Ma qual è il punto di vista albanese su quanto accaduto in Kossovo? Quali le ragioni con cui si spiegano le proteste violente degli ultimi giorni?
Besim Mikullovci è un giovane artista. Racconta che troppo spesso sogna la propria casa: gente che non conosce lo caccia via, bruciano la casa e lui si risveglia con l'ansia. L'ultima volta che gli è accaduto gli sembrava di camminare in giardino, convinto di farlo davvero. Improvvisamente ha aperto gli occhi. Anche questa volta il sogno lo aveva ingannato. I sogni di Besim sono simili a quelli di migliaia di altri abitanti di Mitrovica, città divisa in due dal fiume Ibar, città dove le contrapposizioni non sono ancora finite.
Gli albanesi ed i serbi del Kossovo hanno dovuto attraversare episodi funesti proprio quando si pensava che la sicurezza fosse ormai sostanzialmente garantita in Kossovo. Mitrovica nuovamente al centro dello scontro poi trasformatosi in vera e propria rivolta popolare. Tra bambini albanesi hanno perso la vita nel fiume Ibar, secondo la versione di un quarto ragazzino che era con loro perché ragazzini serbi li avrebbero spaventati e spinti a buttarsi in acqua. La versione dei fatti non è però stata confermata dalle Nazioni Unite.
Dopo questo grave incidente sono scoppiate le proteste violente. Come scoperchiare un bidone pieno di petrolio. E' bastato un fiammifero per far scoppiare tutto. In questo caso la vicenda dei bambini affogati.
E le fiamme della protesta, per la prima volta nel Kossovo del dopoguerra, hanno bruciato le case dei serbi, le macchine delle Nazioni Unite ed i luoghi di culto. Sedici chiese ortodosse sono state bruciate in diverse città del Kossovo. Chiese che dopo la guerra del 1999 sono state protette dai militari della KFOR. In 72 ore si sono distrutti i simboli di un percorso di pace intrapreso in questi ultimi cinque anni.
Su tutti i media internazionali le chiese ortodosse che bruciavano sono finite sulle prime pagine. "E' una novità quanto accaduto in Kossovo" afferma Veton Surroi, analista ed editore, "non è accettabile bruciare luoghi di culto, a prescindere dall'appartenenza religiosa". Di differente opinione Arben Xaferri, politico macedone, secondo il quale "gli albanesi non hanno bruciato le chiese ma i tentativi dei serbi di riprendersi il Kossovo. E la Chiesa ortodossa è spesos stata connivente ad un sistema che ha praticato il genocidio nei confronti degli albanesi. Ma per gli albanesi del Kossovo sarà molto difficile spiegare calla comunità internazionale che questa è la loro posizione e che non sono contro la religione".
Il generale Johnson ha troppo spesso dichiarato che si è trattato di una vera e propria epurazione etnica. Quella è stata vissuta dagli albanesi cinque anni fa, quanto l'esercito serbo aveva cacciato dalla loro case circa 1,5 milioni di kossovari.
I quesiti in merito a quanto è successo nei giorni scorsi sono molti. E' stata una protesta organizzata o spontanea? I servizi segreti serbi avevano già avuto indicazioni su possibili incidenti?
L'opinione più diffusa in Kossovo è che le proteste siano state spontanee, almeno per quanto riguarda il primo giorno. Poi l'onda della vendetta si è allargata a molte località del Kossovo, rapidamente. Jetmiri, al secondo anno di una scuola media di Pristina, si è buttato a capofitto nella protesta, con lo zaino pieno di pietre. Il fratello maggiore che in fretta lo ha riportato a casa. Erano molti i giovanissimi a dimostrare.
Ed anche i poliziotti kossovari dei KPC non sono riusciti a bloccare le proteste. Ma da cosa nascono questi moti violenti? Senza dubbio la forte insoddisfazione nei confronti della politica dell'amministrazione internazionale in Kossovo è stato uno degli elementi principali. Cinque anni di UNMIK hanno palesato l'incapacità di costruire istituzioni funzionanti e di garantire ai kossovari una vita normale. Vi è poi l'opinione diffusa che l'amministrazione internazionale stia favorendo i serbi e che non è interessata a garantire giustizia in Kossovo. Sempre più spesso l'acronimo UNMIK veniva storpiato in ARMIK, nemico.
Arben Xhaferri, tra i pensatori maggiormente stimati da tutte le comunità albanesi che abitano i Balcani, ha individuato una lunga lista di elementi che hanno irritato gli albanesi del Kossovo. Tra i principali: l'incertezza in merito allo status finale del Kossovo, la tolleranza dell'UNMIK nei cofronti delle strutture parallele che si sono create nelle enclaves serbe, la disoccupazione di massa, i problemi quotidiani con i servizi essenziali (acqua, energia elettrica), la limitazione nella libertà di movimento, le incriminazioni per crimini di guerra mosse contro ex membri dell'UCK, la reticenza serba nell'accettare quanto accaduto nel 1999, le difficoltà nel processo di privatizzazione.
Ma forte è la delusione dei kossovari anche nei confronti dei propri politici che hanno messo in rilievo una palese incapacità a gestire la situazione, una mancanza di idee e di soluzioni concrete per i problemi che il Kossovo affronta. "Abbiamo un Parlamento pigro, che si riunisce una volta al mese", sottolinea Surroi.
Altro processo problematico per il Kossovo è il raggiungimento degli standard, da completare prima di metà 2005. Ora, il documento redatto dall'UNMIK, sembra un'utopia. Tra gli standard richiesti anche il ritorno dei serbi originari del Kossovo, sfollati per la maggior parte in Serbia e Montenegro. Anche senza le ultime violenze molti di loro non sono intenzionati a rientrare. Tanti di loro hanno già venduto le proprie case e proprietà in Kossovo.
Attualmente sono 120.000 i serbi che continuano a vivere in Kossovo. Ma le 110 case bruciate in questi giorni hanno creato grossi timori e grosse perplessità tra chi ha deciso di restare, o tra chi, spesso su pressione di Belgrado, ha deciso di rientrare.
Ed i fatti di questi due ultimi giorni senza dubbio complicherà ancora le cose. Cambiamenti sono già stati notati nell'atteggiamento dei militari della KFOR, che si comportano in modo molto più distaccato con la popolazione locale. Belrgado ora avrà gioco più favorevole nel chiedere la cantonizzazione e la divisione del Kossovo. D'altra parte se la situazione economica non migliora e lo status quo rimane l'attuale non è detto che gli albanesi non faranno una nuova rivolta, ancor più grave dell'attuale. Questa è un opinione diffusa, che sempre più spesso si sente per le strade.
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