Brankica Stanković, una delle giornaliste più note e premiate della Serbia, autrice della trasmissione televisiva di inchiesta Insajder, rivela in questa intervista la difficoltà di dire la verità e le conseguenze di sei anni di vita sotto scorta
(Originariamente pubblicato da Cenzolovka il 19 ottobre 2015, titolo orginale: Brankica Stanković o ceni traganja za istinom: Celog ću života na ulici gledati da li je neko iza mene )
“Adesso inizieranno di nuovo ad attaccarmi“, ha detto alla fine della nostra conversazione Brankica Stanković, autrice di Insajder. Sarebbe strano sentire pronunciare quest’affermazione da qualcuno che ha ricevuto i più prestigiosi riconoscimenti giornalistici, sia in patria che all’estero, se non si trattasse di una giornalista che vive sotto scorta ormai da sei anni, circondata dal silenzio dei colleghi e dell’opinione pubblica.
Nemmeno la notizia della sua decisione di lasciare B92, dopo una permanenza di quasi due decenni, ha suscitato molta attenzione, apparendo sui media solo sotto forma di breve comunicato. È un vero paradosso perché a partire dal 2004, prima come autrice, e poi come redattrice di Insajder, questa giornalista ha portato alla luce, insieme ai suoi colleghi della redazione, alcuni dei più grandi scandali avvenuti in Serbia.
Decisa a proseguire sulla stessa strada, Brankica ci parla del suo nuovo progetto con il quale ha intenzione di riprendere il lavoro interrotto un’anno fa, quando è andata in onda l’ultima puntata di Insajder.
Per quale motivo hai deciso di lasciare B92?
Non c’è nessun motivo segreto. Ho lavorato presso B92 per 18 anni, prima alla radio, dove ho sperimentato un percorso graduale – dai sondaggi per strada e brevi servizi alla redazione del radiogiornale – e dal 2004 alla televisione, come autrice di Insajder. Nel frattempo Insajder è diventato molto più di una trasmissione e abbiamo deciso di estenderlo a livello regionale ed internazionale creando un nostro portale internet, una produzione indipendente, senza necessariamente interrompere la collaborazione con B92.
Saranno in pochi a crederci, soprattutto tenendo presente la soppressione della trasmissione Utisak nedelje nonché il fatto che l’ultima puntata di Insajder è andata in onda ormai un anno fa...
Possono pure non crederci, ma io sono stufa di dovermi sempre giustificare. È stata una mia decisione, presa insieme ai miei colleghi di Insajder. Se qualcuno volesse dare un’occhiata all’archivio della nostra trasmissione, vi troverebbe un communicato che abbiamo rilasciato una volta placatasi la bufera scatenata dalla sopressione di Utisak nedelje, precisando di non vedere il futuro di Insajder su un canale di intrattenimento. Poi abbiamo deciso di aspettare per vedere cosa sarebbe successo con l’altro canale di B92 (Info kanal), se veniva trasformato in un vero canale informativo o no.
Nessuno della direzione ci ha mai detto che non potevano proseguire il nostro lavoro né ci sono stati dei disaccordi riguardo ai temi affrontati da Insajder. Forse io non sono sufficientemente attenta alla mia immagine pubblica, forse ora dovrei apparire davanti alle telecamere, dichiarando che sono stata censurata e cacciata via, che è stato il premier Vučić a sopprimere la mia trasmissione, apparendo così una vittima. Solo che io non sono capace di dire una cosa che non è vera.
Come hanno reagito i proprietari di B92 alla tua decisione di andartene?
Non è successo da un giorno all’altro né è stata una scena banale in cui io semplicemente dico che voglio andarmene e loro replicano ”d’accordo”. Sono rimasta sorpresa dalla loro reazione perché hanno detto di tenere molto a Insajder e al fatto che rimanessimo a B92, offrendoci più spazio nel palinsesto.
Ad essere sincera, mi aspettavo che non vedessero l’ora di liberarsi di noi, invece non è andata così. Cercavano in ogni modo di venirci incontro, di farci restare, ma noi, d’altro canto, pensiamo che con questo cambiamento nulla andrà perso.
