Al primo turno si impone il presidente uscente Klaus Iohannis. Ma dal voto emergono dati interessanti: su tutti la tenuta dei Socialdemocratici
E’ andata come doveva andare, ma non completamente. Il vincitore del primo turno delle presidenziali romene è infatti Klaus Iohannis, esponente del partito nazional-liberale (PNL) come tutti i sondaggi avevano previsto. Tuttavia, il presidente uscente si è fermato al 36,65%, sotto la soglia minima del 40% che molti dei suoi sostenitori ritenevano garantita.
A sorprendere ancor di più è stato il 23,79% di Viorica Dăncilă, candidata del partito social-democratico (PSD), che ha nettamente distanziato il terzo classificato, Dan Barna, del partito Unione per la Salvezza della Romania (USR), fermatosi al 13,99%.
Sarà quindi l’ex premier a sfidare Iohannis al ballottaggio del prossimo 24 novembre; una sfida con ogni probabilità senza storia, dal momento che verso Iohannis convergeranno anche i voti di Barna e di tutti gli oppositori del PSD. I risultati vanno analizzati però squarciando la superficie visibile; è vero che se si mettono insieme i voti di Iohannis, Barna e di altri candidati minori, la posizione “pro-europea” e filo-occidentale risulta chiaramente maggioritaria. Vi è tuttavia poco da gioire: l’affluenza si è fermata al 47,66%, la più bassa nella storia delle elezioni presidenziali e, soprattutto, il PSD ha dimostrato di essere ancora vivo, raggiungendo un risultato degno di nota.
E’ proprio sul risultato ottenuto dai social-democratici che gli analisti dovrebbero riflettere. Il PSD, da trent’anni rappresentante delle istanze più conservatrici del paese, viene da un anno terribile; il crollo di consensi alle elezioni europee e l’arresto di Liviu Dragnea, condannato a tre anni e sei mesi di carcere per abuso d’ufficio, hanno gettato il partito più forte e strutturato del paese nel caos. Manca una leadership forte, e nessuno è in grado di proporre una visione di lungo periodo. Questo ha permesso ad un personaggio mediocre come Viorica Dăncilă di avocare a sé la candidatura alle presidenziali e di guadagnare la guida del partito. Dăncilă, giunta sullo scranno da primo ministro in virtù della sua vicinanza a Dragnea, nel corso degli anni ha accumulato figuracce su figuracce, spaziando dagli strafalcioni grammaticali a marchiani errori di protocollo in ambito internazionale. E’ un candidato d’emergenza, non certo una personalità su cui fondare un progetto politico. Il 23,79% da lei raggiunto è da leggersi quindi esclusivamente come un voto al PSD e alle sue posizioni: è il voto della fascia più povera e anziana, di chi non vuole abbandonarsi ad un futuro europeo e filo-occidentale, è il voto delle campagne rimaste indietro.
Anche in alcuni quartieri di Bucarest il consenso ottenuto dai social-democratici è tutt’altro che disprezzabile.
Vien da chiedersi, pertanto, cosa sarebbe stata questa elezione se al posto di Dăncilă ci fosse stato un candidato presentabile.
Iohannis ha festeggiato ieri affermando che il voto del 24 novembre spazzerà definitivamente via il PSD dalla scena politica. Il 24 novembre segnerà con ogni probabilità la fine politica di Viorica Dăncilă, ma di certo non quella del PSD che, come il voto di ieri ha dimostrato, può ancora contare su una macchina elettorale funzionante ed efficiente.
La Romania non è immune dal contagio populista che caratterizza molti vicini. Semplicemente, non ha ancora trovato il suo Viktor Orban, ossia un leader forte e carismatico in grado di offuscare il sentimento europeista. La battaglia contro il PSD non dovrà quindi fermarsi il 25 novembre, quando la molto probabile vittoria di Iohannis farà esultare Bruxelles e le altre capitali dell’ovest. Tra un anno si terranno le elezioni parlamentari e, come nel 2016, la Romania rischia di svegliarsi in uno scenario attualmente imprevedibile, ma molto pericoloso.
(Questo articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra OBCT e EastJournal )
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