Vita sui confini, crisi economica, paura di una lenta assimilazione. La piccola minoranza bulgara in Serbia denuncia, attraverso una dichiarazione firmata da numerose Ong, le proprie difficoltà di oggi. E i problemi paradossalmente, sono aumetati con l'ingresso della Bulgaria nell'Unione Europea. Un reportage in due puntate
Foto di Tanya Mangalakova
Rappresentanti della minoranza bulgara della municipalità di Bosilegrad (Serbia sud-orientale) hanno prodotto a fine maggio una dichiarazione per rivendicare una serie di diritti che sentono non rispettati da Belgrado. La dichiarazione, sottoscritta da numerose Ong della regione, è stata poi inviata sia nella capitale serba che a Sofia e Bruxelles. Diverse le richieste al governo di Belgrado: riconoscimento del diritto di poter utilizzare la lingua bulgara nella scuola e nei rapporti con l'amministrazione pubblica, rispetto del patrimonio culturale della minoranza, promozione di sviluppo economico nell'area, inclusione nella municipalità di Bosilegrad di alcuni villaggi abitati da bulgari e oggi inclusi nella confinante municipalità di Surdulica. Richieste anche nei confronti di Sofia: aiuti nel processo di recupero dell'identità nazionale e supporto nel richiedere all'Unione Europea un costante monitoraggio della posizione della minoranza bulgara in Serbia.
Le "Regioni Occidentali"
Oggi i bulgari in Serbia sono appena 20mila, distribuiti nelle municipalità di Bosilegrad e Dimitrovgrad. Tra le due cittadine non esiste alcun collegamento diretto, e per andare dall'una all'altra bisogna passare per Sofia. Molti, all'interno della minoranza, sono irritati dal nome "Dimitrovgrad", che fa riferimento al leader comunista bulgaro Georgi Dimitrov, e preferiscono usare il vecchio nome "Tzaribrod". Il governo serbo, a sua volta, non gradisce l'espressione "Zapadni Pokrajnini" (Regioni Occidentali), usata per definire le regioni abitate dalla minoranza, passate dalla Bulgaria all'allora Regno di Serbi, Croati e Sloveni con la pace di Neuilly nel 1919, attraverso un punto di vista evidentemente "bulgarocentrico".
Le "Regioni Occidentali" sono tra le zone meno sviluppate in Serbia, e sopravvivono di agricoltura di sussistenza, con una scarsa presenza industriale, tanto che molti dei suoi abitanti sono costretti a cercare lavoro in Serbia centrale. Molti ritengono di essere marginalizzati in una vera e propria enclave senza prospettive, condannati a perdere la propria identità e ad essere assimilati.
Bosilegrad comunica direttamente con la Bulgaria, ed è ad appena 42 chilometri dalla città di Kjustendil. Il punto di frontiera di Oltomantzi, però, è deserto. Prima di gennaio 2007 i viaggi verso Kjustendil erano frequenti, ma dall'ingresso della Bulgaria nell'Ue per passare serve un visto che, anche se gratuito, costringe ogni volta chi lo richiede a recarsi due volte al consolato di Nis, distante 120 chilometri. Ogni sabato gran parte dei cittadini di Bosilegrad passava la frontiera, ma dall'inizio di quest'anno è stato addirittura abolito il servizio di autobus che effettuava il trasporto. Il regime dei visti, oltre ad essere un ostacolo allo spostamento di uomini e beni, rende più difficili e problematici anche i legami culturali della minoranza con la Bulgaria. Ad esempio, come racconta il giovane pope della chiesa "Sveta Bogoroditza" di Bosilegrad,quest'anno per la prima volta da lungo tempo i bambini non potranno visitare il monastero di Rila.
Senza reparto maternità!
Nell'ospedale di Bosilegrad non esiste il reparto maternità, e le donne della cittadina sono costrette a partorire a Surdulica. "Questo fa parte di una strategia intenzionale, così che i bambini bulgari possano essere registrati come serbi", ci dice convinta Venka Dimitrova, 54 anni, cittadina di Bosilegrad ardentemente coinvolta nella causa di salvaguardia dell'identità nazionale bulgara. Davanti alla sua casa sventolano le bandiere bulgara e europea, mentre su una parete campeggia il ritratto di Vasil Levski. In Serbia, anche alle neonate viene assegnato il suffisso familiare "-ov", contrariamente alla tradizione bulgara, che per le donne prevede "-ova". Anche questo, secondo Venka, fa parte della stessa strategia di assimilazione. "I nostri villaggi sono vuoti, le strade non sono asfaltate, le fabbriche sono chiuse e a lavorare sono in pochi", denuncia la nostra interlocutrice, che vive di commercio anche grazie al fatto che, avendo il passaporto bulgaro da 14 anni, può andare a Kjustendil senza preoccuparsi del visto. "Oggi in molti richiedono il passaporto bulgaro perchè gli permette di sopravvivere economicamente. Per averlo, però, bisogna aspettare due o tre anni.. Io credo che tutti coloro il cui cognome termina in "-ov" dovrebbero aver diritto a riceverlo".
