Durante la presentazione del rapporto annuale sui processi per crimini di guerra

Durante la presentazione del rapporto annuale sui processi per crimini di guerra

Per la leadership serba, la recente adozione della Risoluzione dell'Assemblea generale ONU su Srebrenica non era necessaria, e il paese avrebbe già provveduto a processare i responsabili di crimini di guerra. Un'analisi attenta, però, mostra una realtà molto diversa

04/06/2024 -  Massimo Moratti Belgrado

Pochi giorni dopo l’adozione della Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su Srebrenica, la questione non sembra esser più d’attualità in Serbia. Il messaggio passato nel paese è che il presidente Vučić ha vinto a New York trasformando una sconfitta legale in una vittoria morale, come ripetuto da giornali e tabloid filogovernativi il giorno dopo la votazione.

Durante il suo discorso alle Nazioni Unite, il presidente Vučić commentando il fatto che la risoluzione su Srebrenica facesse riferimento alla responsabilità penale individuale, aveva suggerito che i responsabili del genocidio fossero già stati processati e quindi non c’era bisogno della risoluzione ONU. In base a quanto affermato parrebbe quindi che la questione dei processi per crimini di guerra sia oramai relegata al passato in Serbia.

È davvero così? La presentazione del rapporto annuale sui processi per crimini di guerra, da parte del Centro per il Diritto Umanitario , fornisce l’occasione per capire quale sia lo stato delle cose. Il lavoro fatto dal Centro per il Diritto Umanitario (FHP) è una preziosa fonte di informazione su questo delicato processo, che rimane essenziale per chiudere il capitolo dei conflitti degli anni ‘90.

Va detto che la questione dei crimini di guerra sembra essere stata completamente dimenticata da gran parte dei media in Serbia, forse anche perché le fonti ufficiali, come l’Ufficio del procuratore per i crimini di guerra e il Ministero della Giustizia, non hanno pubblicato aggiornamenti recenti sulla strategia per processare i crimini di guerra in Serbia: gli ultimi rapporti risalgono infatti alla fine del 2022 e inizio 2023 .

Quando le fonti ufficiali tacciono, le poche informazioni giungono dai rapporti di organizzazioni non governative limitatamente ai casi seguiti e al progress report dell’Unione Europea.

Un lavoro lento e oscuro

Il quadro è decisamente poco incoraggiante. Il lavoro dell’Ufficio del procuratore procede a rilento e non vi sono segnali che possa velocizzarsi nel prossimo futuro. Durante il 2023, l’Ufficio ha completato solamente tre casi, uno dei quali inoltrato dalla procura della Bosnia Erzegovina che non ha richiesto sforzi investigativi da parte della procura serba. Le due richieste di rinvio a giudizio completate dall’ufficio del procuratore per crimini di guerra, dove lavorano ben 11 procuratori più il procuratore capo, non sono state ancora confermate dal giudice.

Nenad Golčevski, direttore del Centro per il Diritto Umanitario è categorico: “La conclusione che possiamo trarre è che il lavoro dell’Ufficio del procuratore per crimini di guerra è stato inaccettabilmente inefficiente nel 2023”.

Il risultato del 2023 non è un caso isolato: negli ultimi sei anni solamente 39 richieste di rinvio a giudizio sono state completate, ma di queste, 23 (59%) erano state inoltrate da altre procure nella regione. Solo 16 richieste sono il frutto del lavoro della procura serba negli ultimi sei anni, il che vuol dire 2,28 casi all’anno.

Ancora più preoccupante è il fatto che al momento non si sa quanti casi siano ancora nella fase pre-investigativa, per i quali le indagini non sono ancora iniziate. Nel 2022 e 2023 erano attorno ai 1.700 , come riportato anche dal Progress Report dell’Unione Europea sulla Serbia , ma in mancanza di informazioni ufficiali, è difficile fare delle stime precise, dato che tali casi non sono seguiti dal FHP. Quindi non solo la procura lavora molto lentamente, ma soprattutto non si sa con precisione quanto lavoro ci sia ancora da fare prima di completare l’opera.

Preoccupa inoltre il fatto che la procura di Belgrado faccia un uso eccessivamente generoso della facoltà di rendere anonimi i procedimenti, anche andando al di là di quanto previsto dai regolamenti interni. Questo è avvenuto anche per casi in cui vi sia un interesse pubblico a conoscere i fatti, o per casi in cui i nomi delle parti in causa siano già stati resi noti al pubblico.

Tale prassi è contraria agli scopi della strategia nazionale per i crimini di guerra, che si prefigge come scopo di avanzare la consapevolezza della società per quanto riguarda i crimini di guerra. I procedimenti per crimini di guerra rimangono quindi completamente anonimi e la società e i media sono tenuti all’oscuro di tali procedimenti.

La cooperazione con le altre procure della regione

Un altro aspetto problematico è la cooperazione regionale tra le procure, in particolare con la Bosnia Erzegovina. Tale cooperazione regionale si scontra con la prassi delle autorità serbe di non estradare in Bosnia Erzegovina cittadini serbi. Il problema in questo senso è dato dagli accordi sulla doppia cittadinanza tra Bosnia Erzegovina e Serbia: i serbi di Bosnia in particolare possono divenire facilmente cittadini della Serbia.

