Le recenti elezioni amministrative hanno riconfermato la leadership in molte città, compresa la capitale Podgorica, del partito di Đukanović. Perché il paese da trent’anni non cambia?
Il Partito democratico dei socialisti (DPS) ancora una volta ha sconfitto l’opposizione montenegrina, prima alle elezioni presidenziali del 15 aprile scorso, quando il leader del DPS Milo Đukanović è stato eletto presidente della Repubblica, e poi alle elezioni amministrative tenutesi in 11 comuni il 27 maggio scorso. L’affluenza alle urne è stata più bassa rispetto alle amministrative del 2014 e come successo anche quattro anni fa il DPS ha ottenuto la maggioranza delle preferenze e potrà governare da solo, o in coalizione con i suoi alleati di lunga data, in quasi tutti i comuni dove si sono svolte le elezioni.
Nella capitale Podgorica, dove i rivali di Đukanović hanno dichiarato avrebbero vinto, il DPS potrà governare da solo, essendosi aggiudicato 32 seggi su 61 in consiglio comunale.
Le elezioni, come di consueto, sono state macchiate da intimidazioni e sospetti di compravendita di voti. Il DPS ha accusato l’opposizione di aver maltrattato i suoi attivisti, eppure a finire in ospedale con la testa spaccata è stato un sostenitore dell’opposizione. Il regista montenegrino Mladen Ivanović è stato aggredito davanti ad una delle sedi del DPS e si è visto sequestrare la telecamera. Membri del DPS sono stati accusati dall'opposizione di aver cacciato, “armati fino ai denti” gli attivisti dell’opposizione dalle sedi del DPS.
Milo Đukanović, dal canto suo, ha dichiarato che gli attivisti dell’opposizione non facevano altro che cercare guai.
I leader dell’opposizione, come di consueto, hanno cercato i colpevoli della loro sconfitta ovunque, tranne che tra le proprie fila. Hanno accusato chi si è astenuto; i colleghi politici più giovani; alcuni hanno invitato i cittadini a protestare, altri a trovare un accordo tra le forze dell’opposizione sulle azioni future. Ad oggi però non è stato ancora raggiunto nessun accordo, anzi il dialogo non è stato nemmeno avviato.
Apatia civica
E i cittadini continuano a non reagire. Sono ormai trent’anni che nel paese non si è visto alcun vero cambiamento. Costantemente preoccupati di come arrivare a fine mese, i cittadini montenegrini sembrano ormai diventati immuni a tutto ciò che accade nel paese.
Il giorno dopo le elezioni amministrative il governo ha annunciato un nuovo aumento dei prezzi della benzina. In Montenegro i prezzi della benzina sono tra i più alti della regione, superando persino quelli vigenti in alcuni dei paesi più ricchi dell’Ue, come Lussemburgo, Austria e Germania.
Stando ai dati diffusi nel febbraio 2018, quasi 77mila lavoratori montenegrini su un totale di 180mila hanno uno stipendio inferiore a 250 euro.
Un altro dato scoraggiante, che però non suscita nei cittadini alcuna voglia di cambiamento, è che non è stato ancora risolto nessuno dei cinque casi di omicidio avvenuti dall’inizio di quest’anno in pieno giorno e in luoghi pubblici. Per non contare i vecchi omicidi mai risolti.
I cittadini non sembrano preoccuparsi neanche dei casi di attacchi contro i giornalisti rimasti irrisolti, né tanto meno del fatto che nessuno si dimette né viene chiamato a rispondere per numerosi casi di neonati, bambini e pazienti morti in ospedale. Né per lo sfruttamento delle risorse idriche, che lo stato concede ad investitori privilegiati per la costruzione di piccole idrocentrali . Né della propensione di chi è al governo a emanare leggi al solo scopo di guadagnarsi consensi in vista delle elezioni, come avvenuto alla vigilia delle elezioni politiche del 2016 quando, con le modifiche alla legge sulla tutela sociale e dell’infanzia, a tutte le madri di tre o più figli, che all’epoca erano 22mila, è stato concesso "un assegno a vita" . Poco dopo le elezioni questo assegno è stato abolito e molte donne che ne hanno beneficiato sono rimaste senza alcuna fonte di reddito, avendo nel frattempo rinunciato al loro lavoro.