Visto che ormai ovunque nel mondo i programmi di giornalismo investigativo appartengono all’ambito della produzione indipendente, anche noi abbiamo deciso di realizzare Insajder da soli, mettendoci d’accordo con B92 che, se vuole, può continuare a trasmetterlo.
Eppure non è facile da comprendere. Avevi un posto di lavoro sicuro, per non parlare del fatto che vivi sotto scorta, e ciononostante hai deciso di rinunciare allo scudo protettivo di una rinomata emittente per addentrarti nell’avventura della produzione indipendente. Perché?
Ma noi la vediamo come una sfida. E poi non affronto quest’avventura da sola bensì con le persone con cui lavoro ormai da anni, vi è l’intero team di Insajder. Magari qualcuno lo troverà strano...
Infatti…
Va bene, ma probabilmente suonava strano anche il fatto che io avessi continuato a lavorare sotto scorta. La nostra intenzione è quella di creare un portale web, ma a parte questo il progetto nella sostanza rimane lo stesso. Dopo tutto quello che abbiamo fatto e tutti i premi che abbiamo vinto, abbiamo semplicemente voluto provare ad affrontare da soli la sfida di creare qualcosa che ormai da anni, almeno secondo noi, non esiste più in Serbia, ovvero un giornalismo indipendente e responsabile.
Pensi che sul nostro mercato mediatico esista lo spazio per questo tipo di giornalismo? Cosa distinguerà il vostro progetto da quelli già esistenti?
Ci occuperemo prevalentemente di argomenti che riguardano il nostro paese, ma anche di quello che sta succedendo nella regione. L’idea è quella di creare una rete internazionale di giornalisti. Quindi, non ci limiteremo al mercato serbo né dipenderemo dalla volontà di un’emittente di trasmettere o meno quello che abbiamo da offrire. Ed è proprio per questo che è importante avere una piattaforma online, un portale internet.
Siete in possesso di sufficienti risorse economiche per avviare un simile progetto? Come pensate di finanziarvi?
Innanzitutto devo dire che per realizzare un portale web e avviare un progetto di questo tipo non ci vogliono molti soldi. Al momento siamo in sei, ma saremo sicuramente di più. In ogni caso, dovremmo concorrere all’assegnazione di donazioni perché non riusciremo a coprire tutte le spese da soli, ma è una sfida che abbiamo deciso di ingaggiare.
Quando pensate di iniziare? I materiali che pubblicherete saranno consultabili gratuitamente o dietro un pagamento?
Non sarà richiesto nessun pagamento, benché, ovviamente, in una prospettiva futura possa esserci anche quella opzione. Non è reale aspettarsi che iniziamo prima del prossimo gennaio. L’idea è quella di creare qualcosa di importante, qualcosa che avrà un senso, un giornalismo responsabile, e ciò significa che non si può pubblicare niente senza prove, a prescindere dalla persona o dall’argomento in questione, facendo in modo che non venga commesso il benché minimo errore.
Se dovessi iniziare proprio adesso, in questo momento, ad indagare un certo tema, di che cosa si tratterebbe?
Tutto può diventare un tema. Non so nemmeno da dove cominceremo. Ci occuperemo anche di attualità, senza limitarci, come facevamo prima, a produrre nell’arco di un anno una serie in sei puntate dedicata ad un unico argomento. È un traguardo impegnativo, ma tenteremo di raggiungerlo. Se riusciamo, benissimo, se no, non praticheremo più questo mestiere.
Hai assistito a diversi cambiamenti della scena mediatica serba. Cosa ne pensi della fase in cui si trova attualmente?
Sette anni fa in un’intervista avevo detto che la situazione dei media serbi stava diventando peggiore rispetto ai tempi di Milošević, al ché tutti, a partire da Veran Matić, mi hanno chiesto come potevo dire una cosa del genere.
Penso che quella mia ipotesi si sia dimostrata vera.
