Corte di giustizia internazionale

Corte di giustizia internazionale

L'indipendenza del Kosovo non è illegale, ma non si dice se è legittima. La Corte dell’Aja, schierandosi a larga a maggioranza (10 a 4), si è attenuta strettamente al parere tecnico. La risposta politica arriverà a settembre dall’Assemblea generale Onu. Ma per Bruxelles è già scampato pericolo

22/07/2010 -  Tomas Miglierina L'Aja

La dichiarazione di indipendenza del Kosovo non è illegale. Questo non significa che sia anche legittima. Bisogna avere un certo gusto per le sottigliezze per comprendere appieno il parere giuridico che i quindici giudici della massima istituzione giurisdizionale delle Nazioni Unite hanno pubblicato ieri, rispondendo ad una richiesta dell’Assemblea Generale dell’ONU.

La Corte internazionale di giustizia ha deciso di dare l’interpretazione più stretta e tecnica possibile al quesito che l’Assemblea, su iniziativa della Serbia, aveva rivolto loro: “la dichiarazione di indipendenza del Kosovo ha violato le norme del diritto internazionale?”

“We, the people…”

Al quesito postole, la corte ha dato una triplice risposta negativa. La dichiarazione del 17 febbraio 2008 non ha violato il diritto internazionale generale, perché non esiste una interdizione a proclamare l’indipendenza. Nemmeno può essere detto che la dichiarazione abbia violato la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, perché è evidente che quella risoluzione istituiva un regime di amministrazione temporaneo, senza riservare al Consiglio di sicurezza il diritto di determinare lo status finale del Kosovo.

Infine non si può affermare che i deputati kosovari abbiano agito in modo contrario al quadro costituzionale stabilito sotto gli auspici dell’UNMIK (la missione ONU in Kosovo) perché appare chiaro dalla dichiarazione stessa che essa non emanava dalle istituzioni provvisorie di amministrazione autonoma e non era destinata ad essere operativa all’interno di quel quadro giuridico. Il 17 febbraio, in altre parole, i kosovari hanno agito come rappresentanti eletti del loro popolo, non come assemblea regionale stabilita sotto i dettami della 1244.

Al tempo stesso la Corte si è ben guardata dallo statuire alcunché sulla legittimità del Kosovo, sul suo stato, sul diritto o meno ad essere riconosciuto. Da questo punto di vista poco o nulla cambia: chi fino ad ora è stato determinato nel non riconoscere l’indipendenza di Pristina potrà restare sulle proprie posizioni senza grandi fatiche. Chi ha riconosciuto (69 paesi, nell’Unione europea 22 su 27) non deve rimettere minimamente in discussione la propria decisione. Al massimo alcuni paesi esitanti potrebbero impiegare il parere della corte per rompere gli indugi.

Il pronunciamento della corte non crea un diritto alla secessione; i giudici se ne sono ben guardati. Il primo a riconoscerlo è stato il ministro degli Esteri di Belgrado, Vuk Jeremić. In questo senso la Republika Srpska (una delle due entità della Bosnia Erzegovina) ha poco di cui gioire: anche se i deputati di Banja Luka decidessero di procedere in modo analogo ai loro omologhi kosovari proclamando la loro indipendenza (“We, the People of Republika Srpska…”) resterebbe insoddisfatta un'altra importante condizione: gli accordi di Dayton, per quanto considerati da tutti politicamente superati, non rivestono un carattere provvisorio. O perlomeno nessuno li ha dichiarati tali.

La decisione di merito non è stata unanime, ma per 10 voti a 4 (un quindicesimo giudice, di nazionalità cinese, si era dimesso in maggio per motivi di salute e la sua sostituta non ha partecipato al voto). I giudici di minoranza – tra cui il vicepresidente del collegio, lo slovacco Tomka – ma anche alcuni tra quelli che hanno votato a favore hanno tenuto a pubblicare delle dichiarazioni individuali per motivare il loro voto.

Ci vediamo a New York

Il governo del Kosovo ha letto nella decisione dei giudici dell’Aja una conferma della propria statualità. “Mi aspetto che la Serbia ora venga verso di noi e si metta a parlare con noi delle molte questioni aperte che sono di mutuo interesse e di importanza vitale”, ha dichiarato il ministro degli Esteri di Pristina Skender Hyseni, precisando però che “Le discussioni possono però avere luogo solo come discussioni tra due stati sovrani, tra due vicini”.

Hyseni ha anche ribadito il carattere speciale del caso Kosovo, dicendosi convinto che la sentenza “non costituirà alcun tipo di precedente per nessun altra regione nel mondo”.

Il ramoscello d’ulivo agitato da Pristina ha avuto vita breve: “Non riconosceremo mai la dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo”, ha ribadito pochi istanti dopo un meno raggiante Vuk Jeremić. “Dobbiamo continuare la nostra lotta pacifica, diplomatica, preservare l’integrità del nostro paese”. Sicuramente già informato del fatto che sul terreno le forze internazionali erano in stato di massima allerta, Jeremić ha ribadito che “pace e stabilità sono molto importanti sul territorio della provincia. Non bisogna rispondere alle provocazioni se ce ne saranno”.

Infine il ministro serbo ha fatto notare come la corte abbia evitato di dare una risposta politica ad una questione che è essenzialmente tale, e dunque il prossimo passo sarà la discussione in settembre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Jeremić ha convenientemente evitato di ricordarsi che era stata proprio Belgrado ad optare per la strada giuridica, ottenendo dall’Assemblea generale la richiesta di adire la corte.

Scampato pericolo a Bruxelles

Hyseni ha esortato gli ultimi paesi dell’Unione europea che ancora non l’hanno fatto a riconoscere il Kosovo. Jeremić si è detto convinto che la sentenza non cambierà la posizione dei fattori più importanti della comunità internazionale.

Nella reazione di Catherine Ashton, la rappresentante UE per la politica estera, era abbastanza evidente il sollievo per lo scampato pericolo. Un pronunciamento negativo avrebbe evidentemente complicato le cose per chi, da ormai due anni, ha l’onere di gestire la situazione sul campo.

Lunedì, nella loro prossima riunione, i capi delle diplomazie dei 27 potranno invece continuare ad ignorare le loro divergenze in materia e spostare l’attenzione delle parti sulla prospettiva europea che attende entrambe.

“L'avvenire della Serbia è nell'Unione europea, quello del Kosovo anche'', ha dichiarato la Ashton, aggiungendo che l'Unione ''è pronta a facilitare il processo di dialogo tra Pristina e Belgrado''.


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