Carlo Bozzola (foto Vijesti)

Carlo Bozzola (foto Vijesti)

Nei giorni precedenti alla votazione sulla risoluzione Srebrenica all’Assemblea dell’Onu, in Montenegro è circolata una lettera firmata da Carlo Bozzola, controverso cittadino italiano e montenegrino, che negava il genocidio. Il quotidiano Vijesti ha indagato sulle sue dichiarazioni

30/05/2024 -  Vukašin Obradović Podgorica

(Originariamente pubblicato da Vijesti, il 23 maggio 2024)

Carlo Bozzola non ha alcuna prova concreta che possa corroborare la sua affermazione secondo cui durante la guerra in Bosnia Erzegovina (fino al 1996) nell’area di Srebrenica sarebbero stati uccisi circa 1600 civili e circa 2400 soldati bosgnacchi.

“I civili furono vittime collaterali”, sostiene Bozzola interpellato da Vijesti.

Stando a quanto stabilito dalle sentenze del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) e della Corte internazionale di giustizia (ICJ), nel genocidio di Srebrenica furono uccisi oltre ottomila ragazzi e uomini bosgnacchi.

Lo scorso 12 maggio, il Partito popolare democratico (DNP) ha reso noto che Milan Knežević, leader del DNP, ha ricevuto “una dichiarazione scritta dal signor Carlo Bozzola, Alto rappresentante delle Nazioni Unite durante la guerra civile in Bosnia Erzegovina”.

“Nella sua dichiarazione – si legge nel comunicato diffuso dal DNP – il signor Carlo Bozzola rivela nuovi fatti e dettagli relativi agli eventi di Srebrenica del 1995”.

Il comunicato del DNP ha attirato parecchia attenzione, non solo per il fatto che una persona di nome Carlo Bozzola non è mai stata “Alto rappresentante dell’Onu” in Bosnia Erzegovina, ma soprattutto per le affermazioni di Bozzola che possono essere interpretate anche come una negazione esplicita del genocidio.

“Nei boschi intorno a Srebrenica persero la vita circa 1100 civili musulmani perché erano armati e risposero agli attacchi, tra le vittime c’erano però anche alcuni civili inermi, circa 250 morti nei dintorni di Srebrenica in circa tre anni, a cui vanno aggiunti 2500-2800 soldati musulmani [morti] durante la guerra. Tutti gli altri [bosgnacchi] sepolti [a Potočari] furono portati da altre città e villaggi”, sostiene Carlo Bozzola nella sua dichiarazione.

Abbiamo interpellato Milan Knežević in merito all’affermazione di cui sopra. Al posto del leader del DNP ci ha risposto Jovana Todorović, portavoce del partito, suggerendoci di parlare direttamente con il signor Bozzola e di “incontrarlo”. Ci ha gentilmente fornito anche il suo recapito telefonico.

“Non so se sia in Montenegro – ha affermato Todorović – probabilmente sì perché ha un numero montenegrino”.

Come emerso in seguito, Carlo Bozzola vive a Danilovgrad. Questo arzillo settantenne si autodefinisce “serbo del Montenegro” pur possedendo anche la cittadinanza italiana.

Bozzola ha accettato di rilasciarci un’intervista senza un attimo di esitazione. Come ci ha spiegato, suo padre era italiano e durante la Seconda guerra mondiale aveva combattuto in Montenegro, dove si era innamorato della madre di Carlo, originaria di Danilovgrad. Dopo la capitolazione [italiana dell’8 settembre 1943] i genitori di Carlo erano partiti per l’Italia.

Con lo scoppio della guerra in ex Jugoslavia, Bozzola sentì il richiamo della sua seconda patria, e quindi pensò di arruolarsi nell’esercito. Quando poi le autorità montenegrine gli dissero che non ce n’era bisogno, decise di fondare a Trieste un’associazione umanitaria (ASIT). Con l’aiuto del rinomato medico Marino Andolina, Bozzola – come spiega lui stesso - era impegnato principalmente nella raccolta e nell’invio dei farmaci nelle aree colpite dal conflitto, per poi recarvisi di persona.

Bozzola sottolinea di non aver mai ricoperto la carica di Alto rappresentante dell’Onu, come si sostiene nel comunicato emesso dal DNP.

“Vabbè, hanno sbagliato. Ero un delegato straordinario”, afferma Bozzola.

Stando alle sue parole, per l’intera durata della sua permanenza in Bosnia Erzegovina, era impegnato a visitare gli ospedali “organizzando la raccolta di donazioni e l’assistenza ai bambini malati e alle persone ferite in BiH per le cure negli ospedali nell’UE”.

