Il checkpoint  lungo il corrodio di Lachin - foto di Elisa von Joeden-Forgey/ CC BY-SA 4.0

Il checkpoint  lungo il corrodio di Lachin - foto di Elisa von Joeden-Forgey/ CC BY-SA 4.0

Nonostante i recenti incontri diplomatici Azerbaijan e Armenia sono di nuovo in una situazione di stallo riguardo il corridoio di Lachin, autostrada di 5 km che collega l'Armenia al Nagorno Karabakh. Il blocco di questo corridoio da parte azera sta mettendo in difficoltà gli abitanti del Nagorno Karabakh

01/08/2023 -  Onnik James Krikorian Tbilisi

A distanza di sole due settimane dall’incontro, facilitato dall’UE, tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev, tenutosi lo scorso 15 luglio a Bruxelles, Yerevan e Baku si sono nuovamente ritrovate in una situazione di stallo sulla questione del corridoio di Lachin, un’autostrada di 5 chilometri che collega l’Armenia e l’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO) passando per il territorio azero.

Dal 12 dicembre dello scorso anno, la regione separatista del Nagorno Karabakh, abitata principalmente da armeni, è costretta a fare i conti con le azioni di Baku volte a bloccare o limitare il movimento lungo l’arteria strategica che attraversa l’area di Lachin, azioni da intendersi come parte integrante dei continui tentativi dell’Azerbaijan di ripristinare la sua integrità territoriale, ma anche di vederla riconosciuta sia da Yerevan che da Stepanakert, capitale de facto del Nagorno Karabakh. Se il primo ministro armeno si è detto disposto a riconoscere l’integrità territoriale dell’Azerbaijan, le autorità de facto del Karabakh continuano ad opporsi.

Un altro punto critico riguarda l’insistenza di Yerevan, Bruxelles, Washington, e ora anche di Mosca, affinché la comunità armena del Karabakh e le autorità di Baku avviino un dialogo diretto. Stepanakert continua a mostrarsi intransigente anche su questa questione, mentre alcune informazioni non confermate suggeriscono che lo scorso 30 luglio anche Baku ha rifiutato di partecipare ad un incontro pianificato in precedenza che, a quanto pare, si sarebbe dovuto tenere proprio oggi (1 agosto).

Di conseguenza, la creazione, imposta dall’Azerbaijan, di un checkpoint per controlli di frontiera e doganali all’inizio del corridoio di Lachin ha portato ad una grave carenza di beni alimentari, prodotti per l’igiene e carburanti che normalmente vengono importati in Nagorno Karabakh. Nel frattempo, i periodici blocchi del passaggio dei convogli di aiuti umanitari gestiti dal Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC) e dal contingente russo di mantenimento della pace hanno provocato una preoccupante mancanza di forniture mediche.

Se fino a metà giugno, in aggiunta ai prodotti coltivati in loco, in Karabakh arrivavano ancora le consegne, seppur limitate [di merci di vario tipo], ora – nonostante la scarsità, se non addirittura l’inesistenza, di informazioni indipendenti che rende difficile comprendere a fondo la situazione sul campo, e nonostante sui social continuino a girare immagini dei ristoranti di Stepanakert che lavorano senza alcuna restrizione (a parte il limite massimo di cinquanta persone che possono mangiare insieme) – gli avvertimenti su un’imminente catastrofe umanitaria appaiono credibili.

Anche i social media azeri hanno iniziato a diffondere video e immagini dei ristoranti di Stepanakert, tanto che è dovuto intervenire l’ombudsman per i diritti umani della regione lanciando un messaggio sui social con cui ha invitato gli armeni del Karabakh ad esimersi dal pubblicare le immagini delle loro uscite notturne. “I video pubblicati sui social network […] che non rispecchiano la terribile situazione […] vengono prontamente utilizzati dalla macchina della propaganda azera”, si legge nel messaggio, “per favore astenetevi dal condividere i video associati ad una vita di lusso”.

Pare infatti che [in Nagorno Karabakh] la maggior parte dei negozi e dei mercati sia scarsamente fornita, se non addirittura vuota. Ad aggravare la situazione è la carenza di carburante che rende quasi impossibile il trasporto di prodotti freschi dai villaggi verso i centri urbani. Inoltre, i panifici, pur non avendo ancora chiuso i battenti, ormai fanno fatica a rifornirsi di farina e poi anche a distribuire le pagnotte.

Gurgen Nersisyan, ministro di stato de facto del Nagorno Karabakh, ha promesso di impegnarsi nel contrastare l’aumento spropositato dei prezzi e il mercato nero che nel frattempo è inevitabilmente emerso. A suscitare sempre maggiore preoccupazione tra la popolazione del Karabakh vi è anche la possibilità che l’Azerbaijan cerchi di sostituire il corridoio di Lachin, come stabilito nella dichiarazione di cessate il fuoco trilaterale del novembre 2020, con una strada alternativa che attraversi il territorio sotto il pieno controllo azero.

