La piazza principale di Skopje (foto Flickr: Skopje, Macedonia)

La piazza principale di Skopje (foto Flickr: Skopje, Macedonia )

Skopje 2014 era il progetto simbolo dell’ex premier Gruevski: trasformare la capitale e celebrare il nazionalismo. Col cambio di governo, l’arte delle proteste colorate è salita al potere e cerca di de-estetizzare il vecchio regime

03/08/2017 -  Giovanni Vale

“L’arte ha segnato l’inizio e la fine della crisi politica in Macedonia”. Quando pensa alla storia recente del suo paese, Filip Jovanovski ama riassumere così la genesi di quel periodo che ha portato alla fine dell’era dell’ormai ex premier Nikola Gruevski. Artista visivo, attivista civico e direttore del Festival “AKTO” nella città di Bitola, Jovanovski cita due eventi che hanno secondo lui aperto e chiuso la parentesi più calda dell’instabilità politica macedone.

“Otto anni fa, il cerchio della violenza è iniziato con la manifestazione degli studenti della facoltà di Architettura, che protestavano contro la costruzione di una chiesa nel centro di Skopje”, ricorda il giovane laureato proprio all’università della capitale. Era la primavera del 2009 ed il governo Gruevski (in carica dal 2006) aveva annunciato il progetto di edificazione di una chiesa ortodossa sulla centralissima “piazza Macedonia”, dove oggi sorge invece l’enorme statua di Alessandro Magno.

Il corteo studentesco, che criticava i nuovi edifici voluti dall’esecutivo, veniva allora aggredito e disperso da alcuni contro-manifestanti, che rimanevano poi sulla piazza agitando dei simboli religiosi. Qualche giorno più tardi, oltre un migliaio di cittadini della capitale scendevano nuovamente in strada, questa volta a difesa degli studenti e per rivendicare il diritto a manifestare il proprio pensiero. Dalla critica urbanistica ed architettonica, si era così passati alla difesa della libertà di pensiero. Un tandem che avrebbe accompagnato le proteste macedoni negli anni a seguire.

Il secondo evento citato da Jovanovski, più noto, è la Šarena Revolucija, ovvero la “Rivoluzione colorata” che nell’aprile del 2016 ha invaso le strade della capitale. In questa occasione, i cittadini hanno sfilato contro la decisione del capo di Stato Gjorge Ivanov (dello stesso partito di Nikola Gruevski) di concedere l’amnistia a favore di una cinquantina di politici indagati. Per protesta, i manifestanti se la sono presa proprio contro gli edifici di Skopje, che sono stati colorati con dei lanci vernice.

L’architettura, ancora una volta politica, è entrata nel dibattito pubblico e a giusto titolo, poiché durante i mandati del premier Gruevski, la prima città della Macedonia ha vissuto una radicale trasformazione urbanistica. I suoi palazzi, costruiti durante gli anni della Jugoslavia socialista e dopo il terribile terremoto del 1963, sono stati ricoperti con delle facciate bianche in cartongesso, repliche di uno stile neoclassico che dovrebbe ricordare il tempo di Alessandro Magno, l’eroe dell’antichità che il leader conservatore macedone intendeva erigere a primo patriota macedone.

“La rivoluzione colorata ha de-estetizzato il regime, che si era precedente appropriato dell’estetica tramite il rinnovamento urbano della capitale”, spiega dunque Jovanovski. Ad ogni colpo di vernice, il progetto “Skopje 2014”, costato oltre 560 milioni di euro, è stato deriso e vilipeso. In pochi giorni, “la capitale europea del kitsch”, come l’aveva battezzata il quotidiano The Guardian proprio a causa dei nuovi monumenti voluti dal governo Gruevski, è diventata un atelier multicolore a cielo aperto, in cui senza violenza l’opposizione è riuscita ad esprimere il suo dissenso.

Da quella primavera del 2016, sono passati molti mesi di trattative politiche e diplomatiche, finché il presidente Ivanov (che nel frattempo ha ritirato il suo perdono ai politici) ha accettato di nominare premier il leader socialdemocratico Zoran Zaev, che ha così potuto formare un nuovo governo di coalizione.

