Mentre i serbi che vivono a nord di Mitrovica hanno boicottato le recenti elezioni in Kosovo, tra quelli a sud dell'Ibar la partecipazione è stata significativa. I partiti "serbi" presentatisi alle urne, però, si lanciano gravi accuse di brogli e le divisioni nella comunità sembrano accentuarsi
Le recenti elezioni politiche hanno reso più profonda la partizione de facto del Kosovo, dopo l’atteso boicottaggio al voto dei serbi che vivono nel nord del paese e la partecipazione significativa di quelli che vivono a sud del fiume Ibar.
Se infatti col loro “no” alle elezioni i serbi che vivono a nord della città divisa di Mitrovica hanno ribadito di considerarsi sotto la sovranità della Serbia, quelli del Kosovo centrale e meridionale hanno partecipato alle consultazioni politiche. Questo non in opposizione ai serbi del nord, ma nello spirito di accettazione di una realtà diversa, visto che vivono in enclave circondate da popolazione albanese.
Una spaccatura di questo tipo in realtà era prevedibile già dopo le elezioni locali tenutesi la scorsa estate in alcune municipalità a maggioranza serba del Kosovo centro-meridionale, prima significativa virata dalla linea del boicottaggio ad ogni forma di partecipazione politica in Kosovo, portata avanti per anni dalla comunità serba.
Il 12 dicembre i serbi recatisi alle urne sarebbero stati circa 24mila, mentre le liste “etniche” erano otto. Il voto, però, rischia di portare a nuove divisioni, stavolta all’interno della leadership politica dei serbi delle enclaves.
Il giovane Partito Liberale Indipendente (Samostalna Liberalna Stranka), considerato molto vicino al PDK di Hashim Thaci, ha ottenuto circa 12500 voti, mentre la Lista Serba Unita (Jedinstvena Srpska Lista), nata dall’accordo tra vari veterani della politica in Kosovo come Rada Trajković e Ranđel Nojkić ne ha portati a casa poco più di 5mila.
Ma la tensione latente durante la campagna elettorale è emersa con tutta la sua forza durante la giornata del voto, quando una vera e propria guerra mediatica è scoppiata tra le due maggiori fazioni politiche dei serbi a sud dell’Ibar.
Numerosi leader, con a capo Rada Trajković, hanno accusato il Partito Liberale Indipendente di “un brutale e oltraggioso furto di voti”, e di aver incassato 800mila euro da Thaci per acquistare preferenze alle urne.
La Trajković ha anche accusato rappresentanti del governo di Belgrado, di origine kosovara, di aver lanciato una campagna negativa nei suoi confronti, aiutando così i propri avversari a vincere. La Trajković ha quindi minacciato di non riconoscere i risultati elettorali e di ritirare il partito dalle istituzioni di Pristina.
Per farle cambiare idea sarebbe dovuto intervenire Peter Feith, Rappresentante speciale dell’Ue in Kosovo, che le avrebbe chiesto di dare alle istituzioni una chance per mostrare di essere in grado di reagire con solerzia.
La Lista Serba Unita ha quindi sottoposto denunce su presunte irregolarità elettorali nelle aree a maggioranza serba, chiedendo una ripetizione del voto a Štrpce e Gračanica, richiesta però respinta, nonostante il fatto che il prossimo 9 gennaio le elezioni verranno replicate in altri 21 seggi del Kosovo a causa dei numerosi ed accertati brogli avvenuti lo scorso 12 dicembre.
“Abbiamo inoltrato il nostro appello alla Corte suprema del Kosovo, ma mi aspetto che questa non si limiti a predisporre la ripetizione delle elezioni, ma lanci un’indagine contro gli incredibili brogli avvenuti, brogli che non avevo visto nemmeno ai tempi peggiori del regime di Milošević”, ha dichiarato la Trajković ad OBC. La Trajković ha poi ribadito di aspettarsi che Peter Feith rispetti la promessa fatta, e che la Lista Serba Unita non venga lasciata sola, ma trovi comprensione nelle istituzioni kosovare.
“Sarebbe estremamente grave se le nostre denunce venissero ignorate. Chiedo solo condizioni eque per competere per il voto degli elettori”, ha aggiunto poi la Trajković.
