Negli ultimi 10 anni sono avvenuti più di trecento femminicidi in Serbia. I familiari delle vittime cercano giustizia nei tribunali, un'inchiesta del Center for Investigative Journalism of Serbia rivela però che spesso non la trovano
(Pubblicato originariamente da CINS il 18 maggio 2023 nell'ambito dello European Data Journalism Network)
Fine 2020, è un venerdì. Verso mezzanotte, una dottoressa della clinica psichiatrica di Kragujevac è chiamata a soccorrere un paziente che ha tentato il suicidio ingerendo dell’acido cloridrico. Quando gli viene chiesto perché lo avesse fatto, risponde che non riusciva a sopportare il peso di essersi svegliato, un giorno, e aver trovato la moglie morta. Stava mentendo.
Nelle settimane precedenti, la compagna aveva sporto denuncia per violenza domestica e lo aveva lasciato. Il tribunale aveva quindi emesso un ordine restrittivo contro di lui, ma questo non lo ha fermato. L’ha picchiata con calci e pugni, fino ad ucciderla.
Durante le indagini è rimasto in silenzio e in tribunale ha dichiarato di non essere colpevole perché “si era sempre occupato di lei e della famiglia”. L’uomo affermava di non essere in grado di mentire, e ha addirittura inviato una lettera a suo nipote dalla prigione in cui cercava di convincerlo a testimoniare in suo favore.
In un caso di femminicidio come questo, motivato dall’odio nei confronti di una donna, l’imputato sarebbe potuto essere stato condannato all’ergastolo. Non è andata così, perché l’accusa ha ritenuto che l’omicidio non potesse essere definito aggravato, bensì “semplice”, per il quale la pena è inferiore. L’uomo è stato condannato a 10 anni di prigione.
Questo è solo uno dei 117 casi di femminicidio analizzati da CINS (Center for Investigative Journalism of Serbia) finiti in tribunale tra il 2014 e il 2022. Più della metà di questi reati non sono stati definiti omicidi aggravati, permettendo agli assassini di cavarsela con pene minori. In alcuni casi i giudici hanno addotto circostanze attenuanti assurde, facendo ricadere parte della responsabilità sulla donna uccisa.
Kosana Beker di FemPlatz, una delle associazioni che da anni lottano per rendere il femminicidio un crimine aggravato in Serbia, afferma che pene più severe potrebbero avere un effetto deterrente sui potenziali aggressori. “Questo sistema trasmette alle donne il messaggio che le loro vite non sono importanti. Al tempo stesso, lascia intendere agli aggressori che possono cavarsela con pene leggere se si affidano a un buon avvocato”.
L’omicidio aggravato
Poiché il femminicidio non esiste come reato penale in Serbia, i tribunali non dispongono di statistiche sui casi. I femminicidi sono trattati come omicidi aggravati, con pene che vanno dai dieci anni di reclusione all’ergastolo. Le sentenze per omicidio o morte come conseguenza di violenza domestica hanno pene inferiori, per un massimo di 15 anni di reclusione.
CINS ha chiesto di accedere alle sentenze finali relative a questi casi presso tutte le Corti superiori serbe per il periodo compreso tra il 2014 e la fine del 2022.
Tra le sentenze esaminate c’è il caso di un uomo di un villaggio vicino a Bosilegrad che, dopo un litigio, ha ucciso la madre con un coltello da cucina. L’uomo ha poi chiesto a un vicino che si trovava lì per caso di non chiamare la polizia, ma di “sentire qualcuno per preparare una bara su misura”.
In tribunale, ha incolpato la madre per il fatto che sua moglie e i suoi figli fossero scappati di casa, dicendo di essersi arrabbiato a tal punto che “il suo sguardo si è incupito”. Anche se il giudice stesso ha affermato che si trattava di un omicidio brutale, l’uomo non è stato sottoposto a giudizio per omicidio aggravato ma per omicidio semplice, ricevendo una condanna a 14 anni, ridotta a 10 anni in appello.
Meno della metà dei casi analizzati da CINS sono classificati come omicidi aggravati. Alcuni sono addirittura trattati alla stregua di decessi come conseguenze di violenza domestica.
Gorjana Mirčić Čaluković, sostituta procuratrice e responsabile per i reati di violenza di genere presso l’Alto Ufficio del Procuratore della Repubblica di Belgrado, spiega che, da un punto di vista legale, non c’era l’intenzione di uccidere la donna da parte del colpevole.