L’ultimo colpo di coda del regime è stata l’irruzione notturna nel parlamento di Skopje a fine aprile 2017, che ha portato ad un bilancio di diversi feriti, ma senza l’attivazione dello stato di emergenza, segno che la transizione era ormai inevitabile. Gruevski, finito tra gli indagati del Procuratore speciale assieme a molti dei suoi collaboratori, si è poi visto ritirare il suo passaporto e rischia ora fino a 27 anni di carcere per corruzione, abuso di potere e altri capi di imputazione.

L’arte al potere

Ma che ne è stato dell’arte, la scintilla della rivoluzione e del dissenso nei confronti dell’esecutivo macedone? Filip Jovanovski, rimasto tra le fila dei militanti, ammette che il passaggio di testimone a livello politico rappresenta ora una vera sfida. “Alcuni militanti e artisti sono entrati nelle istituzioni e lo stesso ministro della Cultura Robert Alagjozovski è stato un attivista negli ultimi dieci anni”, afferma Jovanovski, secondo cui serviranno ora “gesti sovversivi nello spazio pubblico contro il vecchio regime”, ma anche “più fondi ed un cambiamento strutturale nel finanziamento della cultura”.

Robert Alagjozovski nuovo ministro della Cultura (foto G. Vale)

Robert Alagjozovski nuovo ministro della Cultura (foto G. Vale)

Insomma, l’arte che per anni ha alimentato le proteste e le barricate contro Nikola Gruevski, è ora arrivata al potere e deve confrontarsi con i modi delle istituzioni. La responsabilità più grande è ovviamente nelle mani di Robert Alagjozovski, il nuovo ministro della Cultura, laureato in Letteratura comparata, ma impiegato per quasi dieci anni nel settore del management culturale.

La sua prima decisione, simbolica, è stata quella di non riverniciare la sede del suo ministero, tuttora provata dai giorni della Rivoluzione colorata. “La precedente gestione aveva lasciato la facciata in questo stato nella speranza di poter fare causa ai singoli manifestanti. Per noi, è un bene prezioso: rimarrà così ricordo di un momento storico per la Macedonia”, racconta il ministro, noto nel paese per la sua lunga chioma rasta.

Il resto degli edifici e dei monumenti coinvolti nel progetto di “Skopje 2014” pongono tuttavia un problema più ampio. “E’ difficile pensare ad una soluzione d’insieme”, spiega Robert Alagjozovski, “il 95% dei progetti previsti sono stati ultimati e l’80% di questi è già stato pagato”. Insomma, più che sbarazzarsi del kitsch della capitale, bisogna “imparare a gestirlo”. “Procederemo pezzo per pezzo”, prosegue il ministro, “dobbiamo capire se ci sono facciate infiammabili che vanno tolte in fretta, se ci sono progetti in cui c’è un sospetto di riciclaggio di denaro, se ci sono stati violazioni di copyright eccetera”.

Non si escludono dunque “alterazioni, rimozioni e spostamenti” dei quasi 140 oggetti coinvolti nel progetto. “Magari ci sono altre città della Macedonia che hanno bisogno di statue o fontane”, immagina Alagjozovski. L’esecutivo si dà un semestre di tempo per ultimare questa fase di analisi, poi il ministro della Cultura pensa ad un bando internazionale per raccogliere delle proposte su cosa fare di Skopje 2014.

L’obiettivo generale sarà ovviamente opposto a quello che aveva animato il progetto urbanistico nato nel 2007: non più celebrare il nazionalismo macedone, creando spesso delle frizioni con i paesi confinanti, ma svuotarlo della sua retorica aggressiva.

In questo senso, Alagjozovski tende anche la sua mano alla vicina Grecia, con cui un contenzioso attorno al nome della Macedonia prosegue da oltre 25 anni. “Credo che la cultura possa avere un ruolo centrale nel ricostruire i legami e creare cooperazione con i vicini”, afferma il ministro, che annuncia “un progetto culturale comune con la Grecia, in modo da stabilire delle relazioni diplomatiche su base nuova”.

Dopo aver condotto una battaglia politica, l’arte si prepara ora a scuotere anche la diplomazia macedone.


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