Nessuna solidarietà
Non è che i cittadini montenegrini non esprimano la loro insoddisfazione, lo fanno ma ognuno per conto proprio.
“Manca la solidarietà”, dice il regista Mladen Ivanović, aggiungendo che “i rivoluzionari” non vengono attaccati dal DPS, bensì si attaccano a vicenda. “Il primo ad attaccarvi sarà qualcuno con cui andavate a protestare, perché siamo una società di egomaniaci”.
Convinto che la solidarietà tra i cittadini sia la chiave del cambiamento, Ivanović cita l’esempio delle proteste di Beranselo, nei pressi di Berane, dove qualche anno fa gli abitanti hanno protestato contro lo smaltimento dei rifiuti in una discarica nei pressi del villaggio.
“La vicenda di Beranselo è stata considerata un problema locale fino a quando a una delle manifestazioni di protesta non sono arrivati i tifosi di Kotor “Beštije”, che insieme agli abitanti hanno fatto una simulazione di una partita di pallanuoto sul sito della discarica”, ricorda Ivanović, il cui documentario "Između rijeke i ljudi" [Tra il fiume e le persone], che racconta la protesta di Beranselo, ha ricevuto diversi riconoscimenti internazionali.
Beranselo ha vinto la sua battaglia contro la politica, la discarica è stata spostata in un’altra località e gli abitanti del villaggio, dopo anni di lotta, hanno finalmente cominciato a respirare.
Le proteste devono restare immuni da strumentalizzazioni
Che i cittadini possano vincere le sfide comuni lo dimostra anche la protesta scoppiata qualche anno fa a Podgorica contro la costruzione di un tunnel attraverso la collina Gorica, il polmone verde della città. I cittadini si erano ribellati all’idea della costruzione del tunnel, avviando petizioni e organizzando manifestazioni di proteste e performance. Alla fine il progetto voluto dall’allora sindaco Miomir Mugoša – recentemente accusato di aver sottratto svariati milioni di euro alle casse comunali – è stato abbandonato.
“Esempi come questo dimostrano che le proteste dei cittadini possono dare i loro frutti se non sono politicizzate. Quando una protesta rimane immune dalla politica, il governo non può dire che c’entrano i russi, cetnici, partigiani, tedeschi, austro-ungarici, cinesi, e chissà quali altri immaginari nemici esterni”, dice Ivanović.
I cittadini montenegrini, insoddisfatti di tante cose, molte volte sono scesi in strada per manifestare, ma le proteste di massa sono state poche.
Secondo Ivanović, le ragioni del fallimento delle proteste sono legate, oltre che all’assenza di solidarietà, alla stanchezza dei cittadini e alla politicizzazione del loro malcontento.
“La protesta del 2012, organizzata da sindacati e studenti, ha visto una massiccia partecipazione dei cittadini insoddisfatti in merito all’annunciato aumento del prezzo dell’energia elettrica. Se fossero venuti altri cittadini, questa protesta avrebbe potuto far cadere la nostra ‘dolce’ dittatura”, ricorda Ivanović, aggiungendo che la protesta è fallita a causa dell’esaurimento della sua spinta propulsiva.
“I manifestanti erano ormai sfiniti. Ciononostante, questa protesta è stata molto importante perché grazie ad essa si è liberata un’enorme quantità di energia. Prima di questa protesta vivevamo come chiusi in una casamatta, e dopo di essa i cittadini hanno iniziato a parlare dei problemi con più coraggio, si sono sentiti più forti. Dopo quel 2012, ci sono state diverse iniziative civiche, e questo è un buon segno”.
L’assenza di un’opposizione seria
Nel 2013 i cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il risultato delle elezioni presidenziali.
