eroe nazionale ucciso nel 1998 dalla polizia serba. L’articolo trattava del crimine organizzato tra gli ex-membri dell’UÇK. Parim Olluri ha scritto in quell'occasione che "Insajderi continuerà a scrivere di questioni mafiose" e che "dovranno aver paura di noi, perché continueremo implacabili la nostra lotta contro la corruzione e la criminalità".
In Kosovo, i problemi dei giornalisti non provengono tanto da un'insicurezza giuridica, quanto materiale. Tra il 2013 e la metà del 2016, la Piattaforma regionale per la libertà dei media e la sicurezza dei giornalisti ha censito non meno di dodici aggressioni fisiche contro giornalisti e trenta distruzioni di loro proprietà. La loro insicurezza materiale li rende vulnerabili a diverse forme di pressione. L’incertezza dell’impiego, un gran numero di ore di lavoro sotto-pagate, le opportunità di formazione insufficienti e i salari irregolari non sono che alcuni dei problemi.
Secondo uno studio del World of Journalism pubblicato nel dicembre del 2016, l'86% dei giornalisti kosovari non ha un contratto di lavoro stabile. A ciò si aggiunge un fenomeno legato alla questione della proprietà dei media. Una buona parte di questi è controllata da potenti uomini d’affari, questo è il caso per esempio di Zëri. Per questi proprietari, non si tratta di un semplice affare commerciale: i media sono in generale vicini a questo o a quel partito e sono spesso utilizzati per spingere i programmi dei partiti e i temi della campagna in funzione delle affinità del momento del proprietario. Niente di tutto ciò è sconosciuto all’opinione pubblica kosovara. Le aggressioni contro i giornalisti riguardano tutti coloro che tengono alla libertà di esprimere la propria opinione e di partecipare senza paura alle decisioni che hanno un’influenza sulla propria vita.
factbox-onlysmall
Sui rischi che i giornalisti kossovari corrono nell’esercizio della loro professione il Resource Centre per la libertà dei media curato da OBCT mette a disposizione questo report dell’Associazione dei giornalisti del Kosovo (AGK ).
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!