Contaminazione delle acque, eventi sismici e inquinamento atmosferico. Le trivellazioni della Chevron, che dovevano aprire la strada all'indipendenza energetica, rischiano di trasformarsi in un boomerang contro l’ambiente. E, come se non bastasse, la disinformazione scientifica non aiuta
Pungești si trova nell'angolo nord-occidentale della Romania. È un comune che conta poco meno di 3.500 abitanti ed è formato da 9 minuscoli villaggi nei quali vivono molti contadini.
Dal 2012 questa piccola area agricola è la protagonista di una rivolta. Manifestazioni in piazza, petizioni, blocco dei cantieri si susseguono in segno di protesta contro il fracking, o fratturazione idraulica. Si tratta di un metodo di estrazione del gas naturale, definito "non convenzionale", chiamato così poiché situato tra strati di roccia argillosa che, essendo impermeabile, ne rende difficile l'estrazione.
Vietata in alcuni Paesi europei come la Francia e la Bulgaria, negli USA questa tecnica è ampiamente diffusa. Ed è proprio un'azienda statunitense - la Chevron - che, forte dei contratti firmati con il governo di Bucarest, vuole dare il via a perforazioni nel sottosuolo romeno, che secondo le stime dell’agenzia statistica energetica statunitense EIA (Energy Information Administration) è uno tra i paesi europei con più giacimenti di gas, subito dopo la Polonia e la Francia. Un'ottima occasione, secondo gli investitori, per garantire al Paese l'indipendenza energetica, visto che la Romania attualmente il gas lo importa e più del 90% proviene dalla Russia, principale produttore. Ma la decisione non è piaciuta ai romeni che, con l'appoggio di numerose associazioni ambientaliste, tra cui la Greenpeace, scendono in piazza per protestare contro gli effetti collaterali, che si annunciano possibilmente devastanti per l’ambiente.
Secondo un ultimo rapporto dell'UE, la Romania è tra i paesi europei maggiormente contrari alla fratturazione idraulica. L'ultima protesta militante risale a qualche settimana fa proprio a Pungești, dove un gruppo di attivisti della Greenpeace ha protestato contro il colosso energetico statunitense che, tra l'altro, secondo una pubblicazione scientifica apparsa sulla rivista Climatic Change, è in assoluto l'azienda che dal 1854 ha rilasciato più CO2 in atmosfera che, ricordiamolo, è la causa primaria del cambiamento climatico. Ma nonostante ciò la Chevron, dal dicembre dell'anno scorso, ha iniziato in Romania le sue opere di monitoraggio con lo scopo di individuare giacimenti idonei alla perforazione.
Un gas che si paga con scosse sismiche e acque contaminate?
Negli ultimi anni numerosi studi scientifici hanno indagato quali potrebbero essere i danni provocati dal fracking. Ma in cosa consiste questa tecnica? Il fracking viene utilizzato per estrarre il gas da argille (shale gas), metano intrappolato tra strati di argilla, rocce impermeabili la cui estrazione con metodi convenzionali è praticamente impossibile. Per questo motivo la roccia, tra i cui anfratti si trova l'idrocarburo, dopo la trivellazione verticale, viene "fratturata" orizzontalmente più volte iniettando acqua (15 milioni di litri per frattura) creando una pressione enorme (da 10 a 100 volte più grande rispetto ai metodi convenzionali) che spacca la roccia in più zone, generando così dei microsismi in loco. Per evitare la chiusura delle molte crepe neo-formate, negli spazi vengono iniettati fluidi costituiti da materia diversa: sabbia, acqua e altri composti chimici.
Un rapporto del 2011 reso noto dall'Agenzia statunitense per la Protezione dell'Ambiente (US Environmental Protection Agency) ha analizzato la composizione delle soluzioni utilizzate durante il fracking, rilevando la presenza di addirittura 750 composti chimici, molti dei quali innocui ed essenziali nel processo perché assicurano la disinfezione dell'acqua. Ma alcuni (circa 29) sono, secondo il rapporto, potenziali agenti contaminanti e cancerogeni. Un problema che potrebbe verificarsi anche in Romania se non si procederà alla valutazione dell'impatto che l'estrazione di questo gas potrebbe avere su salute e ambiente, come quello che conduce l'EPA nelle aree statunitensi di fracking.