Già allora mi dava fastidio il fatto che non si capiva più chi lavorava per chi. Dopo la caduta del regime di Milošsević cominciarono ad emergere una miriade di quotidiani e tabloid, tutti gestiti da un’unica cerchia di persone, e noi nel 2005 abbiamo dedicato una puntata di Insajder a questo argomento. È un problema che persiste tutt’oggi, tra l’altro anche per l’incapacità dei giornalisti di risvegliarsi e rendersi conto che il loro lavoro non consiste nell’essere strumenti politici né portavoce di nessuno, bensì nel riportare informazioni di interesse pubblico.
Quali le ragioni di questo stato di cose?
Tutto gira intorno al denaro, e anche se l’ingerenza politica resta forte, io sono tuttora convinta che sta al redattore decidere se lasciarsi o meno influenzare. Non sono mai stata chiamata da nessuno, ma forse i miei caporedattori sì.
Ritengo che chiunque sia al potere possa chiamare solo colui che glielo permette. Se vi chiama un politico o qualcun’altro, minacciando di ritirare la pubblicità, e voi vi piegate una volta, vi chiamerà di nuovo ogni qualvolta qualcosa gli dà fastidio.
Ma proprio questo accadeva all’interno di B92. Quando nel 2006 andava in onda Insajder dedicato allo scandalo dei soldi ciprioti ( soldi pubblici che durante gli anni Novanta vennero trasferiti nelle banche cipriote, di cui una grossa parte finì su conti privati, ndr), Mišković aveva ritirato tutte le sue pubblicità...
Mentre quella serie di Insajder andava in onda, noi non sapevamo nulla del fatto che Mišković aveva ritirato le sue pubblicità già dopo la prima puntata. Solo una volta conclusa la serie lo abbiamo saputo dal nostro caporedattore, il quale in questo modo ci ha protetti.
Come ti sei sentita quando hai saputo che veniva spenta Radio B92? Facevi parte del vecchio team degli anni novanta...
Ci sono praticamente cresciuta. Penso che avrebbe dovuto cambiare nome molto prima poiché ormai da tempo non era più quella di una volta.
Hai detto che temi su cui indagare ce ne sono molti, come mai allora vi è così poco giornalismo investigativo?
Insajder in effetti era l’unico programma di giornalismo investigativo presente sui nostri palinsesti, per cui veniva visto come una specie di anomalia. Anche qui è una questione di soldi. Il giornalismo d’inchiesta è costoso perché di solito un gruppo di giornalisti rimane per diversi mesi impegnato nell’indagare su un unico grande tema, senza contribuire al palinsesto giornaliero, continuando però a percepire un regolare stipendio.
È per questo che la migrazione del giornalismo investigativo nel mondo del web e della produzione indipendente rappresenta ormai una tendenza globale. Da noi ci sono più di 20 giornalisti investigativi che portano avanti le loro attività su portali web appositamente creati.
Tuttavia, i giornalisti che si occupano di argomenti seri non fanno mai tanto rumore come quelli che inventano le notizie, riportando qualsiasi cosa venga loro in mente e lasciandosi coinvolgere nel creare dei giornali che servono solo per distruggere qualcuno, dopodiché possono anche essere chiusi.
Se esistesse una forte associazione di categoria che riunisse professionisti impegnati in un giornalismo responsabile ed investigativo, i tabloid non sarebbero in grado di creare l’opinione pubblica occupandosi dei temi imposti dall’alto. Ma si resta in silenzio.
Perché?
Per paura, perché nessuno osa dire qualcosa che potrebbe costare uno di quei linciaggi mediatici che vengono intrapresi da tabloid come Informer.
I giornalisti stanno indietreggiando per paura, per non entrare in conflitto con nessuno, ma anche perché manca solidarietà professionale.
Magari anche per il fatto che l’impegno investigativo non riceve mai il sostegno pubblico che merita. Nemmeno Insajder, che ha portato alla luce molte cose, è riuscito a produrre quell’effetto sociale e politico che c'era da aspettarsi.
Su questo non sono d’accordo. Nella serie intitolata ”Abuso di potere”, ad esempio, abbiamo dimostrato come diversi esponenti del partito di maggioranza, all’epoca il Partito democratico (DS), e prima di esso il Partito democratico della Serbia (DSS), praticamente regalavano terreni in località esclusive a certi uomini d’affari, senza alcun tipo di gara d’appalto.
