Aleksej Navalny è il blogger anti-corruzione simbolo delle proteste anti-governative che da Mosca in queste settimane hanno catturato l’attenzione dei media internazionali. Denunciando le autorità e la corruzione, dedica critiche particolarmente dure al Caucaso del nord, a cui bisognerebbe smettere “di dar da mangiare”. Critiche ragionate che stuzzicano e legittimano un nazionalismo anti-caucasico latente e diffuso in Russia
Negli ultimi mesi, a Mosca hanno avuto luogo manifestazioni che hanno raggiunto proporzioni mai viste in Russia negli oltre dieci anni trascorsi dall’ascesa al potere di Putin. In questo periodo varie facce dell’opposizione russa hanno cercato di coinvolgere un ampio numero di partecipanti. Per anni, raccogliere 2000 persone in una città di oltre dieci milioni di abitanti come Mosca era considerato un successo. Da dicembre 2011, ovvero da quando le elezioni politiche del 4
dicembre hanno consegnato al partito di governo Russia Unita un’ampia maggioranza parlamentare, in più occasioni sono stati invece in decine di migliaia i manifestanti a scendere in strada per richiedere “elezioni oneste”. L’attivismo di queste settimane è un segno evidente di un cambiamento straordinario che sta attraversando la società russa, caratterizzata in questi anni da una diffusa apatia politica che si traduceva in tacito assenso alle politiche di Putin. Le manifestazioni di questi giorni, al contrario, danno massima visibilità a quella parte della società che è stufa di sentirsi presa in giro e di assistere in televisione al quotidiano spettacolo di notizie preconfezionate in cui Putin e Medvedev si alternano nel ruolo di eroe principale e che non è più disposta ad accettare un governo guidato dal “partito dei farabutti e dei ladri” (“Partija Žulikov i Vorov”), il soprannome per Russia Unita comunemente usato dai manifestanti.
Molti sono naturalmente i volti e i punti di vista dei partecipanti, ma l’uomo simbolo delle proteste è sicuramente Aleksej Navalny, giovane avvocato e blogger (classe 1976) che ha organizzato via internet una campagna anti-corruzione che ha portato alla luce casi scandalosi che hanno coinvolto grandi aziende a partecipazione statale. Grazie all’ampio seguito di cui gode nella vivace blogosfera russa, è diventato uno dei punti di riferimento delle proteste di questi mesi promosse prevalentemente proprio via internet. Navalny è però fortemente criticato dall’ala liberale del movimento per le sue posizioni dure riguardanti in particolare una questione: il Caucaso russo.
“Non ho paura di dire che sono un nazionalista”
Intervenendo ieri sera ad un talk show su “Dožd ’” (“Pioggia”), un canale televisivo liberale che ha iniziato a trasmettere nell’aprile 2010 dove dibattono frequentemente partecipanti e organizzatori delle manifestazioni, Navalny ha dichiarato “non ho paura di dire che sono un nazionalista”, frase che in quella sede non poteva non dare inizio ad un accesa discussione. Come aveva fatto in passato, anche in quest’occasione, il blogger ha precisato che questo termine è spesso frainteso e che ritiene sia importante marginalizzare chi tra i nazionalisti sostiene soluzioni violente per dare spazio ad un nazionalismo che si basi su valori “europei” di democrazia e giustizia. Quando dice di voler imporre norme più severe sull’immigrazione, dice di farlo per tutelare meglio i diritti di chi vive e lavora in Russia (“non è giusto che i tagiki vivano negli scantinati di Mosca senza alcun diritto... voglio che abbiano gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini”). Quando sostiene la campagna “basta dar da mangiare al Caucaso”, dice che non lo fa per odio nei confronti dei caucasici, ma per sostenere il principio di uguaglianza tra chi paga le tasse (“non è giusto che alcune regioni della Russia finanzino indefinitivamente le repubbliche del Caucaso del nord”) o a difesa degli stessi abitanti della regione (“stiamo finanziando un'élite corrotta che va in giro in Porsche Cayenne e spara in aria, le ville lussuose di Kadyrov, mentre la povera gente del posto vive a fatica di agricoltura”). Quando sostiene l’idea di legalizzare le armi in Russia, ricorda che è un diritto sancito da numerosi Paesi occidentali. Ma non esita a difendere un video diffuso qualche anno fa in cui lui stesso, seppur in un contesto "ironico", prende in mano una pistola e spara ad una persona che rappresenta lo stereotipo del ribelle caucasico.