Il centro culturale "Bosilegrad"
Per capire il processo di rinascita dello spirito nazionale bulgaro, bisogna recarsi nel centro culturale "Bosilegrad", l'Ong che ha promosso più di ogni altra la stesura della dichiarazione a Belgrado, Sofia e Bruxelles. Sulle pareti troneggiano ritratti di Levski, Rakovski, Han Asparuh e di molti altri personaggi storici bulgari, oltre a varie mappe della Bulgaria. Ivan Nikolov, presidente del centro, ci accoglie eccitato: " Potete vedere coi vostri occhi quanto povere siano le nostre infrastrutture...Purtroppo le istituzioni serbe non hanno reagito alle nostre richieste. Evidentemente c'è la volontà di marginalizzare le aspirazioni della nostra comunità".
Secondo Nikolov, la politica di assimilazione della minoranza bulgara, iniziata dall'annessione delle "Regioni Occidentali", continuerebbe anche dopo la disintegrazione della Jugoslavia. "Anche dopo il 2000 questo processo è portato avanti dagli stessi centri di potere all'interno dei servizi di sicurezza serbi. Nel parlamento di Belgrado, non c'è nemmeno un rappresentante eletto dal partito della minoranza, e quelli che fanno parte di partiti serbi difendono gli interessi della propria organizzazione politica, piuttosto che quelli della comunità bulgara".
Nikolov non esita a paragonare la situazione delle minoranze di "Regioni Occidentali", Sangiaccato e Vojvodina a quella della comunità albanese in Kosovo. "Questo atteggiamento provoca solo la radicalizzazione dei problemi. Da parte serba non c'è nessun approccio costruttivo nell'affrontare le questioni che hanno a che fare con le minoranze. Come possiamo vivere in queste condizioni materiali, privati anche del diritto di poter studiare nella propria madrelingua?"
Anche se formalmente la minoranza ha il diritto di educazione in lingua bulgara, nel 2006, per la prima volta, un gruppo di appena 16 bambini ha iniziato a usufruire di questa possibilità. Il sistema scolastico utilizza la lingua serba. e i bambini studiano il bulgaro come lingua straniera, per tre ore a settimana.
Dragoljub Ivanchov, presidente del Consiglio Generale dell'Unione Democratica dei Bulgari a Bosilegrad, si lamenta del fatto che tutti i doganieri di Oltomantzi siano serbi. "Vengono ogni giorno da Vladichin Han, Leskovac e Vranje. E' una specie di occupazione", ci dice. Nell'amministrazione locale ci sarebbero sì appartenenti alla minoranza, ma solo quelli che si dichiarano serbi. Tra le richieste fatte anche dall'Unione attraverso la dichiarazione di maggio, c'è la rimozione del visto per chi abita entro 30 chilometri dal confine con la Bulgaria.
"Seselj eroe serbo" contro "Questa non è Jugoslavia"
Seselj eroe serbo", si legge su un graffito in blu alle porte di Bosilegrad. Accanto altri graffiti in nero, dal tono diverso: "Qui non è Serbia!", "Questa non è Jugoslavia!". Sulla via del ritorno, attraversiamo un'area completamente deserta e montagnosa. Arriviamo a Bozica, pittoresco villaggio dove pecore e maiali pascolano nei prati lussureggianti intorno alle case. Bozica è uno dei villaggi abitati da bulgari che oggi fanno parte della municipalità di Surdulica, e di cui i firmatari della dichiarazione chiedono il ritorno a quella di Bosilegrad.
Nel vicino villaggio di Klisura, anche questo abitato dalla minoranza bulgara, una targa vicino alla fontana nel centro del paese è dedicata a "chi a combattuto contro il fascismo e alle vittime del terrore nel 1941-45". Nikolov commenta seccato: "Vogliono mantenere un'immagine negativa della Bulgaria", che a quel tempo era alleata dell'Asse.
Arriviamo alla frontiera di Strezimirovtzi. Ivan Nikolov ha due passaporti, serbo e bulgaro. Dal primo marzo, però, i doganieri serbi non accettano il passaporto bulgaro dei membri della comunità bulgara in Serbia, e Nikolov, per passare, è costretto a estrarre quello serbo. Oggi, in questi due passaporti, si può leggere l'ironia con cui la storia, talvolta, cambia le carte in tavola. Negli anni '80, agli occhi dei bulgari, il passaporto jugoslavo significava libertà, la possibilità di oltrepassare la cortina di ferro. Oggi, col passaporto bulgaro si viaggia in Europa. Con quello serbo invece, sono ben pochi i paesi raggiungibili senza visto.
Vai alla seconda parte del reportage
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