Nei giorni immediatamente successivi la prima puntata del nostro reportage, i politici in questione hanno cercato di smentire quanto rivelato, ma poi si sono apprestati a introdurre modifiche alla legge sulla pianificazione del territorio secondo cui tutto quello che si è ricevuto in “regalo” doveva essere pagato allo stato retroattivamente. Quindi, tutti quegli uomini d’affari che si erano illegittimamente impossessati di terreni pubblici si sono trovati costretti a versare un apposito contributo nelle casse dello stato. In questo modo il danno finanziario causato al bilancio statale è stato in parte riparato, e ciò può essere considerato un successo di Insajder.
Una delle critiche che vi venivano mosse, soprattutto riguardo a quelle puntate di Insajder a seguito delle quali scaturivano gli arresti, era quella di operare al servizio di una determinata opzione politica, o persino della polizia.
Ma è del tutto falso. Non occorre essere particolarmente esperti per capire, magari già da una semplice lettura dei quotidiani, quando uno scandalo è montato, dall’inizio alla fine, dalla polizia. Per quanto riguarda Insajder, nel sito di B92 è rimasto documentato tutto, basta dare un’occhiata all’archivio per accertarsi che non abbiamo preso parte ad alcun affaire la cui spettacolarizzazione era partita dalla polizia.
È vero che noi abbiamo diritto, in quanto giornalisti, ad accedere a certi documenti, ma è nostro dovere verificare quanto vi è scritto. Alcune rivelazioni non le abbiamo mai rese note proprio perché non eravamo sicuri della loro veridicità, non potevamo verificarle, anche se alla fine si sono dimostrate vere e altri media le hanno pubblicate.
Quanto agli arresti, essi avvenivano soprattutto a seguito di quelle serie di Insajder il cui tema finiva per destare una grande attenzione mediatica. Era un modo di guadagnarsi punti politici. È successo, ad esempio, nel caso della serie in cui ci siamo occupati della mafia del calcio. Le nostre rivelazioni hanno portato all’arresto di più persone, ma nel frattempo Džajić (l’ex presidente della Stella Rossa accusato di malversazioni nella compravendita di giocatori, ndr) ha ricevuto la grazia dal presidente della Repubblica, mentre Terzić (l’allora presidente della Federcalcio serba, anch’egli accusato di abuso d’ufficio, ndr), contro il quale è tuttora in corso un procedimento penale, è tornato, dopo anni di latitanza, a ricoprire incarichi dirigenziali nel mondo del calcio.
A prescindere da tutte le critiche, il tuo impegno giornalistico comporta un prezzo da pagare, ivi compresa la recente decisione della Corte superiore di Belgrado di annullare la sentenza di condanna di primo grado a carico degli ultras che ti hanno minacciata.
Non vedo l’ora che iniziamo con questo nuovo progetto, anche perché uno dei temi di cui ci occuperemo sarà sicuramente la magistratura. Quando mi hanno convocato, per l’ennesima volta, per rilasciare la stessa identica deposizione, costringendomi a stare nella stessa aula con tutti quegli hooligan che trascinavano per le tribune dello stadio di Partizan una creatura di plastica raffigurante me, ho detto che il sistema protegge i violenti.
E ciò che sta accadendo ora ne è la prova. Per quell’episodio di minaccia nei miei confronti è finito sotto processo un gruppo di ultras il cui leader, Miloš Radisavljević Kimi, era però riuscito a fuggire subito dopo l’accaduto. Io ho ormai perso il filo dell’intera vicenda giudiziaria perché davvero non si capisce più chi è ancora sotto processo e chi è invece stato assolto. Ma ciò che è paradossale è che il leader del gruppo è stato condannato in primo grado ad una pena di reclusione, mentre gli altri, accusati dello stesso reato, se la sono cavati con una sanzione condizionale, e questo solo perché si trattava di due processi separati portati avanti da giudici diversi. Ora, però, anche quelli che erano stati condannati con la condizionale sono stati completamente assolti.
