Dopo anni di veti e complessi negoziati, Romania e Bulgaria verranno finalmente incluse nello spazio Schengen a partire dal prossimo marzo. Un ingresso però soltanto parziale, visto che per ora riguarda le frontiere aeree e marittime, ma non quelle terrestri
La notizia è prima trapelata da fonti diplomatiche per essere poi confermata ufficialmente sabato 30 dicembre dalla Commissione europea. Dopo anni di lunghi e faticosi negoziati, grazie ad un voto unanime del Consiglio UE la Romania e la Bulgaria saranno finalmente parte dello spazio di circolazione libera di Schengen a partire da fine marzo 2024.
In realtà si tratta di un’inclusione per ora solo parziale e che riguarda esclusivamente le frontiere aeree e marittime: per le frontiere terrestri bisognerà attendere ancora, e non esistono al momento date precise su quando i due paesi saranno membri Schengen a pieno titolo.
Nonostante l’apertura ancora incompleta, arrivata dopo dodici anni di lavorio delle diplomazie di entrambi i paesi, i governi di Bucarest e Sofia hanno deciso di presentare ai propri cittadini il compromesso come una sostanziale e importante vittoria, un primo passo a cui - si spera - dovrebbe seguire a breve la piena apertura dei confini.
“Dopo anni di fallimenti e umiliazioni, il mio governo ha dato vita ad un processo che oggi è irreversibile”, ha dichiarato a caldo il premier romeno Marcel Ciolacu. “L’anno prossimo chiuderemo definitivamente questo capitolo, eliminando i controlli anche sulle frontiere terrestri”.
“Non esiste un compromesso di successo in cui entrambe le parti non restino almeno parzialmente insoddisfatte”, gli ha fatto eco l’ex commissaria europea e ora vice-premier bulgara Maria Gabriel. “Con questa decisione, la Bulgaria diventa membro a pieno diritto di Schengen. Lavoreremo ancora sui confini terrestri nel 2024”.
Parole di soddisfazione sono arrivate anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha parlato di “momento storico” e “giorno di grande orgoglio per i cittadini di Romania e Bulgaria”, concludendo che oggi “l’area Schengen diventa ancora più forte a beneficio di tutti i cittadini europei”.
Nel comunicato ufficiale pubblicato dopo la decisione del Consiglio UE, la Commissione ha ricordato che Bucarest e Sofia avevano soddisfatto i criteri tecnici ed erano pronte ad entrare nell’area di libera circolazione già a partire dal 2011, ma l’inclusione di Bulgaria e Romania si è rivelata a lungo impossibile per l’ostinata opposizione di alcuni membri UE, soprattutto Paesi Bassi e Austria.
La situazione si era ingarbugliata ancora di più nelle scorse settimane, quando il governo ungherese ha minacciato di esercitare il proprio veto sull’opzione Schengen della Bulgaria in ritorsione alla decisione di Sofia di introdurre una tassa aggiuntiva sul gas russo in transito nel paese, anche verso l’Ungheria. Budapest temeva di dover subire costi finali di utilizzo del gas più alti, e ha utilizzato il tema Schengen per far leva sul governo di Sofia. La minaccia è poi rientrata col repentino dietrofront dell'esecutivo bulgaro sulla nuova imposizione fiscale.
Il primo segnale di una possibile svolta è arrivato nell’ultima settimana di dicembre, quando il parlamento dei Paesi Bassi, uno degli stati membri tradizionalmente più scettici sull’ingresso di Romania e Bulgaria, ha votato la rimozione del veto che ha a lungo imposto sulla questione. Per i Paesi Bassi, la principale preoccupazione in questi anni si è concentrata sugli alti livelli di corruzione registrati nei due paesi balcanici, elemento che avrebbe messo a rischio sia l'apertura delle frontiere che lo scambio di informazioni sensibili all'interno dello spazio Schengen.
Con la luce verde olandese, l’ultimo ostacolo da superare restava l’ancora più caparbia opposizione dell’Austria, contrarietà che nelle settimane e nei mesi scorsi ha reso estremamente tesi i rapporti tra Vienna e Bucarest, ma anche quelli tra Vienna e Sofia, seppure con toni meno accesi.
Per l’Austria, la questione principale non riguarda però la corruzione, ma i fenomeni migratori e la gestione dei confini esterni dell’Unione europea, ritenuti non soddisfacenti e causa, almeno in parte, dell’alto numero di arrivi di migranti e rifugiati sul territorio austriaco.
Vienna si è alla fine convinta a sollevare almeno parzialmente il proprio veto proprio nella serata del 30 dicembre. Il sì del governo austriaco, però, ha un costo politico non indifferente per i nuovi ammessi nell’area Schengen
Da una parte, come ricordato, i controlli decadono per il momento per i confini aerei e marittimi, ma non per quelli, altrettanto se non più sensibili, via terra. Dall’altra la diplomazia austriaca ha imposto che, nel documento finale che esprime la decisione di ammissione del Consiglio UE, comparissero tre condizioni volute esplicitamente da Vienna.
Queste comprendono un ulteriore dispiegamento delle forze dell’agenzia europea della guardia di frontiera (FRONTEX) sia in Romania che soprattutto in Bulgaria, sia al confine con la Turchia che con la Serbia, così come un maggiore sostegno economico da parte della Commissione per la gestione e sorveglianza dei confini.
A questi, si aggiunge la richiesta che i due paesi si facciano carico di riaccogliere rifugiati e richiedenti asilo – provenienti soprattutto da Siria ed Afghanistan – transitati in Bulgaria e Romania prima di giungere in Austria, un impegno già previsto dalle clausole dell’accordo di Dublino, ma oggi in buona parte disatteso.
Per il settimanale bulgaro Kapital, la richiesta di rafforzare i controlli ai confini di terra, avrà un effetto paradossale proprio sulla circolazione tra i due nuovi membri Schengen, e “in realtà, il nuovo regime rischia di appesantire ancora di più le frontiere tra Bulgaria e Romania, già asfissiate dal passaggio di TIR e altri mezzi pesanti”.
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