Due donne, Valentina Bodrug e Victoria Apostol, e le loro strategie per aprire la strada al dibattito su femminismo e questione di genere in Moldavia. Le abbiamo incontrate
Complice anche la recente elezione di Donald Trump, le tematiche relative ai diritti delle donne stanno tornando con forza al centro del dibattito pubblico. Dichiarazioni e attitudini del tycoon nei confronti del genere femminile sono stati oggetto di aspre critiche da parte dei suoi oppositori, generando grosse mobilitazioni di protesta in numerose città.
Si sarebbe tentati di mettere in parallelo le controversie americane con gli ultimi sviluppi politici moldavi. Trump vs Hillary come Igor Dodon vs Maia Sandu. Più lontane dai riflettori internazionali, le elezioni presidenziali dello scorso novembre nella piccola repubblica est-europea hanno replicato alcuni schemi analoghi a quelli d'oltreoceano. Sia a Washington che a Chișinău, i candidati sconfitti avevano la possibilità di diventare i primi presidenti donna del proprio paese mentre i loro avversari esprimevano invece reazioni di rifiuto e “chiusura” verso i cambiamenti della società (il richiamo alla tradizione, un certo disprezzo per le minoranze sessuali, etc...). Dodon e Trump sono apparsi poi certamente più in sintonia dei loro opponenti con il presidente russo Vladimir Putin (sintonia che soprattutto nel primo caso è ancora comunque tutta da verificarsi nei fatti). E, se i commenti a sfondo sessista del neopresidente statunitense nei confronti della sua rivale sono rimbalzati sui media di tutto il mondo, anche l'essere donna della Sandu è stato chiamato in causa durante la campagna elettorale moldava. “Maia Sandu non ha figli. Come può una che non ha saputo essere madre, diventare una buona guida per il paese?” ha affermato un'esponente del Partito Democratico moldavo.
Al di là delle suggestioni di cronaca, questo parallelismo può forse illuminare degli intrecci relativi alla questione femminile a volte misconosciuti o non sempre tenuti nella giusta considerazione, quando si parla di Europa dell'est. Il confronto, e in molti casi lo scontro, con l'Ovest ha infatti attraversato un po' tutta la storia delle donne sotto l'Unione Sovietica, venendo a costituire oggi una sorta di “asse paradossale” attorno al quale si articolano i differenti approcci delle battaglie per i diritti.
Il dibattito in cucina
Già nel 1959, in quello che viene ricordato come Dibattito in cucina, durante l'Esposizione Universale Americana di Mosca, Richard Nixon e Nikita Kruschev discutevano su quale dei due sistemi economici cui erano a capo “rendesse più facile la vita alle donne”. Qualche anno più tardi negli Stati Uniti e, più in generale, in tutto il mondo occidentale esplodeva la contestazione giovanile assieme a una nuova consapevolezza “di genere”, che animava tutta una serie di inedite richieste per un maggiore riconoscimento sociale e lavorativo della componente femminile.
Le tante conquiste di quel periodo, oltre che delle lotte della popolazione, sono anche il frutto della volontà da parte dei governi di non cedere terreno ai paesi del blocco orientale, che almeno all'apparenza raggiungevano importanti risultati nell'ambito dell'inclusione delle donne. Infatti, pur senza quasi mai accedere alle posizioni di potere più alte, erano numerose le cittadine sovietiche che gradualmente assumevano ruoli dirigenziali nelle fabbriche o nelle istituzioni politiche, in modo abbastanza coerente con un'ideologia che considerava il superamento delle differenze di genere tutt'uno con il superamento delle differenze di classe.
Con buona approssimazione, sotto la quale si agitano ovviamente diverse sfumature e notevoli eccezioni, se ad ovest i cambiamenti hanno preso avvio dal basso, a est sono stati invece principalmente calati dall'alto. Cosa, quest'ultima, che ha un'importante conseguenza: laddove si è tentato di risolvere i problemi della discriminazione di genere attraverso la pianificazione statale, si è verificata anche una progressiva rimozione degli stessi dalla coscienza popolare, col risultato di una diffusa diffidenza verso i movimenti che avrebbero in futuro cercato di farsene nuovamente carico.
“Noi siamo impreparate, confuse, tutt'ora prive di un'organizzazione, di un movimento. Forse abbiamo ancora addirittura paura di chiamarci femministe” scriveva la giornalista croata Slavenka Drakulić osservando la vita quotidiana delle donne dell'est poco tempo dopo la caduta del muro (in Come siamo sopravvissute al comunismo. Riuscendo persino a ridere).
