Non esiste mai un solo mondo musicale ascrivibile al folclore. Neppure in Romania. Un approfondimento
Si fa in fretta a dire “musica folk rumena”. La verità è che non esiste un solo mondo musicale ascrivibile al folclore, ma molti sub-generi, spesso fra loro contrastanti e lontani dal punto di vista evolutivo. Gli stessi addetti ai lavori, perlopiù musicisti tradizionali, hanno le idee confuse e incappano in tesi diverse e contraddittorie. In Romania esiste la musica della Transilvania, quella lautareasca, l’etno, il crossover, idiomi che rimandano all’epopea sefardita e agli artisti rom. Anche la geografia riveste un ruolo importante nel definire la precisa genetica della musica folk della Romania. Perché sussistono considerevoli differenze fra le atmosfere evocate da zone come la Muntenia, a sud, la Moldavia, a nord, e le tante aree di confine che finiscono per intrecciarsi ai leitmotiv culturali e sociali serbi, ucraini e ungheresi. La confusione è dettata anche dal fatto che, in base alla regione di appartenenza, un canto o una danza possano possedere un nome diverso, pur avendo lo stesso substrato etnologico. Un esempio: “Romanseste” nella regione di Salaj, diventa “Invartita” in quella di Codru, (qui un assaggio ).
E non aiuta l’aggettivo “rumeno”. "A cosa si riferisce?", si domandano gli etnomusicologi: a un gruppo etnico? A una nazione? A un cotesto sociale balcanico geograficamente indefinito? Alla luce di ciò si può almeno tentare di evidenziare le principali etichette riferibili alla musica folk rumena, partendo dalla “muzica populara”. Il riferimento è alla musica popolare urbana che deriva da canzoni popolari rurali che venivano tramandate da oratori e musicisti erranti. Parafrasano la vita di tutti i giorni, con testi romantici che durante il dominio comunista virano verso tematiche patriottiche.
“Sono spesso canzoni che parlano dei tempi passati - si legge su muzica-populara.com, ghiotto sito dedicato al folclore musicale della Romania- con riferimenti ai sogni, agli ideali e alle relazioni sociopolitiche con i popoli invasori”. Alcuni titoli sono assai eloquenti: “La mia odiata gioventù”, “Il mio povero uomo”, “Ero orgoglioso di mia sorella”. Oggi la muzica populara è tenuta viva da ensemble di strumentisti molto validi, in certi casi provenienti dal conservatorio o dalle scuole di musica più rinomate. La classica band è composta da un basso, da una fisarmonica, da una chitarra, e non mancano quasi mai il violino o il clarinetto. Il canto è affidato a uomini e donne, che si esprimono nella lingua tradizionale, talvolta avvicendandosi e producendo particolari vibrati.
Fra gli epigoni più noti c’è Tudor Gheorghe, nato nel 1945 da una famiglia di contadini a Podari, nella contea di Dolj. Ha registrato molti dischi e proposto diversi concerti fra musica e poesia, nonostante l’ostracismo patito durante il dominio comunista (qui in una recente performance ). L’originale musica contadina rumena, al contrario, è praticamente scomparsa, se non riferendosi a qualche isolato villaggio del nord della Romania, sul confine con l’Ungheria e l’Ucraina.
La “muzica lautaerasca” è tipica della Muntenia, dell’Oltenia e della Moldavia. Protagonisti sono musicisti rumeni, ma anche turchi ed ebrei. Vengono chiamati lautari e un tempo lavoravano nelle ricche corti di principi e boiardi, ma anche nei monasteri. Nel diciannovesimo secolo si rendono indipendenti e continuano la loro attività prendendo parte a battesimi, matrimoni e funerali. Anche in questo caso è molto difficile considerare un solo “verbo” musicale. Da regione a regione, infatti, le modalità espressive cambiano. I musicisti non conoscono le note e si muovono a orecchio. La sua eterogeneità dipende dalla capacità che hanno avuto questi musicisti di mischiarsi a numerosi contesti sociali, diversi fra loro, e ognuno contrassegnato da parametri evolutivi specifici. Ecco perché nella canzone rom emergono tracce di musica contadina, di corte, canti di chiesa e musica colta dell’Europa occidentale. Grande importanza hanno nelle celebrazioni dei matrimoni. Che possono anche durare tre giorni. La musica è imprescindibile e per ogni momento comunitario esiste un motivo adatto. Quando, per esempio, la sposa indossa per la prima volta l’abito nuziale, i lautari propongono un canto specifico, il “Cintecul miresei”; in seguito propongono una danza, la “Hora miserei”. E poi può succedere di tutto, comprese danze che parafrasano l’occidente e poco hanno a che vedere con la cultura autoctona. I lautari operano con stili diversi in varie regioni, dalla Transilvania alla Terra di Oas. Fra i gruppi più famosi, portavoce di questo genere, ci sono i Taraf de Haidouks . Ma se ne incontrano anche di meno formali, spesso in ristoranti e bettole di ogni genere. Qui l’esempio di uno show tenutosi a Poiana Brasov nel 2015.
Altri fenomeni musicali spesso ricondotti al folk sono la “muzica etno” e il “café-concerto”. Nel primo caso ci si riferisce a canzoni rumene tradizionali rivisitate in chiave moderna. Sono in pratica brani folk arrangiati con suoni elettronici e dance. Il "manele", nel dettaglio, riguarda un paradigma musicale che, seppur con altri nomi, ha contagiato molti altri paesi dell’est, dall’Albania alla Turchia. Per molti musicologi si tratta di una forma di “sottocultura”, contaminata da testi molto banali e a volte pseudo pornografici. Costi Ionita è uno dei cantanti di "manele" più noti. Nato a Costanza nel 1978, debutta nei Valahia, una boyband rumena fondata negli anni Novanta. “Habibi” (“I Need Your Love”) è il suo pezzo più celebre.
Nei caffè concerto, infine, il riferimento è soprattutto alla musica classica, ma non mancano parentesi esplicitamente folk. Si suonano per esempio brani di Grigoras Ionica Dinicu, violinista rumeno e compositore di etnia rom. “Ciocarlia” è una melodia rom composta dal nonno di Grigoras, Anghelus Dinicu, parafrasando i pentagrammi classici della muzica lautareasca. Il brano è stato presentato per la prima volta nel 1889 in Francia, in occasione dell’inaugurazione della Tour Eiffel.
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