“Basta dar da mangiare al Caucaso”
Concentrandosi su questioni specifiche, Navalny riesce spesso a mettere in difficoltà i suoi critici e a convincere chi lo ascolta. Ben conscio dei punti su cui è frequentemente criticato, ha sempre la battuta pronta. Il botta e risposta di ieri sera sul canale Dožd’, nella parte riguardante il Caucaso, ricordava da vicino quello sentito qualche mese fa su radio Eco di Mosca , lo scorso 22 ottobre, giorno in cui si era tenuta una manifestazione intitolata proprio “Basta dar da mangiare al Caucaso” sostenuta dallo stesso Navalny. Così si era espresso allora il blogger: “Nei fatti, in Caucaso del nord esiste un regime legale diverso da quello esistente nel resto della Russia ed è stupido negarlo. Se per stabilire un regime legale sarà necessario stabilire uno ‘stato di guerra’ per vent’anni e limitare lo spostamento di persone e merci, facciamolo! [...] Noi non interveniamo contro i caucasici come tali, ma contro il finanziamento di élite criminali. [...] In Caucaso c'è molta più povertà che in qualsiasi altra repubblica della federazione. Ed è proprio la disproporzione tra un'élite ultraricca e la povertà diffusa che provoca violenza. Più soldi mandiamo lì, più ci sarà terrorismo, più ci sarà violenza e più di quei giovani esasperati verranno qui." Argomenti chiari e tanto convincenti che in un sondaggio realizzato durante la trasmissione l’89% degli ascoltatori che si sono espressi si sono dichiarati a favore del motto “Basta dar da mangiare al Caucaso”.
Certo è che al di là dei singoli casi Navalny non solo ha riabilitato e legittimizzato il concetto di "nazionalista", ma ha anche sostenuto e dato visibilità a persone che in tema di nazionalismo non si limitano alle frasi misurate del blogger anti-corruzione.
D’altra parte, non vi possono essere dubbi che Navalny (ma non solo) trovi supporto stuzzicando un nazionalismo anticaucasico latente in Russia che negli ultimi anni è esploso in varie occasioni, come quando nel dicembre del 2010 un’ondata di manifestazioni nazionaliste aveva attraversato il Paese. Ne è un esempio un concorso indetto recentemente per individuare i migliori poster da utilizzare nel corso della campagna anti-Putin negli ultimi giorni prima delle elezioni. Tra le centinaia di poster proposti, una commissione di noti blogger ne ha scelti 20. I primi due di questi, pubblicati nella pagina del concorso sul blog dello stesso Navalny lo scorso 27 febbraio avevano chiari riferimenti caucasici. Il primo diceva: “Il 99,47 della Cecenia ha votato per Putin. Vuoi forse andare in Cecenia?”. Il secondo invece: “Grazie di non partecipare alle elezioni. Firmato: i vostri caucasici.” Messaggi forse non immediati per l'osservatore esterno, ma ben chiari nel contesto moscovita in cui sono stati ideati, come esplicitano alcuni commentatori che descrivono così lo scopo di quei poster: “attraverso la diffidenza e l’odio nei confronti dei caucasici (che dentro di sé ha metà degli abitanti della Russia) esprimere l’odio nei confronti di Putin”. E ancora: “È solo un modo per dire: ‘Non amate i caucasici? Ma Putin è a favore dei caucasici!”
Per chi è abituato a pensare a Vladimir Putin come l’uomo che ha sostenuto una guerra senza quartiere in Cecenia e che tutt'oggi sostiene un regime di polizia che ricorre frequentemente a violenze e abusi, l’idea che il moscovita medio possa percepire Putin come un “amico dei caucasici” può suonare bizzarra. Ma tant’è... in Russia, tanti ce l’hanno con Putin proprio perché sarebbe troppo amico dei caucasici.
Un amico che certo in molti preferirebbero non avere.
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