Valentina Bodrug e le battaglie legislative
In Moldavia qualcuno che ha certamente attraversato tale questione, rendendola poi il centro del proprio impegno personale e professionale, è Valentina Bodrug. Classe 1961, è stata docente di storia e pedagogia all'Università Statale di Chisinau per poi trasferirsi a Mosca sul finire degli anni '80 per un dottorato. Fu proprio al ritorno dalla capitale russa nella neonata repubblica moldava che si accorse della necessità di un cambio di prospettiva sulla realtà sociale.
“Durante il periodo sovietico le discriminazioni di genere erano latenti, io stessa non mi accorgevo della loro esistenza”, dice Valentina. “Ma con la transizione sono venute alla luce: l'erosione del welfare ha esacerbato criticità e divisioni già presenti, e a subire le conseguenze di tali rivolgimenti più di ogni altro erano le donne, soprattutto quelle con molti figli a carico. Erano tempi difficili. Da professoressa universitaria osservavo i problemi delle mie giovani studentesse, capivo la loro sofferenza”.
Da qui parte un'energica attività che si dispiega su più fronti. Assieme ad alcune colleghe e conoscenti, Valentina fonda l'associazione Gender Centru (registrata ufficialmente dal Ministero della Giustizia come una ONG solo nel 2000), con l'intento di studiare la questione femminile più da vicino e poter offrire un supporto diretto alle donne che subivano l'instabilità socio-economica della transizione. Ancora oggi l'associazione pubblica numerosi studi sulle discriminazioni di genere nel paese, impegnandosi inoltre nell'informazione e prevenzione relativa alla violenza domestica e diventando parte di Karat, una rete internazionale che unisce diversi gruppi est-europei implicati nelle battaglia per i diritti delle donne.
In parallelo, Valentina ha portato avanti un'attività di pressione sulle istituzioni affinché la Moldavia si dotasse di un'adeguata legislazione sul tema. È così che arriva a essere coautrice della legge sull'uguaglianza di genere (2006) e sulla violenza domestica (2007), siglate non prima che si fosse superata una certa diffidenza. “Molti dei miei interlocutori erano contrari a introdurre una misura di questo tipo. Alcuni pensavano fosse un argomento di poco conto oppure temevano si rischiasse di offrire una 'brutta immagine' del paese all'estero. Altri mi chiedevano addirittura se il vero motivo del mio impegno fosse che avevo problemi di violenza in famiglia. Al contrario è proprio perché conosco i benefici dell'equità e del rispetto che penso debbano essere diritti per tutti”.
Ma è forse nel campo dell'educazione che Valentina è riuscita a imprimere una delle svolte più inaspettate. È infatti grazie a lei che è nato il primo corso universitario incentrato sulle problematiche di genere, proprio in virtù di quella necessità di un cambio di prospettiva percepita al suo ritorno da Mosca. “Ovviamente le leggi sono inutili se non esiste una coscienza diffusa a sostenerle. Ciò che cerco di fare con il mio corso, oltre a offrire informazioni storiche sui movimenti femministi e sulle lotte per i diritti delle donne, è infondere una sensibilità nuova nei miei studenti. Come dicevo, le discriminazioni di genere sono state latenti per molto tempo in Moldavia, e non venivano riconosciute come tali. Penso allora che un buon punto di partenza sia appunto fornire gli strumenti per accorgersi di questa componente 'nascosta' delle relazioni sociali. Dopodiché penso sia giusto che ognuno declini personalmente, nella propria vita quotidiana, il suo essere attento alle dinamiche di genere”.
Il corso ha riscosso un vasto interesse fra gli studenti, diventando un esame obbligatorio per i curricula legati all'educazione. Tuttavia, ancora non si sono create le condizioni affinché l'esperienza di Valentina possa allargarsi e replicarsi: manca cioè una nuova classe docente formata sui temi delle discriminazioni di genere che riesca a garantire un ricambio a livello universitario.
Victoria Apostol e le prime "femministe"
Quella della presa che discorsi e prospettive di genere possano avere sulla popolazione moldava rimane una delle domande centrali per gli attivisti. Se infatti sono nate associazioni per i diritti delle donne e ci sono stati avanzamenti legislativi anche durante la transizione, è solo da due anni che è stata fondato il primo gruppo che si dichiara esplicitamente “femminista”.
