Continuano le proteste, in Kosovo e Macedonia, dopo le pesanti condanne ai membri del cosiddetto “gruppo di Kumanovo”, accusati di terrorismo per gli scontri del maggio 2015. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [6 novembre 2017]
Manifestazioni di piazza, bandiere macedoni bruciate, richieste di un nuovo processo, stavolta sotto supervisione internazionale. Sale la tensione in Kosovo e Macedonia dopo le condanne di primo grado emesse sabato scorso a Skopje contro il cosiddetto “gruppo di Kumanovo”.
I trentasette imputati, albanesi di Kosovo e Macedonia con un passato nella guerriglia dell'UÇK, sono accusati di terrorismo per gli scontri armati del maggio 2015, che trasformarono per due giorni la cittadina macedone di Kumanovo in un campo di battaglia e costarono la vita a otto poliziotti e dieci membri del gruppo.
La sentenza del tribunale di Skopje è stata pesante, con sette ergastoli e 13 condanne a 40 anni. Condanne che hanno scatenato proteste sia in aula che fuori: molti degli imputati ammettono di aver partecipato agli scontri, ma sostengono di essere vittime di una montatura politica voluta dall'ex premier macedone di centro-destra Nikola Gruevski.
Manifestazioni di piazza sono state registrate a Skopje, ma anche a Pristina, Gijlan e Peja in Kosovo, dove bandiere macedoni sono state bruciate in segno di protesta. Il premier kosovaro Ramush Haradinaj, in passato leader dell'UÇK, ha richiamato l'ambasciatore kosovaro a Skopje per consultazioni, richiedendo poi un nuovo procedimento sotto supervisione internazionale.
Il nuovo governo macedone, guidato dal socialdemocratico Zoran Zaev, ma sostenuto dai voti vitali di alcune formazioni albanesi, si è già detto più volte possibilista sull'eventualità di una ripetizione del processo.
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