Tali preoccupazioni sono ulteriormente aumentate dopo l’incontro tra Aliyev e Pashinyan tenutosi lo scorso 15 luglio a Bruxelles, dove il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha accolto con favore la dichiarazione di disponibilità dell’Azerbaijan a consentire la consegna di aiuti umanitari dalla città di Aghdam, precedentemente occupata dagli armeni. Simili osservazioni sono state espresse lo scorso 19 luglio da Toivo Klaar, rappresentante speciale dell’UE per il Caucaso meridionale, e poi dieci giorni dopo anche da Joseph Borrell, Alto rappresentante dell’UE per la politica estera.

I funzionari europei hanno però sottolineato che qualsiasi eventuale strada per il trasporto di aiuti umanitari dall’Azerbaijan verso il Karabakh passando per la città di Aghdam dovrebbe coesistere con il corridoio di Lachin, anziché sostituirlo. Il Karabakh invece vede qualsiasi utilizzo di un percorso alternativo come l’ennesimo tentativo di reintegrare la regione nel territorio azero. Stepanakert rimprovera a Pashinyan di aver espresso pubblicamente la disponibilità dell’Armenia a riconoscere l’integrità territoriale dell’Azerbaijan, compreso il Karabakh.

L'UE, gli Stati Uniti e la Russia hanno sollecitato Baku a permettere il ripristino della circolazione lungo il corridoio di Lachin. La stessa richiesta è stata lanciata anche durante alcune manifestazioni di protesta svoltesi a Stepanakert, a cui però hanno partecipato solo poche migliaia di persone. Anche le proteste organizzate quotidianamente nella capitale armena, e davanti all’ufficio delle Nazioni Unite, hanno visto una scarsa partecipazione.

I manifestanti hanno raccolto generi alimentari e altri beni, chiedendo alle Nazioni Unite di consegnarli alla popolazione del Karabakh. L’Onu non ha ancora risposto a questa richiesta, ed è poco probabile che lo faccia. Tuttavia, le proteste hanno spinto il governo armeno ad agire inviando un proprio convoglio di 19 camion con 360 tonnellate di aiuti umanitari verso quella parte del confine armeno-azero adiacente al checkpoint istituito da Baku all’inizio del corridoio di Lachin.

Lo scorso 27 luglio il convoglio è partito da Yerevan dopo i controlli effettuati dai diplomatici stranieri di stanza nella capitale armena. L’Azerbaijan ha subito definito il convoglio “un atto dimostrativo di sabotaggio”, facendo intendere che non lo lascerà passare [verso il Karabakh]. Al momento della stesura di questo articolo il convoglio è ancora fermo nel villaggio di Kornidzor e, a quanto pare, vi rimarrà per qualche tempo. La missione dell’UE in Armenia (EUMA) sta monitorando la situazione.

Sabato 29 luglio l’impasse sulla questione di Lachin sembrava destinata ad acuirsi ulteriormente quando, durante le evacuazioni mediche effettuate dall’ICRC attraverso il corridoio di Lachin, un cittadino del Karabakh di sessantotto anni è stato fermato dalle guardie di frontiera azere. Ritrovatosi tra i quindici pazienti che stavano per essere trasferiti da Stepanakert a Yerevan, Vagif Khachtryan è stato accusato da Baku di aver commesso crimini di guerra durante la prima guerra del Nagorno Karabakh degli anni Novanta.

Secondo Baku, l’uomo è stato trasferito in un ospedale dove l’ICRC lo ha visitato insieme ad un medico. L’incidente ha suscitato indignazione in Nagorno Karabakh, spingendo il primo ministro de facto Gurgen Nersisyan a convocare una protesta che ha visto decine di persone radunarsi davanti all’ufficio dell’ICRC a Stepanakert. “Vogliamo farvi capire che non siete capaci di garantire la sicurezza dei cittadini dell’Artsakh [Karabakh]”, ha dichiarato Nersisyan in una delle rare esternazioni critiche nei confronti dell’ICRC.

“Invitiamo tutti i decisori coinvolti a rispettare la nostra missione prettamente umanitaria”, ha affermato l’ICRC in un tweet pubblicato dopo l’ennesimo blocco delle evacuazioni e dei rimpatri sanitari. “[Chiediamo] ai decisori rilevanti di permettere all’ICRC di ripristinare le sue principali operazioni umanitarie nell’area”, si legge in un comunicato stampa diffuso dall’ICRC, che sottolinea anche di essersi trovato impossibilitato ad operare sia lungo il corridoio di Lachin sia attraverso la città di Aghdam.

“Per la popolazione [del Karabakh] i nostri convogli di aiuti umanitari sono un’ancora di salvezza […] Adesso che questi convogli sono bloccati, temiamo che la situazione possa ulteriormente precipitare. La nostra maggiore preoccupazione sono quelli che non possono prendersi cura di sé. Le persone malate e affette da patologie croniche sono particolarmente a rischio, come anche gli anziani, gli infermi e i bambini”, ha spiegato Ariane Bauer, direttrice regionale dell’ICRC per l’Eurasia.


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