Decisi a manifestare ad oltranza, gli studenti della Serbia hanno incassato anche l’appoggio del sindacato di polizia e di quello dell’esercito: “Contro la dittatura”, contro il nepotismo e la corruzione
“Non siamo più disposti a rimanere seduti, è arrivato il tempo di alzarci in piedi! È questo il significato della sedia”. Con un piglio serio e un tono battagliero, il 19enne Gabriel (nome di fantasia) spiega così perché ha deciso di manifestare portandosi una sedia sulle spalle. Attorno a lui, migliaia di studenti, giovani lavoratori e cittadini serbi di ogni età sono scesi in strada per protestare “contro la dittatura” di Aleksandar Vučić, il primo ministro serbo ed ora anche capo di Stato in pectore, in seguito alla vittoria alle presidenziali di domenica 2 aprile.
Per Gabriel, appena diplomato in una scuola superiore di Belgrado, si tratta del primo corteo anti-governativo e lo stesso può essere probabilmente detto per molti dei presenti. Da oltre una settimana, infatti, la Serbia è scossa da manifestazioni senza precedenti, organizzate da gruppi di studenti universitari di diverse città e culminate sabato 8 aprile in un enorme corteo a Belgrado, sostenuto anche dai sindacati della polizia e dell’esercito, coinvolgendo decine di migliaia di persone.
“Sono venuto da Novi Sad appositamente per questo. È la prima volta che ci sono delle manifestazioni così grandi ed è importante prendervi parte”, afferma Lazar, un giovane laureato in legge, ma al momento senza lavoro. “La situazione in Serbia oggi è molto grave, le persone sono manipolate grazie alla televisione e ai giornali controllati dal governo e pochissimi si informano su internet”, prosegue Lazar, che denuncia una deriva “che dura da 15, 20 anni, ovvero dai tempi di Milošević” e che conclude “avremmo dovuto protestare molto prima, ma è meglio tardi che mai”.
Lazar non è l’unico a fare il paragone tra Aleksandar Vučić, al potere dal 2012, e Slobodan Milošević, uomo forte di Belgrado durante tutti gli anni Novanta. Miloš e Nikola, due giovani belgradesi, fanno ad esempio notare che tra i due politici serbi esiste un nesso di continuità. “Vučić fu ministro ai tempi di Milošević ed oggi è un politico machiavellico, che sa adattarsi al clima del momento”, assicura Nikola, dottorando in musica. L’amico Miloš, artista nella capitale, approva con un cenno del capo.
Corruzione, nepotismo e bassi salari
Ma il controllo dei media (eccezion fatta per il quotidiano Danas , brandito dai manifestanti) e l’autoritarismo del premier-presidente non sono gli unici elementi ad aver convinto i dimostranti a scendere in piazza. La corruzione, il nepotismo e, più in generale, le cattive condizioni di vita sono menzionati a più riprese.
“Sono qui per il futuro dei miei figli”, dice un manifestante di mezza età, che preferisce non rivelare il proprio nome. “Lavoro come manager in un albergo, ma guadagno appena 20mila dinari al mese, poco più di 150 euro. Come posso occuparmi dei miei figli in questo modo?”, prosegue questo belgradese secondo il quale Aleksandar Vučić è nientemeno che “un dittatore”.
Rivendicazioni di tipo economico sono alla base anche della mobilitazione dei sindacati della polizia e dell’esercito, che sabato scorso hanno annunciato il loro sostegno agli studenti. Denunciando i bassi salari così come “il disastroso stato delle forze di sicurezza nel paese”, i rappresentanti dei due sindacati hanno lanciato anche un messaggio politico. “Il tempo in cui i politici usavano l’esercito e la polizia contro il proprio popolo è finito”, ha detto Veljko Mijailović, applauditissimo leader del sindacato di polizia.
L’opposizione al premier e potente presidente del Partito progressista serbo (Sns) è dunque articolata e ciò è dimostrato anche dagli slogan che vengono ripetuti per le vie di Belgrado. Si canta “Avanti popolo” e si grida “No pasaran!”, ma tra le bandiere dei sindacati e quelle di “Ne Da(vi)mo
Beograd” spunta anche un vessillo con l’aquila russa.
Quale democrazia?
Per il momento, però, l’opposizione a Vučić fa da collante tra queste diverse anime del malcontento serbo. “Anche se non abbiamo le stesse opinioni politiche o ideologiche, siamo tutti contrari a qualcosa di molto dannoso per il paese”, assicura Mima, studentessa di Marketing a Belgrado. Quel “qualcosa” è “la mancanza di democrazia” e “il fatto che le elezioni presidenziali sono state rubate”, assicura.
Al suo fianco, un altro studente conferma quest’ultimo punto, indicando che “800mila persone già decedute figurano tuttora nei registri elettorali”. “Immagina che l’elettore più vecchio registrato per queste elezioni aveva 125 anni! Si potrebbe dire che alle elezioni serbe i morti resuscitano dalle tombe!”, esclama il ragazzo sulla ventina.
Maltrattati dalla stampa filo-governativa che li apostrofa come “alcolizzati” e “spacciatori di droga”, questi giovanissimi manifestanti possono tuttavia contare sul sostegno di chi protestò in passato contro Milošević. È il caso di Mima, i cui genitori “hanno sostenuto le proteste del 1996–1997 e quella del 5 ottobre 2000” e “si sentono ora nostalgici e al tempo stesso speranzosi”.
Questo legame generazionale, che molti manifestanti vorrebbero veder realizzato in nome di una battaglia al regime di Milošević “in realtà mai concluso”, è testimoniato anche da una scena svoltasi sabato in via admiral Geprat, nel momento in cui il corteo composto da decine di migliaia di persone attraversava il centro di Belgrado. Da un finestra apertasi al primo piano di un palazzo, un’anziana signora si è affacciata tenendo tra le mani un ritratto di Zoran Đinđić, il primo ministro serbo e oppositore di Milošević assassinato nel 2003 davanti al parlamento di Belgrado. Mentre un applauso scrosciate bloccava per un attimo la marcia, gli studenti più vicini alla finestra si affrettavano a fotografare la signora.
L’immagine, rimbalzata sui social networks, è diventata uno dei simboli delle proteste “protiv diktature”, “contro la dittatura”, che - assicurano gli studenti - continueranno ad oltranza.
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