Mihailo Jovović - Foto OBCT

Mihailo Jovović - Foto OBCT

Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, in Montenegro – oggi paese candidato all’UE –, parallelamente ai tentativi di accelerare lo sviluppo della democrazia è proseguita anche l’evoluzione del panorama mediatico. Ne abbiamo parlato con Mihailo Jovović, caporedattore del quotidiano indipendente Vijesti

10/07/2024 -  Sava Mirković Podgorica

Stando all’ultima classifica di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa nel mondo, il Montenegro occupa il 40° posto (su un totale di 180 paesi presi in considerazione), quindi si posiziona abbastanza in alto rispetto agli altri paesi dell’area post jugoslava. La situazione però è ben lungi dall’essere rosea.

Le ingerenze esterne, provenienti principalmente dalla Serbia, attraverso le strutture di proprietà dei mezzi di informazione, e la pervasività della propaganda sono solo alcuni dei problemi che affliggono il settore dei media in Montenegro. Se da un lato la Commissione europea, nella sua ultima relazione sul Montenegro, ritiene soddisfacente il livello di pluralismo del panorama mediatico montenegrino, il Media Ownership Monitor gestito da Global Media Registry evidenzia alcune criticità . Nello specifico, un elevato grado di concentrazione della proprietà incrociata dei media e un notevole rischio di ingerenza politica nelle decisioni editoriali.

Il primo problema deriva dal fatto che otto principali aziende mediatiche controllano l’89,5% del mercato dei media montenegrini tra tv, carta stampata, radio e portali web. Il secondo aspetto problematico è legato ad una forte polarizzazione dei media, con evidente tendenza ad allinearsi a determinate posizioni politiche.

L’emittente pubblica (la Radiotelevisione del Montenegro, RTCG) è la principale fonte di informazione dei cittadini montenegrini. L’attuale direttore della RTCG è Boris Raonić, nominato per la prima volta nel 2021 con l’intento di cambiare il quadro dirigenziale del servizio pubblico, sino ad allora considerato controllato dal Partito democratico dei socialisti (DPS). Nel 2023 Raonić è stato riconfermato alla guida della RTCG, nonostante la decisione dell’Alta corte di Podgorica che ha giudicato illegittima la nomina di Raonić a causa di un conflitto di interessi.

La nuova legge sul servizio pubblico, approvata dal parlamento di Podgorica lo scorso 19 giugno, affronta anche la questione delle procedure di nomina del direttore della RTCG ed è diventata il pomo della discordia tra le forze politiche proprio per via della riconferma di Raonić.

Un’altra criticità riguarda la sicurezza dei giornalisti, questione che, in Montenegro, è legata innanzitutto all’incapacità (o alla mancanza di volontà) delle autorità competenti di condurre indagini adeguate e risolvere casi di attacchi ai giornalisti. L’irrisolto omicidio di Duško Jovanović, proprietario e direttore del quotidiano Dan, è uno dei principali indicatori dell’impotenza delle istituzioni dello stato che, a distanza di vent’anni, ancora non sono riuscite a fare chiarezza su quanto accaduto. Casi come questo suscitano preoccupazione tra i cittadini, alimentano la sfiducia nella magistratura e nelle forze di polizia e contribuiscono alla creazione di un ambiente pericoloso per i giornalisti.

Di questo, e molto altro, abbiamo parlato con Mihailo Jovović, direttore responsabile del quotidiano indipendente Vijesti e presidente della Commissione per il monitoraggio dell’operato delle autorità competenti a indagare sugli attacchi ai giornalisti.

Come commenta la situazione riguardante la proprietà dei media in Montenegro? Sappiamo che vi è un elevato grado di concentrazione dei media, quindi manca il pluralismo. Secondo lei, questo è un problema strutturale, legato ad un mercato estremamente piccolo, oppure le cause vanno cercate altrove?

Credo che la questione sia in parte legata alle dinamiche del mercato, su cui incidono fortemente i media dell’intero spazio linguistico post-jugoslavo, soprattutto quelli serbi. Non ci sono barriere linguistiche, quindi anche alcuni media poco professionali, che non fanno che propaganda, riescono ad esercitare un’influenza notevole sul mercato montenegrino.

Queste dinamiche non sono necessariamente legate alla proprietà dei media. In Montenegro ci sono alcuni media di proprietà “nazionale”, i cui proprietari però hanno denaro di dubbia provenienza, alcuni sono stati arrestati, altri sono sotto processo. Dicono che i proprietari di maggioranza di tutte le emittenti televisive montenegrine (una sola esclusa) provengano dalla Serbia. Credo sia una percezione sbagliata, ciò che importa è la professionalità e l’indipendenza editoriale.

Personalmente, preferirei lavorare per un media con un proprietario straniero, capace però di rispettare una linea editoriale indipendente e la presenza di un caporedattore moralmente integro, piuttosto che per un media controllato da un cittadino montenegrino che non riesce a garantire l’indipendenza e la professionalità.

Come valuta la legge sui media attualmente in vigore in Montenegro? C’è spazio per miglioramenti?

Con l’attuale legge sui media sono stati introdotti alcuni miglioramenti rispetto alla normativa precedente, soprattutto per quanto riguarda la protezione delle fonti, ossia il diritto dei giornalisti di proteggere le proprie fonti. In passato, in alcuni casi, su richiesta della procura, i giornalisti dovevano rivelare l’identità delle fonti, altrimenti rischiavano una sanzione. Ora invece è il tribunale a stabilire se un giornalista debba o meno rivelare la propria fonte. Pur trattandosi di un passo in avanti rispetto alla legge precedente, l’attuale normativa è ancora lontana da quella del 2002, secondo cui i giornalisti in nessun caso erano obbligati a rivelare l’identità delle proprie fonti.