È molto evidente come fino ad oggi, a due settimane da quest’ultima sentenza di assoluzione, non vi sia stata alcuna reazione dell’opinione pubblica né tanto meno dei media. Come lo spieghi?
Prima mi colpivano molto queste cose, ora non più. Là dove non c’è la forza di indagare fino in fondo su temi di forte interesse pubblico, lasciando che prevalga la tabloidizzazione dell’informazione, non esiste nemmeno la solidarietà tra giornalisti.
Quando un giornalista, non importa se si tratta di me o di qualcun’altro, finisce per subire quello che ho subito io, ciò è una reale minaccia per la nostra professione. Una società in cui un giornalista vive sotto scorta per sei anni non può considerarsi democratica.
Il libro che hai scritto su tutte le conseguenze che hai dovuto subire per via di Insajder sarebbe un giallo classico se fosse una finzione, ma si tratta di te e della tua storia. Sono passati due anni, il libro è esaurito, ma ciononstante non ha avuto quella risonanza pubblica che c’era da aspettarsi considerato il suo contenuto. Per quale motivo?
Non lo so. Scrivere era per me l’unico modo per affrontare quello che mi stava accadendo, non potevo più stare in silenzio, ma ora mi pento di averlo fatto. Non ci vedo alcun senso, a parte il fatto che il libro rimarrà come una testimonianza e magari un giorno qualcuno deciderà di indagare sui retroscena dell’intera vicenda, qualche futuro giornalista. Almeno lo spero.
Ho deciso di scrivere un libro perché pensavo che in tal modo sarebbe cessata l’agonia che provavo. Pensavo che una volta messo per iscritto tutto quello che mi stava succedendo, quello che mi dicevano di dover sottacere, citando documenti ufficiali, chi ha detto che cosa, nomi e cognomi di chi mi minacciava, lo stato sarebbe stato costretto a reagire, a prendere atto dell’esistenza di certe informazioni, ufficiali ed operative, sulle persone che mettevano in pericolo la mia incolumità, mostrando prontezza nell’arrestarle in modo che potessi finalmente liberarmi dalla scorta. Altrimenti, mi sarei aspettata che cercassero di smentire quanto avevo scritto.
Qualche mese fa, dopo l’annuncio della trasmissione Reporter che affrontava il tema dei consigli di amministrazione delle squadre di calcio, hai chiesto che la scorta accordatati venisse ritirata. Quale risposta ti è stata data?
Quella trasmissione è stata realizzata dai miei colleghi di Insajder, senza che io vi partecipassi, e il tema di cui si sono occupati era anche un’occasione per porre la domanda sul perché io sia ancora sotto scorta. Ne è seguita una vergognosa campagna mediatica, portata avanti per ben dieci giorni dal tabloid Informer e da TV Pink, durante la quale nessuno dalle istituzioni competenti per valutare la situazione concernente la tutela della mia incolumità ha ritenuto opportuno dichiarare pubblicamente se sono ancora minacciata o no. Solo in seguito si è fatto sentire il ministro dell’Interno, affermando che sono ancora minacciata e che devo rimanere sotto scorta.
Se ciò che egli ha detto si dimostrasse vero, sarebbe davvero uno scandalo. È tremendo il fatto che abbiano semplicemente lasciato che il linciaggio contro di me si protraesse per giorni, al punto che ricevevo messaggi di minacce rivolte a mio figlio.
Ho chiesto che mi venisse tolta la scorta perché ciò evidentemente era lo scopo dell’intera campagna. Per giorni ho tentato di parlare con qualcuno della polizia, ma nessuno mi rispondeva. Poi di colpo mi hanno fissato un appuntamento durante il quale mi hanno fatto sapere che verrà eseguita una nuova analisi della situazione, ma che, purtroppo, stando a quella esistente non possono togliermi la scorta.
Sicuramente anche tu hai sentito commenti secondo i quali il sostenere che la tua vita è in pericolo serve solo da pretesto per tenerti isolata e sotto controllo. Ti sembra logica questa ipotesi?