Bozzola poi spiega che durante la guerra in BiH, in particolare tra la fine del 1994 e l’inizio del 1995, si era recato tre volte nell’area di Srebrenica.

“Nel momento in cui accadde quell’evento mi trovavo a Sokolac, in ospedale, e telefonai al generale Mladić. Non ricordo il motivo per cui lo chiamai, però mi disse che nei dintorni di Srebrenica la NATO aveva colpito un’ambulanza con tre musulmani feriti e due medici serbi. Andai subito a Srebrenica. Quel giorno scortarono gli autobus [pieni di donne e bambini in fuga da Srebrenica]”, racconta Bozzola.

Prosegue affermando che le truppe di Naser Orić [comandante della difesa di Srebrenica durante la guerra in BiH] uccisero circa duemila serbi, quindi Mladić – come sostiene Bozzola - fu sottoposto a forti pressioni perché le famiglie di molti dei suoi soldati furono trucidate da Orić.

Bozzola sottolinea che “nei boschi intorno a Srebrenica persero la vita i civili, ma anche i soldati di Orić che accompagnavano i convogli [di profughi]”, poi subito aggiunge che quei civili erano armati.

Alla domanda se avesse assistito di persona agli episodi sopra descritti, Bozzola risponde affermando di aver visto un convoglio di profughi nei pressi di Vlasenica e di averne informato il comandante Zvonko Bajagić [noto anche con il soprannome di Duga Puška (fucile lungo), nda], per poi avvicinarsi ad uno dei soldati che accompagnavano il convoglio, dicendogli: “Non sparare, io sono dell’Unprofor! Non ti succederà nulla!”.

Bozzola sostiene di aver salvato quei bosgnacchi, che poi furono “accompagnati” da Bajagić verso Zenica.

Spiega inoltre di aver visto alcuni civili morti lungo la strada, “tra i quali c’erano anche alcuni serbi”, aggiungendo di “non aver osato parlarne” prima.

Poi il racconto si sposta all’ospedale di Milići che – come afferma Bozzola – era pieno di civili feriti nei dintorni di Bratunac. Bozzola cercò di aiutarli fornendo farmaci e glucosio per infusione che aveva portato con sé.

Tornando ai fatti di Srebrenica, Bozzola spiega, seppur in modo assai confuso, che tra l’11 e il 15 luglio [del 1995] non si trovava nella città di Srebrenica, poi però aggiunge che era con le forze dell’Unprofor e con Mladić “quando accadde quell’episodio dell’autobus”. Il riferimento è al momento, peraltro ben documentato , in cui Mladić entrò in un autobus pieno di bosgnacchi, promettendo loro che ne sarebbero usciti sani e salvi.

“Poi [Mladić] disse loro che potevano scegliere se andarsene o rimanere, e che nessuno avrebbe torto loro un solo capello”, sostiene Bozzola, precisando che in quell’occasione Mladić disse anche di non poter assumersi la responsabilità di quanto stava accadendo nei dintorni di Srebrenica, ma che comunque “era un bene che fosse arrivato l’Unprofor”.

“I civili furono vittime collaterali”, afferma Bozzola, aggiungendo che durante la guerra in BiH nell’area di Srebrenica furono uccisi circa 1600 civili e 2400 soldati “musulmani”, dati che, come sostiene Bozzola, gli furono forniti dai “caschi blu”.

“Ne venni a conoscenza direttamente da loro”, sottolinea Bozzola, “sono sicuro al 300% che sia vero”.

Alla domanda se abbia qualche prova che possa corroborare la sua affermazione secondo cui “i musulmani trasferivano [a Srebrenica] i morti da altre parti [della BiH]”, Bozzola risponde che molte persone morte a Zenica furono sepolte a Srebrenica “sfuggendo al controllo dei serbi”.

Incalzato sui dati che parlano di oltre ottomila bosgnacchi uccisi a Srebrenica, Bozzola afferma seccamente: “Non è vero”.

Bozzola sostiene che a Srebrenica sarebbero stati uccisi solo 250 civili, quindi gli chiediamo se questo significhi che circa ottomila cadaveri furono portati a Srebrenica da altre parti della BiH e se ci possa fornire qualche prova al riguardo.