In alcuni casi, crimini commessi in Bosnia Erzegovina, tra persone che risiedevano nella stessa municipalità o nello stesso villaggio, come le uccisioni di civili a Vlasenica (37 civili uccisi) o Ključ (78 civili uccisi), vengono giudicati a Belgrado perché gli imputati, che al tempo erano membri dell’esercito della Republika Srpska, nel frattempo sono fuggiti dalla Bosnia Erzegovina e sono divenuti cittadini serbi.

Tale prassi, seppure conforme alla legge in vigore, rende più difficile per i testimoni e le vittime partecipare ai processi in Serbia, tanto che molti preferiscono rinunciare. “La cooperazione regionale deve funzionare in entrambe le direzioni, al momento abbiamo quasi solo casi trasferiti dalla Bosnia alla Serbia”, conferma Golčevski.

In questo modo la procura serba, anziché investigare casi per conto suo, lavora essenzialmente su casi investigati e preparati dalla procura bosniaca e relativi a crimini avvenuti in Bosnia. La cosa diviene ancora più problematica per casi come quello di Miomir Jasikovac, uno dei comandanti della polizia militare di Zvornik.

Jasikovac è stato accusato dalle autorità bosniache di genocidio per aver illegalmente imprigionato oltre 2300 persone, dopo la presa di Srebrenica, e per averle condotte nel luogo dove poi sarebbero state giustiziate. In questo caso, le autorità serbe, appena saputo delle accuse in Bosnia, hanno iniziato un procedimento parallelo in Serbia , dato che Jasikovac si trovava in Serbia. Il procedimento si è concluso in pochi giorni: Jasikovac ha patteggiato la pena minima di 5 anni e negli atti non si menziona né Srebrenica, né le accuse di genocidio. Il numero delle vittime è stato ridotto a poco più di 300.

L’atteggiamento delle autorità e dei media

Le autorità serbe continuano a negare i crimini e glorificare i criminali di guerra. Per fare alcuni esempi, il generale Lazarević, nel giugno 2023 ha ricevuto il riconoscimento “Imperatore Lazar” da parte del distretto di Toplica, in quanto “esempio per le giovani generazioni di come si combatte e difende la patria”.

Lazarević ha scontato una condanna di 14 anni di carcere, inflittagli dal Tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità in Kosovo. Lazarević stesso è stato poi ospite regolare di cerimonie organizzate dal Ministero per gli Affari Sociali. Le stesse unità responsabili di crimini di guerra, come la 37ma brigata motorizzata dell’esercito jugoslavo hanno ricevuto gli omaggi di alti dignitari serbi, tra i quali il ministro della Difesa.

Nella zona in cui operava la 37ma brigata in Kosovo, vi furono circa 1400 civili kosovari albanesi uccisi. In un caso eclatante, il generale serbo Nebojša Pavković ha tenuto una lezione sugli eroi serbi agli alunni di una scuola elementare. La lezione è avvenuta tramite videolink dal carcere in Finlandia dove Pavković sta scontando 22 anni per crimini di guerra commessi in Kosovo.

Per contro, le autorità serbe hanno mantenuto un rigoroso silenzio sulla sentenza "Stanišić e Simatović" del maggio 2023 emessa dal Tribunale dell’Aja, in cui fu accertata la partecipazione diretta della Serbia, tramite i suoi servizi segreti, ai conflitti in Bosnia e Croazia, cosa che le autorità serbe hanno sempre negato.

I processi contro i crimini di guerra che si stanno svolgendo in Serbia avvengono per lo più nel silenzio. Mentre la televisione di stato RTS ha seguito regolarmente il caso di alcuni serbi sotto processo a Osijek, in Croazia, per crimini di guerra, non vi sono servizi sui processi in Serbia, dove gli imputati sono per lo più serbi.

Al contrario giornali come Politika hanno dato spazio e pubblicato interviste con criminali di guerra che hanno contestato i fatti per i quali sono condannati. Ma ciò non deve sorprendere: “In una società dove il ministro della Giustizia nega apertamente il genocidio di Srebrenica e le autorità si impegnano in una campagna internazionale per negare il genocidio, non deve sorprendere che i media stessi siano impegnati in una campagna volta a negare e a relativizzare i crimini di guerra”, conclude amaramente Golčevski.

I contenuti della risoluzione su Srebrenica

Alla luce della performance delle autorità della Serbia nel processare i criminali di guerra, e della glorificazione dei criminali di guerra, la risoluzione su Srebrenica più che rivangare il passato e seminare ulteriori divisioni, serve da monito per ricordare che l’obbligo di processare i criminali di guerra non cade in prescrizione e denunciare gli oramai innumerevoli episodi di glorificazione dei crimini di guerra in Serbia e Republika Sprska.

E forse è proprio questa una delle ragioni che meglio spiega i motivi per cui le autorità serbe si siano impegnate così tanto nella campagna contro la risoluzione su Srebrenica: tali obblighi non sono stati rispettati e il processo di relativizzazione sta funzionando a pieno regime.


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