Inizialmente anch’io l’ho pensata così, anche se fin da subito mi è stato detto che il motivo per cui dovevo essere posta sotto scorta era proprio quella serie di Insajder in cui ci siamo occupati delle tifoserie. Le minacce che ricevevo in quel periodo erano davvero tremende, e mi dicevano che esisteva il pericolo che qualcuno ne approfittasse per vendicarsi contro di me, facendo apparire gli ultras di calcio come colpevoli.
Anch’io ho riflettuto sulla possibilità che tenermi sotto scorta non fosse altro che un modo per costringermi a non lavorare, ma se questa era la loro intenzione, allora non hanno conseguito nulla perché Insajder non ha mai smesso di andare in onda. Mi è difficile credere che qualcuno sia talmente pazzo da sprecare, per ben sei anni, soldi pubblici assicurandomi una scorta, mentre la mia trasmissione continua ad andare in onda. È del tutto illogico.
Tornando al tuo libro, nel quale hai descritto i retroscena del vivere sotto scorta, dal modo in cui venivano gestiti i processi a carico degli hooligan al fatto che ti hanno perseguitata persino all’estero, al punto che esisteva un fucile da cecchino riservato a te...
Tutto ciò è contenuto in documenti ufficiali.
Sono temi che, se lo stato manca di occuparsene seriamente, dovrebbero far riflettere l’opinione pubblica, e soprattutto i giornalisti. Come spieghi questo silenzio e disinteresse dei colleghi rispetto alla necessità di porre ulteriori domande sull’intera vicenda?
Evidentemente non hanno alcun interesse a farlo, ma se svolgessero per bene il proprio lavoro, il mio caso sì che sarebbe un tema di cui occuparsi. E questo non solo per il fatto che quello che è successo a me domani potrebbe succedere a chiunque di loro, ma anche perché dimostra tutta la debolezza del sistema. Se di fronte ad una situazione come questa in cui mi trovo io, i giornalisti ritengono che non vi sia più nulla su cui porre domande, cosa mi resta da fare? È vero sono apparsi alcuni testi sul mio caso, ma tutto si è fermato lì.
Come ti fa sentire questa situazione?
Disgustata, mi sento disgustata dal fatto che vivo in un paese in cui non esiste nemmeno la consapevolezza di quello che una persona sta subendo per il semplice fatto di aver svolto il proprio lavoro.
Ogni tanto sento dire: ”È la sua scelta". Ma non è stata una mia scelta! Non ho scelto io di non poter uscire di casa da sola. I politici che godono di una scorta hanno scelto così, per loro è una cosa normale. Ma io non sono una di quelle persone che si sentono a loro agio con una scorta alle spalle e non vedono l’ora di mostrarsi in giro così.
Ormai non esco più, lo sai tu stessa, ogni volta che mi chiamate non vengo perché non riesco a sopportare psicologicamente di entrare in un bar circondata da un mucchio di poliziotti, attirando lo sguardo di tutti i presenti. Non saprei come comportarmi in una situazione del genere, non è una cosa che mi viene naturale.
Se decidessero ora di toglierti la scorta, avresti paura? Riesci ad immaginarti di camminare da sola per strada?
Il prezzo più alto che sto pagando per il mio impegno professionale è la sensazione che probabilmente per tutta la vita ogni volta che esco di casa da sola continuerò a girarmi per vedere se qualcuno mi sta seguendo. Un paio di volte sono uscita senza scorta. Mi capitava di rimanere senza sigarette e mi sembrava assurdo dover chiamare la scorta perché mi accompagnasse a comprarle. L’ultima volta che sono uscita così mi giravo in continuazione per vedere se qualcuno mi stava seguendo. Quando sono tornata a casa, chiudendo a chiave la porta, ho pensato che non ero più una persona normale. Cancella queste ultime parole (sorridendo). Comunque, mi è diventato chiaro che il fatto di dover vivere sotto scorta aveva lasciato enormi conseguenze su di me.
E allora ti sei chiesta se i tuoi sforzi professionali e le conseguenze che ne hai pagato valevano la pena?
Il fatto che Insajder è diventato ciò che è diventato e che le persone che l’hanno realizzato con me mi stanno tuttora accanto, a dispetto di tutto, senza nemmeno sapere se domani avranno uno stipendio o no, è per me il più grande successo.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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