(Bret Arnett/Flickr)

Una gigantesca macchina si è messa in moto, in cerca di funzionari pubblici compromessi col regime comunista. Tra dossier di polizia e informative artefatte, le conseguenze politiche sono pura dinamite. Prima vittima, il presidente della Consulta, da tempo ostacolo per il premier Gruevski

27/10/2010 -  Risto Karajkov Skopje

A due decenni dalla fine del comunismo, inizia anche in Macedonia il processo della cosiddetta "lustracja", l'epurazione, talora arma a doppio taglio di lotta politica, com'è stata negli ultimi anni in tutti i Paesi europei un tempo oltre cortina. 

Conti in sospeso col passato, la partita nei giornali e tra i funzionari pubblici

Una cosa è certa: la lustrazione non è una cosa bella né pulita. In Macedonia, anche se con notevole ritardo, la Commissione per la lustrazione ha recentemente iniziato a funzionare. La Commissione è  l’organismo previsto dalla nuova legge sulla lustracja approvata nel 2008, incaricato di “verificare i fatti”, cioè di indagare sul passato dei funzionari pubblici.

Il presidente della Corte Costituzionale macedone, Trendafil Ivanovski, prima vittima della "lustracja" avviata nel Paese

Tuttavia, il processo di lustrazione sembra essere uscito dagli uffici della Commissione per riversarsi nelle strade. Partiti politici, giornalisti, ex agenti segreti stanno tutti portando avanti la propria personale lustrazione. Chiunque abbia un paio di dossier salvati da qualche parte, un quadernetto nero con appuntati un paio di nomi, un contatto prezioso con accesso agli archivi ha qualcosa da raccontare. Forse dovevamo aspettarcelo, ma dove tutto questo andrà a finire ancora non ci è chiaro.

Prima vittima il presidente della Consulta, da adolescente informatore della polizia politica

La prima vittima della lustrazione risale alla fine di settembre. Causando un forte shock generale, la Commissione sulla lustrazione ha puntato il dito per primo addirittura sul nome del presidente della Corte Costituzionale, Trendafil Ivanovski.

Pare infatti che dossier ispezionati abbiano dimostrato senza ombra di dubbio che, a partire dagli anni ’60, quando era ancora un adolescente, Ivanovski sia stato un informatore dei servizi segreti. 

Ivanovski ha prontamente e chiaramente negato le accuse, bollandole come montature del governo e, in particolare, del primo ministro Nikola Gruevski, che avrebbe architettato il tutto. Si è inoltre rifiutato di dimettersi e ha espresso l'intenzione di continuare la sua battaglia in tribunale, cosa che è legittimato a fare.

Ivanovski ha risposto che in passato non era certo una spia, ma che era stato interrogato dai servizi segreti in relazione alla sua adesione, in passato, a gruppi di stampo nazionalista.  

Arma in mano al governo per liberarsi dei nemici?

Il premier macedone Nikola Gruevski (europeanpeoplesparty /Flickr)

A un osservatore indipendente la teoria della cospirazione di governo non appare del tutto grottesca. Nel corso dell’ultimo mandato il governo (e il premier in persona) hanno infatti ingaggiato un duro scontro con la Corte Costituzionale, che ha rifiutato di approvare molte leggi  di sostegno a progetti governativi.

Gruevski ha pubblicamente attaccato la Corte in diverse occasioni, e i suoi siluri sono stati visti come un tentativo di cambiare le regole del gioco, in un Paese in cui l’ultima parola spetta proprio alla Consulta. Quando il presidente della Corte è risultato essere il primo “lustrato”, la situazione è apparsa a netto vantaggio del governo.

“E’ sempre colpa del primo ministro” ha cinicamente commentato Gruevski alle accuse di Ivanovski. Ha inoltre aggiunto che questo sviluppo influisce pesantemente sulla credibilità e legittimità delle decisioni della Corte. La quale a sua volta ha reagito con un furioso comunicato stampa, in cui si accusava il premier di abusare del proprio incarico costituzionale, che consisterebbe nel mettere in atto le decisioni della Corte e non nel giudicarne la legittimità.

Gioco al massacro, basta il sospetto

Allo scoppiare del caso-lustrazione, nei giorni immediatamente seguenti, si sono sommati altri piccoli shock minori, che hanno continuato a perturbare la scena politica macedone. Pare infatti che la Commissione abbia sottoposto ad indagine funzionari del partito di governo VMRO DPMNE, ma che la maggioranza dei membri (da cui dipendono le decisioni) abbia sostenuto che non c’erano prove sufficienti a procedere.

