A Pristina sono scesi in piazza coloro che non hanno un lavoro. Critiche all'UNMIK ed alla sua gestione delle imprese statali. "Tramano per svenderle", accusa il Presidente dell'Unione dei sindacati kossovari.
Il primo maggio in Kossovo è stato celebrato con massicce manifestazioni contro la disoccupazione. Migliaia di ex-lavoratori di aziende statali oramai da anni chiuse sono scesi nelle strade a Pristina chiedendo che una soluzione venga trovata alla situazione drammatica nella quale sono costretti. "Vogliamo lavoro", "Riaprire le miniere del Kossovo", "Impossibile vivere di sola acqua" gli slogan che hanno caratterizzato la più grande manifestazione dal 1999 che avesse come tema questioni non legate esclusivamente all'attualità politica. Nell'ultimo decennio infatti la maggior parte delle manifestazioni erano legate a questioni prettamente politiche ed in particolare alla situazione della comunità albanese in Kossovo, tutto il resto era marginalizzato. Per questo le manifestazioni del primo maggio hanno rappresentato una rilevante novità. "I dimostranti hanno tutte le ragioni di dimostrare, riusciranno però difficilmente ad ottenere anche poco di quanto richiesto", ha affermato Ibrahim Rexhepi, un noto analista economico " e le cose non cambieranno anche se scioperi e dimostrazioni si faranno più massicci. C'è il rischio invece che a poco a poco manifestazioni di questo tipo scaturiscano nella violenza".
Molte delle critiche dei dimostranti sono state mosse nei confronti della gestione che l' UNMIK, amministrazione internazionale ONU di stanza in Kossovo, ha avuto sino ad ora delle aziende pubbliche. Bahar Shabani, Presidente dell'Unione dei sindacati, promotrice della dimostrazione, ha accusato i funzionari internazionali di voler svendere queste imprese ed ha inoltre accusato l'amministrazione internazionale di fomentare le divisioni etniche tra lavoratori serbi ed albanesi.
Tra le richieste fatte dai dimostranti quelle di definire in modo chiaro uno status dei lavoratori kossovari, di far rientrare la gestione delle imprese pubbliche tra le competenze del Governo del Kossovo, l'istituzione di contratti collettivi di lavoro e l'adozione da parte dell'Assemblea kossovara di una legge a protezione dei diritti dei lavoratori.
Non è chiaro ancora l'effetto che queste dimostrazioni hanno avuto sulle autorità kossovare e sull'UNMIK. Rari i commenti in merito anche se è evidente a tutti che le problematiche sociali in Kossovo stanno progressivamente mutando ed emergendo e che ben presto si potrebbe raggiungere un punto critico nelle relazioni tra amministratori internazionali e popolazione kossovara.
Molte radio e televisioni lo hanno sottolineato immediatamente dopo le proteste del primo maggio. Secondo gli stessi media la disoccupazione in Kossovo si attesterebbe oramai attorno al 60-80%. Ma la maggior parte degli analisti economici mette in rilievo come il problema non sia di così facile soluzione. Quando agli inizi degli anni novanta il regime di Milosevic espulse molti lavoratori albanesi da posti di lavoro pubblici questi ultimi persero anche l'occasione di maturare la pensione. Ora la maggior parte di questi lavoratori ha raggiunto l'età pensionabile ma l'amministrazione del Kossovo non è in grado di garantire loro alcun sussidio. Semplicemente le casse pubbliche sono vuote. E questo nonostante la pensione media si attesti solo su 35 euro al mese. Questo chiarisce il livello drammatico della crisi economica che sta attraversando il Kossovo.
Dal nostro corrispondente dal Kossovo
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