Una recente indagine condotta dagli esperti del Servizio Geologico Nazionale Britannico (British Geological Survey, BGS) e dall'Agenzia britannica per l'ambiente (Environment Agency, EA) ha confermato il rischio di contaminazione delle falde acquifere in prossimità degli strati rocciosi sottoposti a fracking. Questa è una consapevolezza importante poiché il gas nella maggior parte dei casi si trova nelle zone in cui c’è presenza di acqua e dunque il rischio di contaminazione idrica pare configurarsi come una costante. E nel caso dell'Inghilterra tutto il sud est è a rischio contaminazione.
Ma cosa succede se il shale gas entra in contatto con le falde acquifere? Se non gestita, l'acqua reflua contenente i composti chimici situati in profondità del terreno può risalire rischiando di contaminare l'acqua destinata all'uso domestico. Infatti, non è il fracking in sé a preoccupare gli scienziati, perché questo avviene a grandi profondità (2000-4000 metri), quanto piuttosto i fluidi o il gas che fuoriesce attraverso un involucro difettoso nelle falde acquifere superficiali. Sebbene il metano non sia tossico, il gas può assorbire metalli e minerali, in particolare nei vecchi pozzi d'acqua.
Ma i danni provocati dal fracking non riguardano solo le acque: potrebbero esserci anche conseguenze di carattere sismico. Infatti, uno studio appena pubblicato su Science ha trovato una correlazione tra i continui terremoti in aumento con la fratturazione idraulica. Si tratta di scosse di magnitudo di secondo grado (o di grado inferiore) che sono avvenuti nello stato dell'Oklahoma dal 2008 a oggi (2.500 solo negli ultimi 5 anni, più di cento solo dal maggio scorso) dove ogni mese nel terreno vengono pompati 477.000 metri cubi di acqua. Infatti, i microsismi – che difficilmente possono essere percepiti – vengono regolarmente prodotti durante il fracking. Secondo la principale autrice dello studio, la dottoressa Katie Keranen della Cornell University, "la zona di maggiore pressione in prossimità dei pozzi di estrazione si espande continuamente, aumentando così la probabilità di incontrare una grossa faglia e di conseguenza il rischio di innescare un terremoto di magnitudo superiore".
In Romania manca ancora uno studio ufficiale
Nonostante la protesta e i tanti punti interrogativi, fino a questo momento manca una precisa risposta da parte delle autorità scientifiche romene. Nel frattempo, il 19 giugno scorso, tre geologi - Radu Nicolescu, Adriana Ion e Mircea Ticleanu - hanno presentato un loro studio dal titolo "Estrazione dello shale gas tramite fracking - un metodo con possibili conseguenze catastrofiche a medio e a lungo termine". La ricerca - nonostante sostenga fatti, segnali e rischi che effettivamente sono stati provati in altre realtà - non ha avuto alcuna conferma scientifica. Questa incertezza è stata amplificata ulteriormente dal fatto che lo studio è stato presentato come se fosse stato commissionato dal ministero dell'Ambiente e i media locali lo hanno diffuso proponendolo erroneamente quale documento ufficiale dell'Istituto geologico della Romania, IGR (Mircea Ticleanu, uno degli autori dello studio contestato, è stato in effetti direttore dell'Istituto geologico romeno).
In realtà l’Istituto geologico romeno non ne sapeva nulla, tanto che la reazione polemica degli scienziati dell'IGR non è mancata. Tra questi il ricercatore Gavril Săbău che in un suo commento ha chiesto un intervento da parte dell'Istituto geologico stesso “al fine di chiarire la questione, per eliminare questa ambiguità dannosa per tutte le parti coinvolte”. Sulla stessa falsa riga anche la durissima reazione di Constantin Crânganu, professore di geofisica e geologia del petrolio presso il Brooklyn College della City University of New York, che da oltre vent'anni esegue ricerche nel campo della fratturazione idraulica in Oklahoma, New York e Pennsylvania e ha contribuito alla pubblicazione di studi approfonditi e rilevanti in questo campo. Crânganu ha inviato una lettera al direttore generale dell'Istituto geologico della Romania Marcel Mărunțiu chiedendogli di “intervenire immediatamente e mettere in chiaro, tramite argomenti scientifici, quale sia la posizione dell'Istituto geologico della Romania”.
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