Sono numerosi i volontari italiani in Kossovo. Qualcuno è riuscito a mandare una mail, altri li abbiamo sentiti per telefono. Raccontano di una situazione drammatica.
Sono molte le associazioni e le ONG italiane che hanno continuato a lavorare in questi anni in Kossovo nonostante l'attenzione di media e donatori si sia spostata prima verso l'Afghanistan e poi verso la crisi in Iraq. Spesso si occupano di progetti volti a riavvicinare le due comunità principali che vi abitano: serbi ed albanesi. In queste ore di concitazione abbiamo cercato di raggiungerli al telefono.
"Sono nel mio ufficio a Pec/Peja. Dall'UNMIK ci hanno consigliato vivamente di non uscire di casa" afferma Fabrizio Bettini, dell'Operazione Colomba. Da anni quest'ultima assieme al Tavolo trentino per il Kossovo promuove programmi di riconciliazione tra albanesi e serbi. Laboratori teatrali, corsi di fotografia, escursioni alpinistiche e progetti volti al ripristino ambientale le attività nelle quali sono riusciti a far lavorare assieme giovani di entrambi i gruppi.
"La tensione è alta" afferma Fabrizio "per fortuna sino ad ora mi dicono che la situazione nell'enclave serba di Gorazdevac è tranquilla e non vi sarebbero stati incidenti. Ma tranne alcune telefonate ad amici le informazioni le reperiamo anche noi dal satellite", ricorda. "E' un ulteriore passo indietro che purtroppo non fa altro che confermare atti di violenza già avvenuti la scorsa estate quando proprio a Gorazdevac erano stati uccisi due ragazzini serbi". Fabrizio comunque conferma che a Pec/Peja sarebbero state anche prese di mira e bruciate due macchine dell'UNMIK, l'amministrazione internazionale del Kossovo.
Furio Ottomani, a lungo impegnato in Kossovo, commenta la questione dei rientri. "Di nuovo ci troviamo di fronte alla cecità non solo della comunità internazionale (ufficiale) ma anche della società civile che non ha avuto il coraggio di dire come stavano le cose" afferma Furio secondo il quale le ONG avrebbero favorito il rientro dei serbi, operazione difficilissima de gestire "ai fini di ingraziarsi la benevolenza delle diplomazie ufficiali". "Vediamo ora come va a finire. Questa critica un po' dura ma la faccio perché è dal 2001 che si vedevano i segni che la cosa non sarebbe funzionata".
"Non è un caso che queste gravissime violenze avvengano in seguito al riavviamento del dialogo tra Pristina e Belgrado", afferma Marco Bruccoleri di ICS-Pristina "proprio nei giorni scorsi vi erano stati degli incontri tra delegazione serba e delegazione kossovara". "Ogni incidente viene fortemente strumentalizzato per alzare la tensione tra le due comunità". "Stiamo cercando di metterci in contatto con amici che abitano a Mitrovica ma non ci siamo ancora riusciti", ha concluso Marco.
A Pristina vi è anche Zenaide Gatelli, per l'Associazione Gruppo 78 di Volano (TN). E' arrivata proprio oggi nella capitale kossovara. "Sono finita nel bel mezzo di una manifestazione di protesta sotto la sede ONU e sono andata immediatamente a casa" racconta Zenaide "la situazione è molto tesa ma non è certo una novità. Nelle ultime settimane una bomba era stata fatta trovare vicino all'edificio delle Nazioni Unite ed un'altra vicino alla casa del Presidente Ibrahim Rugova ...".
Dal sud del Kossovo, da Prizren scrive per l'IPSIA-ACLI Paola Villa. "Scrivo da un internet center di Prizren che dice che tiene aperto per noi 10 minuti e poi richiude perché non è in grado di garantire la sicurezza vista la situazione" racconta Paola "Stamattina è scoppiato il pandemonio ovunque. Ovviamente da qui abbiamo solo notizie locali. Quello che succedete altrove lo apprendiamo dai messaggi dall'Italia. Comunque oggi andando a Pristina all'aeroporto non siamo potuti entrare in città perché la strada era bloccata. I serbi protestavano per il ferimento dell'altro giorno. Poi per la strada moltissime macchine della polizia UN e di UNMIK che si muovevano in colonna, di corsa, con le sirene accese. Lo stesso a Prizren in città. E la tv di Prizren manda immagini di gente per strada che manifesta urlando "Mitrovice - Mitrovice" o "UCK - UCK". E parlano di spostarsi verso le enclavi. Anche davanti al nostro ufficio è passata una macchina con il megafono che diceva che tutti i cittadini di Prizren erano obbligati ad andare a donare il sangue per i feriti di Mitrovice e del Kosovo. Due di noi con un albanese di Prizren erano a Bica, enclave serba. Lì era tutto tranquillo e non si erano accorti di nulla. Abbiamo chiesto loro di tornare a Klina e raggiungere gli altri di noi che erano lì. Così hanno fatto. Hanno anche tolto gli adesivi dalla macchina e per questa notte si fermeranno a dormire a Klina ospiti dai coordinatori dei centri. Si parlava di progettazione. Senada, ragazza albanese, ha detto "qui non si può fare il logical framework, manca del tutto la logica in questo posto". Ora torniamo a casa. Con un occhio alla tv e un orecchio alla radio. C'è una aria strana qui attorno. Prizren è sempre stata una città tranquilla. E' brutto vedere qui gente che urla UCK per strada. Che altro dire? Non c'è pericolo per noi ora. Non è questo quello che ci rende preoccupati. Il problema è che non si vede quale via d'uscita è possibile per questo posto!".
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