“Dopo il furto di voti da parte dell’ormai ex presidente Filip Vujanović molti cittadini sono scesi in strada. Purtroppo, Miodrag Lekić [il candidato dell’opposizione alle presidenziali, ndt], invitando la popolazione alla calma ha giocato male le sue carte, e la protesta è finita con un nulla di fatto”, spiega Ivanović.
Il regista ricorda inoltre le proteste del Fronte democratico (coalizione dei partiti dell’opposizione) del 2015, quando i manifestanti erano rimasti accampati per giorni davanti al parlamento, dormendo nelle tende. La protesta si è conclusa con l’intervento della polizia che ha usato gas lacrimogeni contro i manifestanti. Stando alle parole di Ivanović, quello che ha lasciato l’amaro in bocca a molti è stato il fatto che il giorno dell’intervento della polizia Andrija Mandić, uno dei leader della protesta, è stato arrestato mentre cenava tranquillamente in un ristorante.
“Finché ci saranno politici che, consapevolmente o no, agiscono a favore della leadership al potere, non avverrà alcun cambiamento. Il popolo è insoddisfatto e per questo scende in strada. Ma i cittadini sono sempre più stanchi e la domanda è fino a quando continueranno a scendere in strada e credere nei cambiamenti se qui in realtà non cambia mai nulla”, dice Ivanović, convinto che non si possa cambiare né far crollare un sistema da un giorno all’altro.
“Dimentichiamo inoltre di aver a che fare con un politico scaltro. Milo Đukanović è il politico più abile non solo sulla scena politica montenegrina, ma anche oltre i confini nazionali. Non avrebbe mai potuto governare trent’anni se si fosse comportato come si comporta l’opposizione montenegrina”.
I media e gli intellettuali
Secondo Ivanović, le stesse persone detengono il potere per decenni anche grazie all’aiuto dei media e degli intellettuali.
“I media – al pari di Đukanović che non ha nessuna ideologia – perseguono solo i propri interessi, spostando l’accento dai temi cruciali per la vita dei cittadini a quelli che divertono o provocano disaccordi tra le persone. Così l’immagine principale trasmessa dalle proteste del Fronte democratico è stata quella della carne che girava sullo spiedo nel centro città… Ci sono poche persone intelligenti disposte a parlare apertamente e chiaramente di certi argomenti, e questo vale anche per gli artisti, che tendono a mettersi al servizio del potere. Ci sono sempre stati artisti di corte, del resto anche Jacques-Louis David ha rappresentato Napoleone mentre attraversa le Alpi”, afferma Ivanović.
Aggiunge inoltre che è difficile sopravvivere da artista indipendente, ma che per lui è una soddisfazione vedere un cambiamento e sapere di aver contribuito a farlo nascere, come nel caso di Beranselo.
“Questa si chiama libertà”.
Cambiamenti indispensabili
Non esiste una ricetta semplice per innescare cambiamenti nella società montenegrina, ma è indispensabile farlo.
“La mia generazione è cresciuta sotto questo regime, non conosciamo nient’altro. Qui le stesse persone governano ormai da trent’anni e questo è nocivo al benessere mentale dei cittadini. Se si verificasse un cambiamento, anche solo per un giorno, sarebbe già qualcosa. Così invece diverse generazioni di una famiglia passano l’intera vita sotto lo stesso regime, ricevono gli stessi messaggi e li ripetono come un mantra. Ed è per questo che in Montenegro i valori nazionali e sociali sono così degenerati. Non è normale educare i figli dicendo loro di stare zitti, di non ribellarsi… Queste cose sono presenti nella nostra società ormai da tanto, troppo tempo. C’è bisogno di una profonda decontaminazione affinché i cittadini capiscano che devono ribellarsi apertamente e dire che il cambiamento è indispensabile”, spiega Ivanović.
Se invece continuano a non reagire alle frodi elettorali, alle decisioni arbitrarie dei politici, a tutto quanto sta accadendo nel paese, i cittadini montenegrini potrebbero sperimentare cambiamenti solo se vengono imposti da fuori. Oppure, come sostiene l’attivista Dragan Sošić, se si trovano costretti a unirsi per far fronte a una grave emergenza naturale.
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