Il 12 novembre un elicottero militare coinvolto in esercitazioni congiunte armeno-karabakhe è stato abbattuto da un missile nei cieli di Ağdam, in Nagorno Karabakh. A rischio il fragile cessate il fuoco nella regione
Era il 20 novembre 1991 quando un elicottero militare azero veniva abbattuto sui cieli del Nagorno Karabakh, nella provincia di Khojavend. A bordo si trovavano 22 persone, tre membri dell’equipaggio e un team di osservatori che transitavano da Agdam a Khojavend con lo scopo di verificare lo stato dell’escalation del conflitto. Il team era composto prevalentemente da azeri - fra cui il Procuratore di Stato, il Segretario di Stato, il vice Primo Ministro, alcuni parlamentari e membri del governo della Regione Autonoma del Nagorno Karabakh – accompagnati da due osservatori militari russi e dal vice ministro degli Affari Interni kazako. L’area era stata poi interessata da combattimenti e in seguito occupata, per cui l’accertamento della dinamica degli eventi non era stato possibile, e l’allora commissione d’indagine sovietica aveva dovuto sospendere i lavori.
A 23 anni di distanza, lo stesso conflitto porta a un nuovo abbattimento. E come allora non ci sono i più essenziali requisiti per condurre un'indagine sull’accaduto.
I fatti
Il 12 novembre 2014, due elicotteri Mi-24 stavano sorvolando i cieli della provincia di Ağdam quando uno dei due è stato abbattuto da un colpo sparato dalle posizioni azere. I due elicotteri erano coinvolti nelle esercitazioni militari congiunte armeno-karabakhe, le più imponenti dall’inizio del cessate il fuoco, nel 1994. Stando alle dichiarazioni ufficiali del ministero della Difesa dell’Azerbaijan l’elicottero sarebbe stato abbattuto tramite un missile spalleggiabile anti-aereo di media distanza di fabbricazione russa, l’Igla.
I 3 membri dell’equipaggio sono stati dati per morti da subito. La questione del recupero dei corpi non è stata concordata e anzi, la zona dell’abbattimento è stata interessata nei giorni successivi da intensi combattimenti. Nemmeno la mediazione della Croce Rossa per facilitare il recupero delle salme è valsa a sbloccare la situazione. Solo a distanza di più di una settimana, la notte del 20 novembre, i corpi e parti dell’elicottero sarebbero stati recuperati tramite un blitz delle forze karabakhe mossesi da Agdam. Durante l’operazione un nuovo scambio a fuoco sarebbe costato la vita a due soldati azeri, secondo fonti armene. Ma quelle azere negano che l’operazione sia mai avvenuta e sostengono che i corpi sepolti lunedì 24 novembre non sarebbero quelli dei membri dell'equipaggio.
In disaccordo su tutto
L’abbattimento del Mi-24, l’incidente più grave dal punto di vista militare da quando è stato firmato il cessate il fuoco, dimostra non solo la fragilità del cessate il fuoco stesso, ormai sistematicamente e pressoché quotidianamente violato, e il rischio di un'escalation degli eventi ma anche che, qualora questo scenario prendesse forma, trovare un margine di negoziazione per invertire la rotta sarebbe pressoché impossibile. Le parti coinvolte non solo non sono in grado di accordarsi su come accertare congiuntamente la dinamica degli eventi, ma i termini che utilizzano per descrivere quanto accaduto tradiscono letture diametralmente opposte e incompatibili.
Innanzitutto, a chi apparteneva e chi c’era sull’elicottero. Secondo le fonti del Nagorno Karabakh, l’elicottero apparteneva al loro esercito e a bordo c’erano tre loro soldati, versione sostenuta anche dalle autorità armene. Gli azeri definiscono invece armeno tanto l’elicottero quanto l’equipaggio, e documentano questa tesi in base alle loro conoscenze sul contingente armeno schierato nell’area.
Alla base ci sono due diverse letture sul nodo irrisolto del Karabakh: secessione dei karabakhi, secondo gli armeni e le attuali autorità del Nagorno Karabakh; tentativo di espansione e annessione armena secondo gli azeri. Un conflitto intra-statale risoltosi con una dichiarazione d’indipendenza, secondo i primi; un conflitto inter-statale congelatosi con un’occupazione secondo i secondi, che quindi si ritengono in guerra non con il non-riconosciuto Karabakh ma con la vicina Armenia.
In secondo luogo, il motivo dell’abbattimento. Secondo Yerevan e Stepanakert è stato un atto di aggressione verso un mezzo militare in addestramento e disarmato; secondo Baku è stato un atto di legittima difesa a fronte di un attacco perpetrato dai due elicotteri in volo non autorizzato sul territorio azero. Il filmato reso pubblico che mostra le trincee azere da cui è partito il colpo che ha abbattuto l’elicottero è l’unico documento open-source disponibile allo stato attuale in cui viene ripreso quanto accaduto, mentre ricostruzioni fotografiche o foto dal satellite di ambo le parti vengono pubblicate con lo scopo di confermare l’una o l’altra teoria.
Terzo: la definizione dell’area in cui l’aereo è stato abbattuto. Subito rimbeccati i co-presidenti del Gruppo di Minsk che avrebbero parlato di “zona neutrale”, riferendosi all’area di abbattimento. Il comunicato sarebbe stato corretto in “no man’s land”, dopo le accese critiche da parte di Baku che non vede aree neutrali, ma solo aree azere sotto il legittimo controllo dell’autorità centrale vs aree sotto occupazione armena. Il portavoce del presidente de facto del Nagorno Karabakh, invece, sostiene che i due elicotteri fossero all’interno del perimetro territoriale dell’entità e che nessun regime di no-fly zone vi sia mai stato applicato, indipendentemente dalla posizione di Baku in merito.
Le reazioni
Promettono vendetta gli armeni , tanto quelli del Karabakh che quelli di Yerevan, che parlano di una risposta particolarmente dura. Il Presidente Serzh Sargsyan, nativo del Karabakh, si è già recato nell’entità e ha fatto visita all’esercito al fronte. Alla minaccia di escalation risponde Baku, impegnandosi a organizzare le più grandi esercitazioni militari mai fatte, con lo schieramento di 5.000 uomini, 40 navi, 58 sistemi missilistici e di artiglieria, 50 sistemi antiaerei e una ventina fra aerei ed elicotteri.
L’escalation entra anche fra i banchi del parlamento armeno, che il 20 novembre ha votato all'unanimità una proposta di legge a sostegno della comunità di confine che prevede nei prossimi tre anni un regime fiscale agevolato e il rafforzamento della sicurezza per le comunità esposte alle aree di scontro. Lo Stato si farebbe anche carico di fornire una casa alternativa e gratuita per coloro che dovessero perderla per motivi bellici.
Dall’Unione Europea alla Nato, dall’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva agli Stati Uniti e alla Russia, l’intera comunità internazionale esprime preoccupazione per quanto sta accadendo ed esorta le parti ad attenersi agli impegni assunti e a fare buon uso del servizio diplomatico del Gruppo di Minsk, ormai storico negoziatore fra le parti.
Particolarmente cupo e inquietante il quadro disegnato dal Segretario del Trattato di Sicurezza Collettiva, Nikolaj Bordjuzha , che estende la lettura critica sulla sicurezza dall’area del conflitto all’intero Caucaso del Sud, denunciando il riacutizzarsi della crisi.
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