“Ci sono molte registrazioni… Si tratta di dichiarazioni ufficiali. Qualcuno avrà ideato quella strategia. Sicuramente avevano un piano”, risponde Bozzola, precisando però di non sapere nulla delle fosse comuni perché “in quel periodo non era lì”. Sostiene anche di non aver mai sentito parlare della formazione paramilitare “Škorpioni” [scorpioni], nonostante sia stato pubblicato un video che mostra l’uccisione di civili da parte di questo gruppo paramilitare.

Bozzola spiega di aver deciso di contattare Milan Knežević, leader del Partito popolare democratico (DNP), e di inviargli una dichiarazione scritta “quando è partita questa storia di un genocidio che non c’è mai stato”.

“Quando Milan Knežević mi ha chiesto se la mia dichiarazione fosse vera, gli ho risposto: ‘È pura verità, lo giuro’”, afferma Bozzola.

Spiegando il motivo per cui la dichiarazione non è datata, Bozzola sostiene di averla scritta molto tempo fa. “Era pronta dieci anni fa. Ora l’ho semplicemente aggiornata”.

La dichiarazione è stata scritta su carta intestata della Federazione internazionale per i diritti umani (FIDH) e della Lega Italiana. Commentando il fatto che sulla carta è riportato il logo delle Nazioni Unite, come anche quello dell’Unione europea, Bozzola spiega che quei simboli c’erano già nel 1991 o nel 1992 quando gli “diedero quel pacco a Roma”.

“Lo ricevetti dal presidente della Lega Italiana… Ci sono poi il mio sigillo e la mia firma. Avevo il diritto di farlo”, afferma Bozzola, precisando che le due organizzazioni non sono a conoscenza della sua dichiarazione.

Oltre a lavorare nella sua azienda, fondata nel 1979, attualmente Bozzola – come spiega lui stesso – ha tanti altri lavori, “però tutti legittimi”.

Alla domanda se sia a conoscenza del fatto che la negazione del genocidio può essere un reato, Bozzola risponde in modo affermativo, e aggiunge: “Aspetto che mi chiamino. Sono pronto”.

UE: il genocidio di Srebrenica non è una questione di punti di vista

Ribadendo che a Srebrenica fu commesso un genocidio, la delegazione dell’UE in Bosnia Erzegovina ha sottolineato che “non si tratta di una questione di opinioni”, bensì di un fatto storico, giudizialmente accertato dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia nel 2004 e dalla Corte internazionale di giustizia nel 2007.

Interpellata sulle affermazioni di Carlo Bozzola, la delegazione UE ha definito inaccettabile qualsiasi negazione, banalizzazione, giustificazione o glorificazione del genocidio e di chi ne è responsabile. “In Europa non c’è posto per la negazione del genocidio, il revisionismo e l’esaltazione dei criminali di guerra”.

Anche l’ufficio delle Nazioni Unite in BiH ha commentato la vicenda, affermando che “i dati disponibili non indicano alcun ingaggio di una persona di nome Carlo Bozzola da parte dell’Onu”.

Suljagić: non ne ho mai sentito parlare

Interpellato sul caso di Carlo Bozzola, Emir Suljagić, direttore del Memoriale di Potočari, afferma di non aver mai sentito parlare di una persona che si chiama così.

“Ero rimasto a Srebrenica, nella base dell’Onu, fino al 21 luglio 1995. Se fosse venuto un uomo così autorevole, ne sarei stato a conoscenza e probabilmente lo avrei anche incontrato”, spiega Suljagić.

Il direttore del Memoriale di Potočari sottolinea che il nome di Carlo Bozzola non è mai stato citato in nessun procedimento penale avviato davanti al Tribunale dell’Aja per i fatti di Srebrenica, quindi non compare né negli atti della procura né nei documenti della difesa, almeno non in quelli pubblicamente accessibili.

“Credo sia un semplice ciarlatano”, conclude Suljagić.

Durante la guerra in BiH, Suljagić lavorava come interprete per le Nazioni Unite e per gli osservatori militari europei.

La spada da samurai

Nel 2015 un abitante di Danilovgrad ha accusato Bozzola di aver rubato “una spada da samurai” dalla cassaforte della Societe General Montenegro “con l’aiuto di un dipendente di quella banca”.

Bozzola sostiene invece di non aver commesso alcun reato.

Dopo essere stato denunciato ha rilasciato una dichiarazione alla procura. “Ho spiegato loro di avere tutti i documenti, ho portato anche un atto notarile in modo da poter effettuare verifiche in banca. Ho firmato la dichiarazione e me ne sono andato”, afferma Bozzola.

Bozzola, Aco e Brano

Bozzola sostiene di aver conosciuto di persona Giuseppe Scelsi [ex procuratore di Bari] che nel 2001 aprì un'indagine sul contrabbando di sigarette dal Montenegro verso l’Italia.