Vanno evidenziati alcuni cambiamenti anche nell’operato dell’emittente pubblica dopo il cambio di potere nell’agosto del 2020. Nelle ultime settimane si è parlato molto della legge sul servizio pubblico, diventata vittima della difficile coabitazione tra il capo dello stato e il primo ministro. Mi riferisco in particolare alla decisione del presidente Jakov Milatović di rinviare il testo legislativo al parlamento per un nuovo esame. Qualche giorno fa la legge è stata finalmente approvata. Secondo lei, è una buona legge?

Credo che la nuova legge sul servizio pubblico sia sostanzialmente buona, anche se l’attuale direttore della RTCG, insieme al primo ministro, ha influenzato alcuni emendamenti. Ritengo pessima la modifica secondo cui la durata dell’esperienza pregressa richiesta per la nomina del direttore del servizio pubblico è stata ridotta da dieci a cinque anni. Un’altra disposizione negativa è quella che permette di pubblicare gli spot pubblicitari in prima serata, cioè tra le 20.00 e le 21.00.

Si è trattato evidentemente di uno scambio di favori dove il primo ministro ha assecondato le richieste del direttore dell’emittente pubblica in cambio di obbedienza e diffusione della propaganda del governo.

Va però sottolineata una differenza importante rispetto al periodo in cui al governo c’era il Partito democratico dei socialisti (DPS). Fino al 2020 alla RTCG c’era spazio solo per gli esponenti del DPS, che parlavano di quello che volevano. Ora c’è spazio per tutti che però continuano a parlare di quello che vogliono. C’è scarsa professionalità e i giornalisti evitano di porre domande scomode ai loro ospiti. Quindi, non si parla di questioni che interessano i cittadini. Il fatto che ci sia spazio per tutti è un progresso, perché il servizio pubblico deve servire gli interessi dei cittadini che lo finanziano. Manca però il giornalismo investigativo.

Soffermiamoci sulla questione della sicurezza dei giornalisti. Lei guida la Commissione per il monitoraggio dell’operato delle autorità competenti a indagare sugli attacchi ai giornalisti. Ci sono alcuni sviluppi positivi riguardo alla sicurezza dei giornalisti in Montenegro, considerando che in passato abbiamo assistito a diversi casi di aggressione ai giornalisti? Ritiene che l'impunità sia il problema principale, visto che alcuni dei casi più famosi non sono ancora stati risolti?

Alcuni vecchi casi sono ancora ad un punto morto, tra cui l’omicidio di Duško Jovanović nel 2004, il pestaggio di Tufik Softić, l’attacco a Olivera Lakić. In questi casi non è stato fatto alcun progresso. Capisco che alcuni casi sono difficili da risolvere, però le relazioni della Commissione da me presieduta dimostrano chiaramente che le indagini non sono state condotte in modo adeguato. Si è scelto di non condurle in modo adeguato. L’attuale situazione di stallo, a mio avviso, è legata al fatto che ad occuparsi dei vecchi casi di attacchi ai giornalisti sono più o meno le stesse persone che lavoravano nella procura anche durante le indagini preliminari. I casi recenti vengono invece affrontati con maggiore prontezza.

Torniamo al caso di Duško Jovanović, ucciso vent’anni fa. Lei come riassumerebbe l’atteggiamento del potere nei confronti di questo caso? C’è volontà politica di risolverlo?

Esiste una volontà politica declaratoria che si riflette nella tendenza ad esercitare pressioni sulla procura e sulla polizia affinché risolvano l’omicidio Jovanović. Non spetta certo ai politici condurre le indagini, però il sostegno pubblico, assente nel periodo precedente al 2020, significa molto. Nelle ultime due relazioni, la Commissione da me guidata ha avanzato proposte concrete su cosa si dovrebbe fare e quali testimoni ascoltare. Bisognerebbe anche offrire un premio per incoraggiare le persone che sanno qualcosa a rivelare le informazioni di cui dispongono.

Avete ricevuto un riscontro riguardo alle proposte avanzate?

Il governo ha adottato la nostra relazione. Il problema però è un altro. La Commissione è stata istituita dal governo, che non ha alcun potere di controllo sulla procura. Indaghiamo sugli investigatori, cioè sull’operato della procura e della polizia, e possiamo soltanto esprimere raccomandazioni. Presentiamo le nostre relazioni con raccomandazioni al governo, che poi le inoltra alla procura e alla polizia. Quindi, abbiamo uno spazio di manovra assai limitato.

Ultimamente però si notano alcuni sviluppi positivi. Ad esempio, il procuratore generale ha chiesto a tutti gli uffici del pubblico ministero di fornirgli non solo chiarimenti sui motivi per cui alcune indagini si sono protratte per così tanto tempo – aspetto molto importante per l’accertamento delle responsabilità – ma anche proposte concrete per rafforzare la collaborazione con la Commissione, compresa la necessità di informare regolarmente la Commissione sugli sviluppi relativi alle indagini.

 

Questo articolo è stato prodotto da OBC Transeuropa all'interno del progetto Media Freedom Rapid Response (MFRR), un meccanismo a livello europeo che traccia, monitora e risponde alle violazioni della libertà di stampa e dei media negli Stati membri dell'UE e nei Paesi candidati

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