La ventottenne Victoria Apostol e altre giovani moldave si riuniscono su base totalmente volontaria, cercando dunque un approccio alle problematiche il più possibile spontaneo e “calato nella realtà”. Le loro iniziative e le loro lotte si intersecano spesso con quelle della comunità LGBT, sostenute da Gender-doc, e si sono concretizzate nell'organizzazione di due edizioni della marcia per i diritti delle donne dell'otto marzo nonché nella promozione di dibattiti e conferenze, il più delle volte ospitati nello spazio di Teatru Spalatorie.
“Dopo l'indipendenza, la quasi totalità degli sforzi si è concentrata sulla creazione di leggi e sulla pressione verso le istituzioni”, dice Victoria. “Infatti in Moldavia abbiamo leggi avanzate per quanto riguarda i diritti delle donne ma d'altra parte non si è creato alcun movimento radicato nella società. Per questo attorno alla parola 'femminismo' vige una grossa diffidenza da parte della maggioranza della popolazione: a volte siamo state accusate di avere come unico obiettivo l'importazione di 'valori occidentali' nel contesto est-europeo. La realtà è che siamo tutte donne locali che cercano di agire qui ed ora”.
Le marce organizzate dal gruppo di Victoria hanno finora riscontrato una partecipazione modesta e supportata per un buon numero da internazionali, cosa certo non automaticamente negativa ma forse segno di uno scollamento fra chi porta avanti tali battaglie e il resto della popolazione. Molti dei nodi attorno ai quali si è articolato e continua ad articolarsi il discorso femminista a ovest – per forza di cose – vengono recepiti e riassimilati in modi differenti in Moldavia, e generalmente ad est. Uno su tutti, quello della famiglia, argomento di scontri e incomprensioni fra attiviste per i diritti delle donne già negli anni '90. Se infatti nel contesto occidentale il nucleo famigliare è stato individuato da molta letteratura come l'ambiente-base in cui le discriminazioni di genere hanno origine o comunque si riproducono, nei paesi post-sovietici e post-socialisti esso ha rappresentato (e rappresenta tuttora, almeno idealmente) una dimensione di protezione dall'invasività dello stato nella vita quotidiana quando non l'unico luogo in cui poter trovare una piena realizzazione personale.
“Si incontrano parecchie resistenze quando si prova a mettere in discussione ciò che attiene alla sfera privata”, argomenta Victoria, la quale è perfettamente consapevole del terreno scivoloso su cui lei e il suo gruppo si stanno muovendo. Attraverso il sito Platzforma ha recentemente pubblicato una critica abbastanza decisa verso le modalità di difesa dei diritti delle donne che sono stati finora sperimentate in Moldavia, citando tra l'altro un controverso testo della studiosa Kristen Godhsee del 2004 in cui si punta il dito verso il cosiddetto “femminismo-per-progettazione” di tante associazioni sostenute da finanziamenti esteri, un femminismo che sarebbe in realtà avulso dalle necessità concrete degli stessi soggetti cui intende rivolgersi poiché impegnato nell'implementazione di programmi d'azione sostanzialmente decisi altrove.
“Ciò in cui cerchiamo di distinguerci dalle ONG già esistenti è appunto la direzione in cui incanalare gli sforzi. Credo sia di vitale importanza saper individuare le cause che creano problematiche di genere. Al contrario, mi sembra che tante associazioni si concentrino esclusivamente sulle conseguenze, rendendosi spesso incapaci di andare alle radici delle discriminazioni. Non posso dire che con il nostro gruppo siamo riuscite ad estirpare tali cause, ma almeno abbiamo sollevato la questione”.
Un fronte aperto
La Moldavia è al centro di grandi cambiamenti, che quasi mai assumono il carattere di ribaltamenti improvvisi ma che stanno comunque incidendo nel profondo della società. La disgregazione dei tessuti famigliari per via della forte emigrazione, il difficile collocamento nei commerci internazionali con la conseguente ristrutturazione interna del mercato del lavoro, la “crisi”, vicina all'agonia, di un mondo rurale che rimane comunque numericamente preponderante.
E' nell'incertezza di queste traiettorie che si giocano i mutamenti della morale e dei costumi. Femminismo e prospettive di genere sembrano allora avere il compito di intersecarsi con le domande aperte del presente moldavo, affinché le forme - giustamente ibride, magari anche “prese in prestito” dall'esterno - di una possibile contestazione e rinnovamento dello status quo assumano contenuti quanto mai vividi e sentiti (dai più).
“La parità fra i sessi va di pari passo con lo sviluppo della democrazia”, conclude Valentina. Due fronti aperti per i prossimi anni.
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