Il brutale omicidio del leader politico serbo-kosovaro Oliver Ivanović non fa che complicare una situazione sul campo già complessa e fragile, gettando il Kosovo in un'atmosfera di forte tensione
Cinque colpi di arma da fuoco in pieno giorno, esplosi da un'auto in corsa nel centro di Mitrovica nord, la metà serba della città simbolo della divisione tra serbi e albanesi in Kosovo. Così, nelle prime ore del mattino di martedì 16 gennaio, è stato ucciso Oliver Ivanović, uno dei leader politici più noti e discussi della comunità serbo-kosovara.
Al momento è ancora difficile fare supposizioni su mandanti e moventi dell'omicidio, che fa ripiombare il Kosovo in un'atmosfera di forte tensione a un mese dalle celebrazioni per il decennale della dichiarazione di indipendenza di Pristina da Belgrado, avvenuta il 17 febbraio 2008.
Di certo Ivanović paga il suo essere un personaggio scomodo, fuori dagli schemi, inviso a molti sia in campo albanese che in quello serbo. Leader dell'Iniziativa civica "Sloboda, demokratija, pravda - SDP" (Libertà, democrazia, giustizia), Ivanović era entrato sulla scena politica kosovara dopo il conflitto armato del 1999-2000.
Dal 2001 al 2007 aveva rappresentato la minoranza serba al parlamento di Pristina, mentre dal 2008 al 2012 era stato segretario di stato del ministero serbo “per il Kosovo e la Metohija”.
Il leader politico serbo-kosovaro era noto per le sue posizioni sfaccettate: fermo sull'inaccettabilità dell'indipendenza del Kosovo, ma aperto al confronto alla ricerca di soluzioni pragmatiche per consentire la coabitazione e la collaborazione tra le comunità kosovare. Spesso cercato dai media internazionali, Ivanović era uno dei pochissimi politici serbo-kosovari a rivolgersi agli albanesi-kosovari nella loro lingua.
Negli ultimi anni aveva assunto posizioni sempre più critiche nei confronti di Belgrado, che accusava di voler controllare in modo autoritario la vita politica dei serbo-kosovari attraverso l'imposizione dall'alto della “Srpska Lista” (Lista serba), formazione legata al presidente Aleksandar Vučić.
Nel 2014 il colpo di scena: Ivanović viene accusato da una corte EULEX - la missione UE in Kosovo - di crimini di guerra contro la popolazione civile albanese nel biennio 1999-2000. Ivanović si dichiara innocente, ma in primo grado viene condannato a nove anni. A inizio 2017, però, la Corte di Appello di Pristina annulla il verdetto, ordinando una ripetizione del processo, ancora in corso.
In una recente intervista per il settimanale “Vreme”, Ivanović aveva espresso forti preoccupazioni per il clima di instabilità in Kosovo e la propria incolumità personale (lo scorso luglio, l'automobile del politico era stata data alle fiamme), puntando il dito contro i gruppi malavitosi serbi che operano – secondo il leader di SDP in modo indisturbato – nel Kosovo settentrionale.
L'uccisione di Ivanović ha avuto subito larga eco in Kosovo e nella regione. Tutti i leader politici, kosovari, serbi e internazionali hanno condannato con fermezza l'omicidio, che rischia di cementare la situazione di stallo o addirittura di aprire nuovi e imprevedibili scenari di scontro.
La prima conseguenza diretta è stata la decisione di Belgrado di ritirare la propria delegazione a Bruxelles, impegnata nel tentativo di riaprire il difficile negoziato con la controparte kosovara, che negli ultimi anni ha fatto registrare rari e limitati passi in avanti.
I giorni dell'entusiasmo per la firma degli Accordi di Bruxelles (aprile 2013), voluti e sponsorizzati dall'UE, sembrano ormai lontani, e il punto centrale di quell'intesa, la creazione di un'Associazione delle Municipalità serbe in Kosovo - che dovrebbe garantire un alto grado di autonomia ai serbi del Kosovo - rimane lettera morta.
In questi anni le comunità serba e albanese hanno imparato faticosamente a coabitare, gli incidenti di violenza inter-etnica sono diminuiti, ma le speranze di un vero superamento delle ferite del conflitto e di un nuovo clima di convivenza restano frustrate.
Nel frattempo, il Kosovo continua a vivere una situazione politica, sociale ed economica estremamente difficile. L'incapacità di raggiungere un accordo col vicino Montenegro sulla definizione dei confini condanna il paese – caso unico nei Balcani occidentali – a rimanere sulla “lista nera” di Schengen, povertà e corruzione restano endemici, lo sviluppo economico anemico.
Nelle ultime settimane, ripetuti tentativi del parlamento di Pristina di azzerare la nuova Corte Speciale - voluta dall'UE per giudicare i presunti crimini di guerra della guerriglia albanese dell'UÇK -, che potrebbe portare alla sbarra nomi importanti dell'élite albanese-kosovara oggi al potere, presidente Hashim Thaçi e premier Ramush Haradinaj inclusi, ha provocato ferme reazioni sia da parte europea che statunitense. C'è il rischio reale di guastare i rapporti tra Pristina e quelli che restano i principali garanti della fragile indipendenza kosovara.
Una situazione complessa, che l'omicidio di Ivanović rende ancora più delicata.
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