Un altro caso simile è avvenuto vicino a Šabac. Alcuni testimoni hanno visto un uomo picchiare la sua partner, a cui ad un certo punto avrebbe detto: “Alzati, non morire, altrimenti andrò in prigione per colpa tua”. La donna si è poi alzata, ma lui ha continuato a picchiarla. L’ha lasciata prostrata in mezzo alla strada, dove è stata trovata il giorno successivo, ormai morta. È stato condannato a otto anni di carcere.
Mirčić Čaluković sostiene come non sia per forza necessario che il femminicidio esista come reato a sé stante. Dovrebbe però essere obbligatorio per l’accusa dimostrare che un omicidio aggravato è avvenuto a seguito di una violenza domestica motivata da odio di genere, in questo caso quello femminile. Secondo la procuratrice, nella maggior parte dei casi questo non succede: “L’accusa deve dimostrare che la violenza si sia protratta e intensificata fino a portare all’omicidio. È l’elemento della continuità a dover essere dimostrato”.
Kosana Beker pensa invece che la ragione di fondo sia un errore commesso da alcune autorità giudiziarie: “Pensano di dover dimostrare qualcosa di straordinario. È sufficiente che la violenza sia basata sul genere, non c’è bisogno di dimostrare che il movente sia un generale ‘odio verso le donne’”.
I crimini e le pene
Dato che i femminicidi in Serbia, come abbiamo visto, finiscono spesso a processo come reati che prevedono pene minori, quasi il 70% delle sentenze analizzate da CINS ha portato a condanne con detenzione per un massimo di 15 anni, in carcere o in strutture psichiatriche.
Un altro problema è che nell'emettere sentenze, spesso le corti tengono conto di circostanze attenuanti assurde. Secondo Kosana Beker, questo è causato da una prassi molto diffusa nei tribunali serbi: “Se qualcuno, ad esempio, commette un furto aggravato, è prassi utilizzare la famiglia e i figli come circostanza attenuante. Nel caso di un femminicidio si applica lo stesso approccio, dato che è stato già fatto centinaia di volte con altri casi".
A Golubac un giovane aveva concordato di accudire un’anziana in cambio della sua eredità. Quando ha intuito che ciò non sarebbe avvenuto, il giovane ha tentato di allontanarsi, ma la donna ha provato a trattenerlo. L'uomo ha raccontato in tribunale che tutto questo “lo ha infastidito”, portandolo a strangolare l’anziana fino ad ucciderla e ad abbandonare il cadavere sul ciglio della strada. Una delle attenuanti riportate nella sentenza è il fatto che “il comportamento della deceduta abbia contribuito al verificarsi dell’evento”. L’uomo è stato condannato a sei anni di prigione.
In un altro caso, vicino ad Opovo, un anziano ha ucciso la compagna con un coltello durante un litigio e poi ha tentato il suicidio. Le attenuanti, secondo il tribunale, sono state l’alta pressione sanguigna dell’uomo e il fatto che fosse ben visto nel quartiere in cui viveva. La sentenza riporta che era stato presidente di una comunità locale e di una squadra di calcio. È stato condannato ad otto anni.
A Kruševac, un altro uomo ha ucciso la moglie picchiandola con un bastone dopo averla molestata e minacciata di morte. L’attenuante: “È un uomo di famiglia, padre di due figli adulti con cui condivide la stessa dimora”.
Altre circostanze attenuanti individuate sono la povertà, altre malattie tra cui il diabete, o il dichiararsi colpevole di aver commesso il reato.
Vanja Macanović di AŽC raccoglie dati sui femminicidi da anni e sostiene che le corti interpretino erroneamente le circostanze attenuanti, che secondo la sua opinione riflettono le classiche scuse utilizzate dagli assassini. “Continuano a farla franca, è una forma di trasferimento della colpa sulla vittima. Dicono: ‘Eh, se non avesse fatto così…’. Qualsiasi cosa una donna faccia, nessuno ha il diritto di ucciderla o ferirla.”
La sentenza relativa a un femminicidio avvenuto a Čačak dimostra che le cose possono andare anche diversamente. Quando la Corte superiore locale si è pronunciata sul caso di uomo della regione di Ivanjica che aveva violentato e ucciso a coltellate la moglie, la decisione del giudice è stata diversa dal solito. Il fatto che l’uomo fosse padre di tre figlie non è stato considerato una circostanza attenuante, poiché l’uccisione di loro madre “preclude un senso di attaccamento alla famiglia”.
L’uomo è stato condannato a venti anni di reclusione.
Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0
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