Il portale Borba, che si è occupato dell’argomento, cita infatti il nome di Carlo Bozzola.

Dalle indagini - scrive Borba – è emerso che negli anni ’90 Bozzola, insieme ad Aco Đukanović [fratello dell’ex presidente montenegrino Milo Đukanović], aveva instaurato rapporti con alcune persone identificate dalla polizia italiana come membri delle organizzazioni mafiose.

“Avevano collaborato nel traffico di sigarette, e successivamente anche in altri affari. Tra i membri di quel gruppo c’erano anche alcune persone provenienti dalla Serbia, il croato Vlado Brkić (i media locali lo chiamavano ‘il padrino croato della mafia balcanica’) e Vanja Bokan di Atene (ucciso nella capitale della Grecia nel 2000). A fare da tramite [tra il gruppo balcanico] e gli italiani era stato un certo Carlo Bozzola, che all’inizio di ottobre del 2007 si era recato in Montenegro, suggerendo a Mićunović [il riferimento è a Brano Mićunović, uno dei più potenti uomini d’affari montenegrini, recentemente scomparso] di scrivere una lettera – che [Bozzola] avrebbe personalmente consegnato e spiegato alle autorità inquirenti italiane – riguardo al procedimento penale contro Mićunović davanti alla Corte di cassazione di Bari”, scrive il portale Borba citando un rapporto dei servizi segreti montenegrini.

“Sì, [Giuseppe Scelsi] è un mio amico. Come siamo diventati buoni amici, è un’altra storia, che però non c’entra nulla con il Montenegro”, afferma Bozzola.

Poi ricorda una conversazione intrattenuta con Scelsi nel corso della quale avrebbero raggiunto un accordo: il Montenegro poteva aiutare a catturare i criminali coinvolti nel contrabbando di sigarette, ma “i leader montenegrini” dovevano restare intoccabili.

“A chi si riferiva?”

“Beh, a Brano Mićunović e Aco”.

“Quale Aco? Aco Đukanović?”

“Sì, sì, Aco Đukanović”.

“E poi cos’è successo?”

“Scelsi mi ha chiesto se fossi disposto ad occuparmene e se uno dei suoi uomini potesse venire con me in Montenegro. Ho accettato, precisando che nel caso di una disputa tra Italia e Montenegro, loro ci avrebbero dato una mano”.

“E poi?”

“Ho raccontato a Brano di quanto concordato e lui mi ha detto: ‘Sei nostro fratello’”.

Bozzola poi spiega di essere tornato in Montenegro accompagnato da un collaboratore del procuratore Scelsi, sottolineando che “tutto è andato come concordato” e che da allora il Montenegro collabora con l’Interpol.

Una fonte indipendente – che ha richiesto l’anonimato – ha confermato che Bozzola conosce l’ex procuratore Scelsi.

La liberazione dei piloti

Il 31 agosto del 1995 l’Esercito della Republika Srpska abbatté un aereo francese dal quale saltarono fuori due piloti, i quali poi furono catturati.

“Appena venni a conoscenza della vicenda telefonai al generale Mladić per evitare che [i piloti] venissero uccisi […] servivano vivi per uno scambio di prigionieri. Mladić si attivò subito, salvando quei piloti”, racconta Bozzola, sostenendo di aver chiesto di occuparsi personalmente dello scambio.

Ottenuto il via libera di Mladić, Bozzola tornò a Trieste mettendosi in contatto con l’ambasciata francese.

“’Puoi salvarli?’, mi chiesero i francesi. Risposi di sì. Allora dissero: ‘Va bene, fallo’ – ricorda Bozzola – non posso però rivelarvi cosa chiedevo in cambio. Comunque non c’entrava nulla con la guerra, qualcosa di pacifico”.

Il generale francese Pierre Marie Gallois, che fece da intermediario tra Mladić e lo stato francese, descrive la vicenda in modo assai diverso. Secondo Gallois, Mladić voleva che i suoi soldati incontrassero e salutassero ufficialmente il generale francese, mentre loro due si sarebbero stretti la mano “dimenticando la triste disputa franco-serba”.

Fu però solo il 14 dicembre [del 1995], quando i firmatari dell’Accordo di Dayton si riunirono a Parigi, che - stando alle parole del generale Gallois – l’allora presidente francese Mitterrand pose un ultimatum a Mladić, inviando l’esercito francese a recuperare i piloti.

