Una serie di interviste realizzate da SEEMO a giornalisti del sud-est Europa che hanno subito minacce e aggressioni nel fare il loro lavoro. L'incontro con Dragana Sotirovski
(Intervista originariamente pubblicata da www.seemo.org)
Dragana Sotirovski è corrispondente per la tv di stato serba RTS e responsabile dei suoi uffici a Niš. In passato ha lavorato per Radio Novosti, RTS 3 e per la redazione RTS a Belgrado. E' inoltre autrice di numerose inchieste investigative, documentari e programmi di viaggio, fatti sia in ambito locale che all'estero. Ha ottenuto durante la sua carriera numerosi premi e riconoscimenti giornalistici.
Ci può dire come le minacce che ha subito durante la sua carriera hanno influito sul suo lavoro e sulla sua vita?
L'unica cosa che è cambiata è che sono divenuta ancora più persistente nelle ricerche che faccio. Lo scorso novembre, dopo aver raccontato la vicenda dell'Ospedale speciale di Niš su RTS, la direttrice dell'ospedale mi ha chiamata e mi ha offesa ripetutamente. Mi ha detto che “non me la sarei dimenticata”.
Cosa ha fatto dopo questa telefonata?
Ho contattato la polizia e sporto denuncia per le minacce ricevute. La polizia ha inoltrato il caso all'ufficio del procuratore di Niš. Per ragioni sconosciute, l'incartamento è sparito e più tardi è riapparso presso la Corte di Aleksinac. Il procuratore a quel punto ha rigettato il caso dichiarandolo infondato, io ho fatto ricorso e la decisione è stata poi confermata dall'Alta Corte di Niš. Dopodiché non avevo più diritto al ricorso.
Nel frattempo ho continuato le mie indagini mentre continuavo a ricevere pressioni e minacce dal management dell'ospedale. Sono stata contattata anche da numerosi impiegati dell'ospedale stesso, che prima mi avevano aiutata nelle mie ricerche. Mi hanno chiesto di fermare la mia investigazione e di non pubblicare ulteriori informazioni. Giustificavano questo loro improvviso cambio di direzione con questioni personali. Ad alcuni erano stati promessi posti per i figli, altri erano preoccupati del loro di posto di lavoro e sulle potenziali conseguenze che tutto ciò avrebbe potuto avere.
Ho continuato a rendere pubbliche le irregolarità di cui ero a conoscenza. Io facevo emergere fatti e loro continuavano a negarli, chiedendo nel frattempo che fossi rimossa dall'ufficio di corrispondenza dell'RTS in modo non fossi più in grado di recarmi a Sokobanja, dove ha sede l'ospedale, per continuare nel mio lavoro.
Avete consigli da dare ad altri giornalisti che subiscono aggressioni verbali o fisiche? Cosa dovrebbero fare in quella situazione?
Dovrebbero contattare immediatamente la polizia e le associazioni dei giornalisti, portando il loro caso allo scoperto in modo che le autorità possano poi aiutare noi giornalisti, proteggerci, permetterci di lavorare in modo professionale e senza pressioni.
Inoltre è importante che i giornalisti facciano il loro mestiere in modo professionale, abbiano tutti i dati archiviati per dimostrare ciò che affermano, riescano a provare alla propria redazione che quello che stanno facendo è la cosa giusta. Debbono lottare contro l'autocensura e persistere nelle loro indagini.
E' fondamentale poi che i giornalisti siano solidali tra di loro in modo da riuscire a convogliare il messaggio alle autorità statali ed al pubblico in generale facendo in modo che le questioni che emergono vengano affrontate.
Ritengo che chi lavora nel mondo dei media e le istituzioni abbiano la stessa missione. Se si ha un primo ministro che si schiera contro il crimine e la corruzione, e si hanno gli operatori dei media che su questo crimine e corruzione indagano e pubblicano rischiando a volte anche la loro vita e quella delle loro famiglie, poi le istituzioni si troveranno a dover agire, ad indagare e risolvere le questioni sollevate.
Nel caso dell'Ospedale speciale ad esempio, la mia inchiesta è stata mandata in onda e poi spedita all'Agenzia anti-corruzione. I dipendenti dell'ospedale hanno poi spedito smentite alla stessa Agenzia, ma ciononostante si è arrivati da parte di quest'ultima alla raccomandazione che la direttrice venisse rimossa dall'incarico.
Quindi nel mio caso, dopo che ho reso pubblica la mia inchiesta, ha reagito il pubblico, ha reagito l'Agenzia anti-corruzione ma invece il ministro della Salute se ne è stato in silenzio.
E' più difficile essere un giornalista locale o lavorare nella capitale?
E' più dura a livello locale, anche se se si procede in modo professionale a volte i rischi che si corrono sono ripagati. Le aziende mediatiche serie rispettano i giornalisti coraggiosi e persistenti. Certo, questo non significa che non esistano giornalisti che ricevono delle mazzette, che sono sul libro paga di determinati personaggi o istituzioni. O altri giornalisti che non scrivono di determinati problemi che esistono nella società perché non vogliono vederne l'esistenza. Ci sono poi molti esempi di giornalisti che passano dalla loro professione a curare le pubbliche relazioni per qualcuno, o a lavorare per il governo, per determinate istituzioni, per l'establishement.
I giornalisti che lavorano nella capitale solitamente si limitano a seguire un solo campo d'interesse e spesso sono sopravvissuti a tutti i cambi di governo. I giornalisti locali coprono invece più ambiti e non hanno un'area specifica e quindi hanno più interessi. Fanno ricerca e poi mettono assieme il puzzle, ed ottengono risultati.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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