Per giorni, gli oppositori politici del Partito Liberale Indipendente hanno accusato i vincitori delle elezioni di vari tipi di brogli ed irregolarità. In presenza di testimoni oculari, membri del partito avrebbero trasportato le urne fuori dai seggi, riempiendole di schede votate, oltre a pagare 50 euro per ogni voto ricevuto. A Štrpce un uomo è stato picchiato mentre tentava di infilare schede già votate nell’urna.
“C’è una macchina parcheggiata di fronte al seggio. Dentro ci sono due uomini che provano a camuffarsi nascondendo la testa sotto il cappello. Un elettore va fino alla macchina, prende una scheda già votata, va nel seggio e prende una scheda vuota. Quindi deposita la scheda ricevuta e porta fuori dal seggio la scheda non votata e prende i suoi 50 euro. Poi il ciclo ricomincia. Un osservatore internazionale è presente, vede tutto ma non fa niente. Anche noi assistiamo alla scena, ma siamo impotenti”. Così Rada Trajković racconta con tono amareggiato quello che sarebbe successo il 12 dicembre.
Altre manipolazioni sarebbero state fatte attraverso il cosiddetto “voto condizionale”, che ha permesso a molti elettori di votare due volte grazie ai due documenti di identità, quello serbo e quello kosovaro.
Il Partito Liberale Indipendente rigetta tutte le accuse, definite “assurde” e “scuse di chi è stato sconfitto”, accusando a sua volta i leader avversari di essere soltanto “leader sulla carta”. Il partito sostiene di rappresentare l’unica vera leadership tra i serbi delle enclaves, di essere “lontano dall’alta politica” e di essere riuscito in questi anni a migliorare la vita reale delle persone.
Tra i successi maggiori viene citata la costruzione di appartamenti e altre infrastrutture per i serbi del Kosovo centro-meridionale, che vivono sparsi in piccole e povere enclaves, fuori dai principali centri urbani.
Nel frattempo, Belgrado ha lanciato messaggi confusi e contraddittori sulla partecipazione dei serbi alle elezioni kosovare. “Non ci sono le condizioni perché i serbi di Kosovo e Metohija partecipino al voto”, è stata la linea ufficiale del governo serbo, inizialmente interpretata come un invito al boicottaggio.
Questa interpretazione è stata però rivista dopo che Belgrado ha specificato che nessuno avrebbe sanzionato i serbi del Kosovo che avessero partecipato al voto, visto che la Serbia era consapevole delle “differenti realtà” a sud e nord del fiume Ibar.
Molti serbi hanno interpretato questa posizione ambigua come un tradimento. In molti sono convinti che i serbi che vivono a sud dell’Ibar siano stati semplicemente scaricati dal governo serbo, mentre in pochi credono che Belgrado abbia un piano serio per mantenere la propria influenza sulle enclave serbe del Kosovo centro-meridionale.
In questo contesto, l’unico dato indiscutibile del voto è stato il boicottaggio dei serbi del Kosovo settentrionale. Nonostante vari appelli alla partecipazione, tutti, serbi, albanesi e internazionali sapevano che qui nessuno si sarebbe recato alle urne.
A Pristina si è parlato di intimidazioni, ma la differente atmosfera a nord di Mitrovica era immediatamente palpabile: se non fosse stato per alcuni manifesti del Partito Democratico Serbo di Vojislav Koštunica che invitavano al boicottaggio, non c’era segno alcuno delle votazioni effettuate nel resto del Kosovo.
La domenica delle elezioni i serbi del nord, sazi di bere e di mangiare dopo le molte “slava” (festa tradizionale del patrono della famiglia) di questo periodo, si riposavano in casa in attesa della “slava” più grande, quella di San Nicola.
I serbi del Kosovo stanno prendendo sempre più strade separate. Vivono in realtà diverse, fatto che da dieci anni li allontana sempre di più. Tradizionalmente dipendenti da una leadership forte, i serbi del Kosovo sono convinti di essere riusciti a sopravvivere come comunità soltanto grazie a questo.
Ma oggi non c’è nessuna leadership, né locale né a Belgrado, in grado di radunare i poco più di 100mila serbi rimasti in Kosovo, anche se tutti dichiarano che la sopravvivenza della comunità sia il loro obiettivo più importante.
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