Si è anche fatto accenno al coinvolgimento di un altro funzionario del VMRO, ma senza che ci fossero conseguenze. Visto che il fare nomi può considerarsi reato, il gioco in questi giorni sta nel fare riferimento ai sospetti in modo talmente chiaro da renderli riconoscibili da tutti, ma senza nominarli direttamente.

I media quindi usano espressioni come “attualmente parlamentare, originario di X" , "ex candidato alla presidenza, del partito X e originario di  Y”. Insomma identikit inequivocabili, che solleticano gli istinti del pubblico dei media.

Colpiti i partiti di governo e di opposizione

Settimanali e stampa popolare in un'edicola a Skopje (CharlesFred /Flickr)

Poi, dopo una breve tregua, la bomba è scoppiata in campo albanese. Il professor Shpend Ljushi di Tetovo, che si mormora sia vicino al Partito Democratico degli Albanesi (DPA), attualmente all'opposizione, ha consegnato alla Commissione dei dossier su tre funzionari anziani dell'Unione Democratica per l'Integrazione, partito che attualmente fa parte della coalizione di governo e nemico giurato del DPA.

Ljushi ha affermato che i dossier sono stati “lanciati nel suo cortile”, un’espressione comunemente usata per indicare chi è in possesso di prove lampanti. Sembra invece che i dossier, che in parte erano già liberamente circolati, provengano dai servizi segreti serbi.

Con il crollo della Jugoslavia, molti dei dossier compilati dai servizi segreti federali come l’UDBA e il KOS sono stati fatti uscire dalle nuove repubbliche indipendenti per essere conservati a Belgrado, dove sono poi passati nelle mani dei servizi segreti serbi.

Ciò ha suscitato un acceso dibattito in Macedonia sulla possibilità di procedere ad una vera lustrazione quando, probabilmente, molti dossier non sono neppure in possesso delle autorità macedoni. Gli osservatori hanno richiesto così un confronto diretto con Belgrado in materia.

Nello stesso menù dossier veri e artefatti

Alcuni dei dossier in possesso del dottor Ljushi fanno riferimento però a una collaborazione molto più recente con i servizi segreti serbi, che risale al periodo immediatamente precedente il conflitto etnico in Macedonia del 2001.

Il DUI, nato dall'Esercito di Liberazione Nazionale (l'esercito di guerriglieri che ha dato il via al conflitto) ha reagito con rabbia, affermando che i dossier erano stati fabbricati ad arte. Il DPA ha replicato che i dossier erano autentici, e che ne avrebbe tirati fuori altri, e che chiaramente la leadership del DUI non era altro che un covo di spie serbe che tramavano alle spalle degli albanesi.

Skopje vista dalla fortezza di Kale (Michel27 /Flickr)

La Commissione deve ancora esprimersi circa i dossier, ma ha già espresso qualche dubbio sulla possibilità di tenerli in considerazione, poiché provengono da fonti straniere, mentre pare che la legge consenta di basarsi soltanto su prove di provenienza nazionale.

Una guerra politico-mediatica a bassa intensità

I funzionari dei servizi segreti in pensione sono molto richiesti ultimamente. Vengono invitati ai dibattiti televisivi, viene chiesto loro di verificare l'autenticità dei dossier, e se ricordano qualche altro nome. Alcuni di loro sono coinvolti direttamente nell’intera faccenda, in qualità di informatori e affiliati di partiti politici.

Alcuni addirittura vogliono portare avanti autonomamente delle iniziative per promuovere la lustrazione. 

Sin dagli inizi dunque la lustrazione si è rivelata vera e propria dinamite politica. Ma il potere esplosivo del processo non è ancora del tutto stato svelato: la lustrazione potrebbe anche trasformarsi in una vera e propria arma di distruzione.

Chiaramente, sin dal suo inizio, la lustrazione ha messo in ombra la piccola, anonima commissione incaricata di “controllare” il processo. I partiti politici si sono immediatamente infilati nel gioco, e, probabilmente, continueranno a trovare dei dossier sui loro oppositori politici che qualcuno "ha lasciato cadere nel cortile".

Quanto a chi invece è stato coinvolto nel gioco del “fare nomi e accusare”, il rischio per loro è di avere la reputazione macchiata per sempre, specialmente se non viene stabilito subito un criterio attendibile che permetta di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso.

Intanto il giudice Ivanovski sarà il prima a portare il suo caso davanti alla giustizia.


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