Anna Zanoni 28 luglio 2015
Prime pagine dei giornali di Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia (Foto di Chris J. Parsons Photography)

Human Rights Watch documenta le difficili condizioni in cui lavorano giornalisti ed editori di Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia, tra continue minacce ed attacchi fisici

Sulla base di 86 interviste a lavoratori dei media, il rapporto di Human Rights Watch documenta la realtà del difficile spazio mediatico in cui lavorano giornalisti ed editori di Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia.

Nel 2014, 84 giornalisti in Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia hanno subito minacce e intimidazioni, e in 18 casi attacchi contro la loro persona o alle loro proprietà.
Durante le proteste anti-governative nel febbraio 2014 a Tuzla, due giornalisti hanno denunciato a Human Rights Watch un uso eccessivo della forza da parte della polizia: “Ho chiesto a due poliziotti perché stessero portando via un ragazzo. A quel punto hanno liberato il giovane, mi hanno afferrato e trascinato alla stazione di polizia. […] Mi hanno ammanettato ad un palo nel cortile, mi hanno messo una borsa in testa e hanno continuato a picchiarmi […], hanno rotto la mia macchina fotografica e mi hanno minacciato di morte.” - racconta Edin Selvić, giornalista freelance.

Molti degli episodi di violenza e di intimidazione sembrano essere diretti in particolar modo contro quei giornalisti che scrivono articoli in cui sono implicate potenti aziende o élite politiche, o rapporti sui crimini di guerra, corruzione ad alto livello e gruppi religiosi radicali. Ad esempio, nel novembre 2014 il giornalista TV Milot Hasimja, noto per il suo show satirico in onda su Klan Kosova, è stato accoltellato nella stazione televisiva dove lavora. Arbana Xharra, giornalista kosovara, ha ricevuto più di una minaccia di morte per via dei suoi articoli sull'Islam radicale in Kosovo.

Per saperne di più consulta il report sulla libertà di stampa
Building a Safety Net for European Journalists

I giornalisti intervistati dichiarano che le élite politiche (locali e nazionali) esercitano una forte pressione sui media e lamentano anche ispezioni a sorpresa che prendono di mira gli organi di stampa. Jeta Xharra, redattrice di un programma di attualità che va in onda su un'emittente controllata dal governo kosovaro, racconta che lo spazio televisivo del suo show è stato tagliato per motivi politici.
Altro caso di interferenza politica con il lavoro dei giornalisti è il quello di un famoso talk show serbo sulla stazione televisiva B92, noto per la sua analisi critica della vita politica e condotto da Olja Bećković. Il gestore della stazione sarebbe stato regolarmente contattato dal primo ministro Aleksandar Vučić in persona, il quale non avrebbe gradito gli interventi critici di alcuni ospiti in studio ed avrebbe minacciato di tagliare i fondi allo spettacolo. Il programma è stato annullato e la conduttrice licenziata; Bećković non è ancora riuscita a trovare un altro lavoro dal momento che, dichiara, “Nessuno ha il coraggio di assumermi”.

Per saperne di più sulla situazione dei media nei Balcani
consulta il manuale SEEMO Safety Net Manual

 

La ricerca di Human Rights Watch indica che le cause civili di diffamazione costituiscono un ulteriore problema per i giornalisti in Bosnia Erzegovina, Montenegro e, in una certa misura, in Serbia. Funzionari pubblici e potenti imprese tentano di mettere a tacere media e giornalisti citandoli ripetutamente in giudizio per diffamazione; i casi vengono trascinati in tribunale per anni e finiscono per soffocare finanziariamente gli organi di stampa.

Ne sa qualcosa Milka Tadić-Mijović, direttrice esecutiva del settimanale montenegrino indipendente Monitor: sei cause sono in corso contro la rivista, tra cui una presentata dalla sorella del premier Milo Đukanović, Ana Kolarević. “Abbiamo indagato il ruolo della sorella del primo ministro nella [presunta corruzione durante la privatizzazione di] Telekom... e lei ci ha citati in giudizio [...] per € 100.000 [...] Abbiamo vinto la causa in prima istanza, ma in appello la sentenza è stata invalidata”.

La possibilità di praticare un giornalismo libero da indebite interferenze è fondamentale per l'esercizio della libertà di espressione, ma – ha dichiarato la rappresentante OSCE per la libertà dei mezzi di informazione, Dunja Mijatović – "[Oggi] la libertà dei mezzi di comunicazione nei Balcani è peggiore di quella che si aveva dopo le guerre degli anni '90”.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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