In riferimento all'economia di molti paesi balcanici si parla spesso di "transizione". Categoria concettuale sulla quale non tutti concordano. Un'inchiesta promossa in Serbia da alcuni sindacati descrive come i lavoratori vivono questa "transizione".
Nei giorni scorsi, a Nis, sono stati presentati i risultati di una ricerca promossa dall'Alleanza dei sindacati della Serbia. "Obiettivo della ricerca era quello di analizzare come i lavoratori si rapportassero con la "transizione" e soprattutto come ritenessero i sindacati possano agire per attenuare i costi sociali che questa transizione sta causando", ha chiarito ad una conferenza stampa Srecko Mihajlovic, coordinatore del gruppo di ricerca.
Dalle interviste ai lavoratori emerge uno spirito "negativo e pessimista" che caratterizza la loro visione del presente e del futuro: le parole più ricorrenti sono paura, preoccupazione, mancanza di speranza. E manca anche lo slancio per partecipare in modo energico a processi che possano portare ad un cambiamento di questa situazione.
La maggior parte degli intervistati ritiene che il periodo della vita nel quale ha vissuto meglio è stato quello della Jugoslavia socialista. Il momento peggiore invece gli anni del regime di Milosevic. Ma emergono altri dati interessanti: il 56% dei lavoratori intervistati non sa se fa parte o meno di un sindacato. Il 52% ha paura dell'accendersi del conflitto sociale se non inizierà un dialogo serio tra sindacati e governo. Raccolti dati anche sul livello salariale: il 5% degli intervistati ha dichiarato di guadagnare meno di 50 €, il 23% tra i 50 ed i 100 €, il 34% tra i 100 ed i 150 €, il 27% tra i 150 ed i 250 € ed infine l'11% ha dichiarato di guadagnare più di 250 € (Narodne Novine, 30.04.02).
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