Bozzola sostiene di aver partecipato anche all’evacuazione di un pilota statunitense avvenuta l’8 giugno del 1995.

“L’americano cadde a Glina, lo venni a sapere da un medico. ‘Va bene, lo salveremo’, dissi. Poi chiamai Mladić chiedendogli di non toccare quel pilota e di lasciare che me ne occupassi io”, racconta Bozzola.

Come nel caso dei piloti francesi, andò a Trieste, chiamò i carabinieri, spiegando loro di cosa si trattava. Ben presto arrivarono dodici militari da Aviano. A quel punto Bozzola telefonò nuovamente a Mladić, il quale assicurò che avrebbe ritirato l’esercito dal luogo in cui si trovava il pilota.

“Che vengano pure a prenderlo”, disse Mladić. Così, secondo il racconto di Bozzola, il pilota fu salvato e “Clinton organizzò una festa ad Aviano”. Pur essendo stato invitato, Bozzola – come afferma lui stesso – non poté partecipare alla festa perché doveva tornare “sul campo di battaglia”.

“Fu merito mio se quel pilota venne salvato”, conclude Bozzola.

Il pilota statunitense Scott O’Grady ha raccontato che nel giugno del 1995, durante un attacco missilistico della NATO contro i serbo-bosniaci, il suo F-16 fu avvistato e abbattuto da un sistema missilistico mobile dell’esercito serbo.

O’Grady si lanciò dall’aereo con un paracadute e i serbi si misero a cercarlo freneticamente. Ad un certo punto – sostiene il pilota – un elicottero serbo gli si avvicinò talmente tanto che poteva vedere i volti dei soldati a bordo.

Alla fine O’Grady riuscì a inviare un segnale dal luogo in cui si trovava, nel territorio serbo, dopodiché quattro elicotteri vennero a prenderlo. Altri quaranta aerei della NATO raggiunsero la zona per fornire ulteriore sostegno.

Igalo

Nel 2018, Bozzola, insieme ad alcuni dei suoi partner d’affari, ha sottoscritto una lettera d’intenti riguardo alla privatizzazione dell’Istituto di Igalo.

“Avevo radunato alcuni ricchi uomini italiani, eravamo pronti ad investire circa 200 milioni di ero, però non mi hanno mai richiamato”, spiega Bozzola.

Una questione di umanità

“È chiaro che si tratta di un inganno con cui si vuole negare il genocidio di Srebrenica. Però è curioso che questa palese messinscena sia sostenuta da Milan Knežević, leader di un partito che fa parte della compagine governativa”, afferma Tea Gorjanc Prelević, direttrice dell’ong Azione per i diritti umani.

Stando alle sue parole, la procura montenegrina dovrebbe valutare le azioni di Knežević e Bozzola alla luce del divieto di negare il genocidio, un divieto previsto dal Codice penale. La negazione – spiega Gorjanc Prelević – è l’ultimo atto di un genocidio e il preannuncio di nuovi crimini.

Lo scopo di simili inganni è quello di proteggere i responsabili del genocidio, molti dei quali restano ancora impuniti. Come spiega Gorjanc Prelević, l’uccisione sistematica di oltre ottomila civili a Srebrenica fu un’operazione complessa anche dal punto di vista logistico. Il Tribunale dell’Aja, in diverse sentenze, basate su migliaia di prove, ha ricostruito la tecnologia di quel crimine, nello specifico la fornitura di armi e veicoli necessari per compiere le uccisioni, la sepoltura di cadaveri nelle fosse comuni e il successivo trasferimento delle ossa in altre fosse nel tentativo di nascondere il crimine. Molti di quelli che hanno partecipato al genocidio ancora sfuggono alla giustizia. Per questo – sottolinea Gorjanc Prelević – nella risoluzione dell’Onu su Srebrenica si parla della necessità della giustizia.

“Sono amareggiata per quanto sta accadendo nella sfera pubblica montenegrina. Spero però che le famiglie delle vittime siano consapevoli del fatto che, reagendo a questa ennesima negazione del genocidio, ben 110 organizzazioni non governative, tutte le forze dell’opposizione presenti in parlamento, un partito della maggioranza, due partiti extraparlamentari e oltre cinquecento cittadine e cittadini montenegrini hanno chiesto al governo di Podgorica non solo di appoggiare la risoluzione dell’Onu su Srebrenica, ma anche di sponsorizzarla insieme ad altri 38 paesi. Per noi riconoscere il genocidio e rispettare le vittime di Srebrenica è sostanzialmente una questione di umanità”, conclude Gorjanc Prelević.


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